Non bastassero le notizie relative alla guerra in Ucraina, le risposte del mondo all’invasione perpetrata dalla Russia di Vladimir Putin, il Covid-19, sui media italiani da qualche giorno si dibatte di una curiosa questione: la delegazione russa che, travestita da medici e personale di aiuto nel pieno dell’emergenza coronavirus, giunse in Italia nel 2020. Parrebbe composta non da medici; piuttosto un team di spioni. Tutto può essere, se ne sono viste tante, troppe, per escluderlo.
Ma qualche domanda, pure, si impone: spiare cosa? Non si capisce, non si spiega. E solo in Italia, c’era da spiare da parte russo-putiniana? Analoghi gruppi di spioni sono stati mandati anche negli altri Paesi sconvolti dal Covid? Giusto per sapere se solo in Italia c’era (e forse, chissà, c’è) qualcosa da spiare. Perché per ora sembra un film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, con tutto il rispetto che quei film meritano (sono serio, sul giudizio di quei film: hanno salvato il cinema italiano).
Per un attimo si è come presi da un moto di orgoglio: l’occhiuta attenzione di Mosca rivolta non a Londra, Parigi, Berlino, Madrid, Washington, ma all’Italia. Poi, più realisticamente, metto i piedi per terra: se davvero sono venuti a spiarci in modo così sgangherato, non si sa bene che cosa, si spiegano forse tante cose sullo stato reale della Russia putinesca.
Sempre a proposito di spie e spioni, e restando in Italia, mesi fa fece gran scalpore un incontro “registrato” con telefonino, per caso, da un’anonima insegnante in sosta a un’area di servizio vicino Roma. L’incontro era tra uno spione di rango ora in pensione, Roberto Mancini, e Matteo Renzi, ora a capo di un partito microscopico e destinato a probabile estinzione, ma un tempo presidente del Consiglio e capo del Partito Democratico; un potente, insomma, che si era trovato impigliato in vicende a cavallo tra il famigliare e il penale (per la cronaca, in larga parte risultate infondate, e altre che probabilmente lo saranno).
Come mai quell’incontro? Pare che il toscano Renzi, più che dei biscotti “Mattei” di Prato, sia goloso di dolci romagnoli di Cesena: i rinomati “Babbi”. Mancini, che è di quelle parti, era solito omaggiare Renzi di quelle prelibatezze; quel giorno i due non si erano incontrati a Roma, e l’uno aveva “inseguito” l’altro fino alla stazione di servizio sull’autostrada per consegnargli il pacchetto. Quando si dice l’amicizia… Il filmato è finito in una trasmissione della RAI, “condito” con tante altre cose più o meno serie e fondate. Se ne è parlato un po’, ci si è fatti qualche risata di fronte all’incredula (e incredibile) versione ufficiale; poi incalzati da altri eventi, la storia la si è come dimenticata.
I “servizi”, tuttavia, restano; e anche le inchieste della procura di Firenze sul conto di Renzi, la famiglia e gli amici. Vicende che ciclicamente riesplodono. Renzi è, da buon toscano, un tipo sanguigno; non usa i metodi felpati e cardinalizi di un Giulio Andreotti; è un toro quando gli si sventola davanti uno straccio rosso: carica. A volte le sue “difese” hanno piuttosto il sapore delle intimidazioni e delle delegittimazioni; ma si deve riconoscere che anche i magistrati non ci vanno leggeri. “A brigante, brigante e mezzo”, vien da pensare. Così si finisce col perdere di vista questioni non marginali, relative ad affermazioni pubbliche, apparentemente lasciate cadere senza seguito. Forse è proprio questo lo scopo perseguito? Vai a sapere.
Ad ogni modo Renzi mesi fa ha annunciato urbi et orbi la prossima pubblicazione di un suo libro: “Scriverò di tutti i tentativi di dossieraggio subiti dai servizi segreti, così se mi succede qualcosa, almeno è agli atti…”. È noto il gusto di Renzi per l’iperbole; ciò non toglie che a certe affermazioni si ha il dovere di credere. Dette da un ex presidente del Consiglio, da un leader di partito, da un senatore, acquistano il peso che non hanno le chiacchere al Bar dello Sport.
Dunque, tentativi di dossieraggio da parte dei “servizi”. Sono trascorse settimane, del libro non si ha notizia. Prima o poi verrà pubblicato. Ma senza attenderlo, il senatore Renzi avrebbe il dovere di essere più chiaro ed esplicito. Se non con i cittadini, con chi istituzionalmente risponde dell’operato dei detti “servizi”.
Ne ha dunque riferito al presidente del Consiglio Draghi? Ha segnalato questa attività di dossieraggio al comitato parlamentare di vigilanza e controllo sui “servizi” stessi (Copasir)? Ha ritenuto di presentare qualche interrogazione o interpellanza in merito? La domanda la si rivolge anche chi fa parte di questo comitato di controllo sui “servizi”: è normale che un senatore denunci un’attività di “dossieraggio” e nessuno ne voglia sapere di più? Nessuna richiesta di delucidazione o chiarimento? Quella di dossieraggio nei confronti di un senatore, è “normale” attività dei “servizi”? Tra i deputati e i senatori, nessuno è mosso da curiosità, e chiede di approfondire e chiarire? Infine, dalla procura di Roma: si sono chiesti chiarimenti al senatore Renzi in ordine a quel timore: “…se mi succede qualcosa, almeno è agli atti…”.
A costo di apparire affetti da inguaribile ingenuità, si vorrebbe insomma essere rassicurati: cosa si fa, cosa si è fatto, cosa si intende fare perché al senatore Renzi non succeda “qualcosa”? Affermazioni di questa portata e gravità non possono essere lasciate ai tempi di pubblicazione di un libro.
Cosa ricavarne da queste storie? Da teams di presunti spioni russi venuti a spiare in Italia nei giorni del Covid non si sa cosa; da scambi di biscotti alle stazioni di servizio; da dossieraggi di cui non si dà e non si chiede spiegazione?
Per carità, nessun invito a sottovalutare l’attività di detti servizi. Tutt’altro: dei servizi segreti in generale non è mai bene scherzare; di quelli putineschi men che mai. Non c’è più l’URSS, non c’è più il KGB, ma i metodi e le logiche sono sempre gli stessi; ma neppure degli altri, anche se a proposito di CIA, Mossad, servizi francesi e britannici si può dire che non ci sono più “i servizi di una volta”. Però alla mente una nota di Leonardo Sciascia tanti anni fa: in sostanza Sciascia si chiede se non sia il caso di “abolire i servizi segreti?”. Un ragionamento svolto sul filo del paradosso, ma animato da ferrea logica.
La riflessione comincia con un aneddoto, forse non vero, comunque verosimile. Nel corso di un vertice il sovietico Nikita Krusciov a un certo punto fa un discorso più o meno di questo tipo al presidente statunitense John F. Kennedy: “I tuoi agenti spiano l’URSS, i miei l’America, spendiamo un sacco di soldi per farci dire quello che già sappiamo. Non sarebbe più logico abolirli, o almeno unificarli?”. Si può immaginare il sorriso dell’uno e dell’altro, che poi d’altro si saranno occupati; e i rispettivi “servizi”, invece di essere aboliti o riunificati, saranno stati anzi potenziati, ulteriormente rafforzati.
E qui la riflessione di Sciascia: “servizi” che costituivano, e probabilmente costituiscono ancora “impasto di cretineria e criminalità, nelle moderne tirannie e, per simpatie o contagio, anche nelle moderne democrazie, i servizi segreti hanno assunto un ruolo quasi avulso dagli Stati che li promuovono, dal potere che dà loro potere: hanno una loro politica, fanno le loro alleanze e le loro guerre. Si può anzi dire che la guerra è la loro cultura: e uso la parola anche nel senso degenerato in cui oggi la si usa, per cui si parla di cultura mafiosa, di cultura del sospetto, e così via; ma soprattutto la uso nel senso di cultura batterica da laboratorio scientifico. Appunto tra cretineria e criminalità, la cultura della guerra è la sola cui i servizi segreti appartengono. Un discorso di pace, dunque, deve preliminarmente muovere dall’abolizione dei servizi: aveva ragione Kruscev”.
Sciascia poi racconta una sua personale esperienza: “Ho conosciuto un uomo che stava al vertice dei nostri servizi segreti. Non gli avrei affidato nemmeno la custodia di un cane; ma i nostri governanti gli avevano affidato la sicurezza dell’intero Paese. Mi domando come è stato possibile. E ancora mi domando: se quell’uomo stava al vertice, cosa erano, cosa sono, coloro che stanno alla base della piramide? Né credo ci sia di meglio nei servizi di altri Paesi: l’attributo di intelligente, che accompagnò quello inglese, e forse l’accompagna ancora, è da considerare come mitico e romanzesco. Se i servizi internazionali tra loro dialogano e tra loro guerreggiano, vuol dire che tutti stanno allo stesso livello, che tutti conducono lo stesso gioco”.
Gioco. Forse, anzi, sicuramente: un brutto gioco. E tutti noi i “giocati”.