Si è concluso dopo quasi quattro ore il terzo round di colloqui tra Russia e Ucraina a Brėst.
L’incontro, che si è svolto in un clima di aspro scambio di accuse per il fallimento dei corridoi umanitari precedentemente concordati, è stato comunque definito “intenso” dalla delegazione ucraina, che ha parlato di “piccoli sviluppi positivi nel miglioramento della logistica” dei percorsi di evacuazione della popolazione civile.
I corridoi umanitari sono percorsi geografici in cui i belligeranti si impegnano a non combattere al fine di consentire – in ingresso – l’afflusso di aiuti umanitari in Ucraina e – in uscita – l’esodo della popolazione civile dalle località funestate dai bombardamenti.
The third round of negotiations has ended. There are small positive subductions in improving the logistics of humanitarian corridors… Intensive consultations have continued on the basic political block of the regulations, along with a ceasefire and security guarantees. pic.twitter.com/s4kEwTNRhI
— Михайло Подоляк (@Podolyak_M) March 7, 2022
Nonostante entrambe le parti concordino infatti sulla necessità di evacuare i civili, negli scorsi giorni tali corridoi non sembrano essere funzionati, con le bombe che hanno continuato a cadere nelle principali città assediate. Un primo accordo era stato raggiunto giovedì scorso, ma per tutto il fine settimana il Governo ucraino ha accusato Mosca di aver sabotato gli accordi umanitari continuando a sparare.
Lunedì mattina, invece, il ministero della Difesa russo ha a sua volta annunciato di aver aperto corridoi umanitari in città come Kyiv, Mariupol’, Charkiv e Sumy, che però porterebbero i flussi di sfollati in Russia e Bielorussia, ossia nei territorio di due Stati attivamente impegnati nelle ostilità. Il Governo ucraino ha perciò definito la posizione di Mosca sui corridoi umanitari “completamente immorale”.
Corridoi umanitari a parte, non si è registrato alcun passo avanti sui rispettivi punti fermi per la cessazione totale delle ostilità: le condizioni di Kyiv includono il ritiro di tutte le truppe russe dal territorio ucraino, tra cui il Donbass e la Crimea – la penisola che il Cremlino ha annesso nel 2014 e considera da allora parte del territorio sovrano russo.
La posizione russa è stata ulteriormente chiarita lunedì dal portavoce presidenziale Dmitrij Peskov: Mosca è pronta a fermare l’attacco “in ogni momento” se il Governo ucraino si impegna a riconoscere la piena sovranità russa sulla Crimea e l’indipendenza delle sedicenti repubbliche popolari filo-russe di Doneck e Luhans’k, oltre ad introdurre una modifica costituzionale che proibisca a Kyiv di unirsi alla NATO e all’UE – rendendolo di fatto uno Stato-cuscinetto tra Russia e Alleanza Atlantica.

Come nell’ultimo incontro tra le due delegazioni, tenutosi giovedì scorso, la sede prescelta per le trattative è stata una località nei pressi della foresta di Belaveža, nella regione bielorussa di Brėst.
Il luogo è pregno di significati storici e politici per gli ucraini, per almeno un paio di motivi: innanzitutto perché in una gosdacia nella stessa foresta, l’8 dicembre 1991, i capi di Stato di Russia (El’cin), Bielorussia (Šuškevič) e Ucraina (Kravčuk) firmarono gli eponimi accordi che sancirono di fatto la fine dell’URSS e del PCUS di Gorbačëv, proclamando l’effettiva indipendenza dei tre Paesi dopo più di mezzo secolo di unione politica sotto il comunismo.
Sempre a Brėst, nel 1918, si erano poste le basi anche per l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina in seguito al trattato di Brest-Litovsk, ossia la resa della Russia leninista di fronte agli Imperi centrali durante la prima guerra mondiale. Il trattato spianò la strada per l’auto-determinazione dei popoli est-europei ex zaristi, tra cui appunto la neonata repubblica ucraina, la cui breve indipendenza sarebbe però terminata dopo meno di tre anni a seguito dell’annessione militare sovietica del settembre 1920.
Le delegazioni
La delegazione dell’Ucraina ai colloqui in Bielorussia è stata capeggiata dal ministro della Difesa Oleksiy Reznikov, accompagnato dal leader del partito di maggioranza alla Verchovna Rada (parlamento ucraino) David Arakhamia, dal consigliere presidenziale Mykhaylo Podolyak e dal vice-ministro degli Esteri Mykola Točyc’kyj.
Assente tra gli ucraini Denis Kireyev, che aveva partecipato ai precedenti colloqui e sulla cui sorte si è aperto un giallo: media ucraini ne hanno annunciato l’uccisione da parte dei servizi segreti ucraini per aver “tradito” il Paese e passato informazioni segrete ai russi, ma sul suo presunto decesso non ci sono conferme ufficiali.
A rappresentare i russi sono stati invece il capodelegazione Vladimir Medinskij (ex ministro della Cultura e consigliere “falco” del Cremlino), il viceministro della Difesa Aleksandr Fomin, il viceministro degli Esteri Andrej Rudenko, il presidente della commissione Esteri della Duma Leonid Slutckij, e l’ambasciatore a Minsk Boris Gryzlov.