Come ampiamente previsto, si è concluso con un “piccoli progressi” ma ancora nessun impegno il primo incontro tra le delegazioni di Russia e Ucraina per negoziare un cessate il fuoco, in quello che è ormai il quinto giorno di guerra in Ucraina.
Ancora troppo distanti le posizioni delle due fazioni, che Mosca e Kyiv si sono di fatto limitate a ribadire nel meeting di oltre 6 ore tenutosi in tre rounds nella città bielorussa di Homel’, a ridosso del confine bielorusso-ucraino.
Per la delegazione ucraina, l’obiettivo dichiarato dei colloqui era quello di raggiungere un cessate il fuoco, ponendo come precondizione per qualsiasi accordo il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, ivi compresi Crimea e Donbass.
Non della stessa opinione i russi, i cui punti fermi sono stati esplicitati dal presidente Vladimir Putin durante una concomitante conversazione telefonica con l’omologo francese Emmanuel Macron: riconoscimento della piena sovranità russa sulla Crimea (annessa dalla Russia nel 2014) e mantenimento di uno status geopolitico neutrale e smilitarizzato da parte di Kyiv.
Переговори важкі. Щоправда, вже без будь-яких обов'язкових ультиматумів. Російська сторона, на жаль, все ще вкрай необ'єктивно дивиться на запущені нею руйнівні процеси.
— Михайло Подоляк (@Podolyak_M) February 28, 2022
La delegazione dell’Ucraina ai colloqui in Bielorussia è stata capeggiata dal ministro della Difesa Oleksiy Reznikov, accompagnato dal leader del partito di maggioranza alla Verchovna Rada (parlamento ucraino) David Arakhamia, dal consigliere presidenziale Mykhaylo Podolyak, dal vicecapo del gruppo di contatto tripartito Andriy Kostin, dal suo vice Rustam Omarov e dal viceministro degli Esteri Mykola Točickyy.
A rappresentare i russi sono stati invece il capodelegazione Vladimir Medinskij (ex ministro della Cultura e consigliere “falco” del Cremlino), il viceministro della Difesa Aleksandr Fomin, il viceministro degli Esteri Andrej Rudenko, il presidente della commissione Esteri della Duma Leonid Slutckij, e l’ambasciatore russo in Bielorussia Boris Gryzlov.
Nonostante il primo insuccesso, le due delegazioni hanno lasciato aperta la porta per un secondo giro di colloqui prossimamente, come riferito da un negoziatore ucraino al termine del faccia a faccia. La location potrebbe essere stavolta in prossimità del confine polacco-bielorusso, ha aggiunto un funzionario russo.
L’impatto delle sanzioni sull’economia russa
Intanto, lunedì il presidente russo Vladimir Putin, poche ore dopo aver messo in stato di massima allerta le sue forze di difesa nucleare, è tornato ad accusare verbalmente l’Occidente durante un incontro con i principali decisori pubblici in materia economica, tra cui il capo del Governo Michail Mišustin e la governatrice della Banca centrale Ėl’vira Nabiullina.
Il capo di Stato russo ha apostrofato l’alleanza transatlantica come un “impero di bugie” (che sembra riecheggiare la definizione di “impero del male” data nel 1983 da Reagan contro l’URSS), composta da “satelliti dell’America che sommessamente la adulano, si inchinano ad essa, copiano la sua condotta e accettano con gioia i suoi diktat”.
Il capo del Cremlino ha inoltre sottoscritto un decreto di risposta alle sanzioni finanziarie occidentali, che comprende non meglio precisate “misure economiche speciali”.
L’escalation delle ostilità e della retorica bellica hanno però provocato un inizio settimana in rosso per quasi tutte le borse europee: a fine giornata le peggiori “big” sono state Milano (FTSE MIB) e Parigi (CAC), che hanno perso entrambe l’1,39%. Hanno invece limitato i danni Francoforte (DAX) e Londra (FTSE), che hanno lasciato sul campo rispettivamente lo 0,73%% e lo 0,42%.
Un capitolo a parte merita la vicenda di Mosca: per evitare catastrofi l’indice moscovita (MOEX) è rimasto chiuso su ordine della Banca centrale russa, mentre il rublo ha raggiunto nella prima mattinata i minimi storici nel cambio col dollaro (1 USD = 112,87 RUB) e l’euro (1 EUR = 123,25 RUB). In risalita anche il prezzo del petrolio, con il Brent scambiato a 100,82 dollari e il WTI a 95,45 dollari al barile.
Ma è dando un’occhiata ai titoli russi indicizzati sulle borse europee che si ha reale contezza di ciò che sta accadendo in queste ore: come riporta il Financial Times, la branca europea di Sberbank sembrerebbe sull’orlo del collasso, con un crollo verticale del 75% nella borsa londinese. Il gruppo TCS, che possiede la banca russa Tinkoff, è invece sceso fino a quattro quinti, mentre Gazprom ha dimezzato il proprio valore.
Per far fronte al capitombolo degli indicatori economici, effetto del vigoroso pacchetto di sanzioni finanziarie comminate da Unione europea, Stati Uniti e Giappone per isolare la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, la Banca centrale di Mosca ha deciso di alzare i tassi d’interesse al 20% (dal 9,5%), con la motivazione ufficiale che “le condizioni esterne per l’economia russa sono drasticamente cambiate”.
In alcune città russe si sono inoltre formate lunghe file agli sportelli per ritirare valuta contante, specialmente dollari o euro, anche se fonti locali fanno notare come in diversi bancomat della capitale risulti addirittura impossibile il ritiro di qualsiasi somma, anche modica.
Da sottolineare, infine, la storica decisione della Svizzera, che abbandona il suo status neutrale (mantenuto persino nei confronti della Germania nazista): per bocca del presidente Ignazio Cassis, l’esecutivo confederale ha difatti annunciato che si accoderà alle misure UE sul congelamento degli assets russi.