Mercoledì 16 febbraio. Sarebbe questa la data che il presidente statunitense Joe Biden avrebbe indicato come giorno della possibile invasione russa dell’Ucraina durante un briefing telefonico venerdì con i principali alleati NATO europei.
Per Washington sarebbe ormai una questione di giorni prima che Mosca muova le proprie truppe in direzione di Kiev e/o dei confini orientali dell’Ucraina.
Coerentemente, sabato il Dipartimento di Stato di Washington ha ufficializzato l’evacuazione della quasi totalità del personale – essenziale e non essenziale – dell’ambasciata Usa a Kiev.
A rimanere nella capitale ucraina sarà un numero assai esiguo dello staff, mentre la maggioranza dei circa 200 funzionari statunitensi dovrebbe essere ricollocato in una città all’estremo ovest dell’Ucraina (forse Leopoli), nei pressi della Polonia.
Today, the @StateDept ordered non-emergency U.S. employees at the Embassy to depart due to continued reports of a Russian military build-up on the border with Ukraine, indicating potential for significant military action. https://t.co/6IgLvE4PJS
— U.S. Embassy Kyiv (@USEmbassyKyiv) February 12, 2022
“La Russia potrebbe scegliere, in brevissimo tempo, di intraprendere una vasta azione militare contro l’Ucraina,” aveva avvertito venerdì Jake Sullivan, Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, riferendosi a non meglio precisate fonti d’intelligence.
Il principale consulente del presidente Biden si era però detto incapace di vaticinare se l’offensiva russa si sarebbe limitata a pezzi di territorio dell’Ucraina orientale – tra cui il Donbass martoriato dalla guerra civile – o si sarebbe estesa fino all’occupazione in grande stile della capitale.
Non c’è peraltro certezza nemmeno sulle reali intenzioni del presidente russo Vladimir Putin. “Crediamo che egli possa benissimo dare l’ordine finale (…) presto”, aveva riferito Sullivan ai giornalisti. Ma le reali intenzioni del Cremlino restano pressoché ignote tanto a Washington quanto ai diplomatici russi.
National Security Advisor @JakeSullivan46: We are in the window when an invasion could occur at any time should Vladimir Putin decide to order it. We are also ready to respond decisively alongside our Allies & partners & impose severe costs on Russia should they attack Ukraine. pic.twitter.com/hRoUgy9N6n
— Department of State (@StateDept) February 11, 2022
Poche ore prima della conferenza stampa di Sullivan, in un’intervista alla NBC il presidente Biden in persona aveva esortato i cittadini americani presenti in Ucraina a lasciare “immediatamente” il Paese, seguito a ruota dall’analoga indicazione ufficiale del Dipartimento di Stato. Ancora prima, a fine gennaio, l’amministrazione dem aveva invece imposto ai familiari del personale diplomatico-consolare statunitense a Kiev di lasciare immediatamente il Paese, dandone solo facoltà allo staff non essenziale.
Ora l’indicazione è invece una sola per tutti: via al più presto. Chi deciderà di rimanere, ha fatto capire Sullivan, lo farà a proprio rischio e pericolo.
In molti hanno seguito l’esempio di Washington e chiesto ai propri connazionali di lasciare l’Ucraina: tra questi Italia, Regno Unito, Germania, Canada, Lettonia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Finlandia, Lituania, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone. Israele ha annunciato il rimpatrio dei familiari dello staff diplomatico. Le rappresentanze di Unione europea e Italia rimangono ancora operative ma in costante monitoraggio della situazione.
AVVISO: In considerazione dell’attuale situazione, in via precauzionale, si invitano i connazionali a lasciare temporaneamente il paese con i mezzi commerciali disponibili e a rinviare tutti i viaggi non essenziali verso l’Ucraina. Per più info: https://t.co/lmhpxQzL4h
— Italy in Ukraine (@italyinukr) February 12, 2022
In un comunicato, il ministero degli Esteri di Kiev ha invitato a “mantenere la calma, rimanere uniti e consolidati all’interno del Paese, e astenersi da azioni che minano la stabilità e seminano il panico.”
La reazione di Mosca
La fretta con cui gli statunitensi stanno abbandonando l’Ucraina in previsione di un conflitto non è sfuggita alla Russia. “L’isteria della Casa Bianca è più indicativa che mai,” ha detto la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova.
“Gli anglo-sassoni (termine con cui la Russia ha preso a definire polemicamente l’asse diplomatico-militare tra Usa e Uk) hanno bisogno di una guerra. Ad ogni costo. Provocazioni, disinformazione e minacce sono il loro metodo preferito per risolvere i problemi.”
Mosca ha più volte smentito di avere intenzione di intervenire militarmente, e anzi ritiene che l’escalation ucraina sia una scusa di NATO e Ucraina per colpire per primi nel Donbass. Il Cremlino chiede all’Occidente di impedire l’ingresso di Ucraina (e Georgia) nell’Alleanza Atlantica oltre all’indietreggiamento di armi e soldati della NATO dai territori est-europei. Tuttavia, finora, NATO e USA si sono rifiutati categoricamente di scendere a compromessi sul tema.
Some reasonable people were hoping US-fanned hysteria was waning. Maybe they put a jinx on it, because scaremongers have clearly got second wind. Our troops are still on our territory and I wonder if the US will invade #Ukraine itself – someone has to, after such a panic campaign https://t.co/lyNCO0TQHv
— Dmitry Polyanskiy 🇺🇳 (@Dpol_un) February 11, 2022
Alta dichiarazione al vetriolo è stata quella di Dmitrj Poljanskij, primo vice-rappresentante permanente della Russia all’ONU: “Gli allarmisti hanno chiaramente avuto un ritorno di fiamma. Le nostre truppe sono ancora sul nostro territorio e mi chiedo se saranno proprio gli Stati Uniti ad invadere l’Ucraina – qualcuno dovrà pur farlo, dopo una tale campagna di panico.”
Ciononostante, nemmeno Mosca sembra essersi rivelata immune all’allarmismo. Secondo una fonte anonima qualificata consultata da RIA Novosti, anche molti diplomatici russi a Kiev starebbero gradualmente lasciando il Paese. L’ambasciata smentisce, ma a conferma dell’indiscrezione ci sarebbero le crescenti difficoltà a prenotare un appuntamento presso le rappresentanze russe nella capitale ucraina.
La situazione sul campo
In occasione del surriscaldamento della situazione in Europa orientale, venerdì il Pentagono ha annunciato che altri 3.000 soldati statunitensi verranno stanziati in Polonia, aggiungendosi ai circa 1.700 già presenti.
Nelle prossime ore il contingente partirà da Fort Bragg, in Carolina del Nord. Il compito delle truppe sarà esclusivamente di deterrenza e rassicurazione dei Paesi dell’est Europa che fanno parte della NATO, e quindi non è previsto alcun coinvolgimento diretto in Ucraina. La Casa Bianca ha infatti più volte ribadito che nessun soldato statunitense interverrà in caso di conflitto, per evitare il rischio di una “guerra mondiale” paventato da Biden.

Nel frattempo, la Russia mantiene intatta la propria presenza di più di 100.000 truppe e forze speciali ai confini russo-ucraini sui versanti orientali e meridionali. Un numero a cui vanno aggiunte le decine di migliaia di soldati attualmente impegnati in esercitazioni militari congiunte con le truppe di Minsk sul suolo bielorusso, nonché altre navi da guerra nel Mar Nero e nel Mar d’Azov.
La diplomazia militare e il colloquio Biden-Putin
Che la situazione sia delicatissima lo sottolineano anche le manovre febbrili della diplomazia militare: venerdì il Capo dello stato maggiore congiunto Usa Mark Milley ha conversato telefonicamente con l’omologo russo Valerij Gerasimov. Sul tavolo “una serie di questioni d’interesse legate alla sicurezza”.
Il generale Milley si è intrattenuto, separatamente, anche con i vertici militari degli alleati NATO Canada, Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito e Romania.
Sempre venerdì, il ministro della Difesa russo Sergej Šojgu ha constatato il punto abissale raggiunto dalla relazioni tra Russia e Regno Unito. Dopo un incontro con il parigrado britannico Ben Wallace, Šojgu ha infatti affermato che il livello di cooperazione tra Mosca e Londra “è prossimo allo zero e in procinto di (…) diventare un numero negativo”. Una dichiarazione che fa il paio con il fallimentare esito dei colloqui tra Sergej Lavrov e Liz Truss di giovedì, definiti dal ministro russo “un dialogo tra muti e sordi”.
Un ulteriore tentativo per fermare l’escalation militare sarà effettuato in extremis da Joe Biden e Vladimir Putin sabato nella mattinata americana.