Livio Gigliuto e Sara Merigo hanno curato per l’Istituto Nicola Piepoli una ricerca su “L’Opinione degli Italiani”, in uscita questa settimana. Ne viene fuori uno spaccato pressoché completo di quali siano i sentimenti, le sensazioni, i giudizi che spostano la popolazione, nella presente fase della vita nazionale, sull’uno o l’altro fronte politico, ideale, culturale. Nell’affresco che ne deriva, i vari raggruppamenti di consenso o dissenso, di adesione o rifiuto, si posizionano rispetto a un bel numero di questioni decisive, nell’anno che ci separa dalle elezioni politiche previste nella primavera 2023.
Nel farmi avere l’anteprima delle 160 pagine fitte di tabelle, grafici, inchieste, riflessioni, è stato lo stesso Nicola Piepoli a evidenziarmi il risultato centrale del grande sondaggio partorito dall’istituto. Si tratta di una conferma che non deve necessariamente rallegrare, e riguarda il ruolo carismatico del presidente del Consiglio Mario Draghi. Divenuto capo del Governo, dall’aureola che ne circondava la figura era emanato un tale scintillio, da illuminare i suoi collaboratori e stravolgere il giudizio che la pubblica opinione ne dava fino a un attimo prima. I ministri e politici appartenuti al Conte 2, transitati nell’attuale Governo, ricevevano giudizi migliori rispetto a qualche settimana prima, con scostamenti anche notevoli tra prima e seconda esperienza di governo. Le percentuali esposte nella tabella non potrebbero risultare più eloquenti.
Se l’indagine del Piepoli abbraccia il campo vasto dei temi che hanno caratterizzato il 2021 (la fiducia nelle istituzioni, gli eventi cardine, la campagna vaccinale, il piano di ripresa e resilienza, lo ius soli e altri diritti, giovani e baby boomers, e così sondaggiando), è la questione Draghi ad apparire centrale, in quanto indizio del cambiamento profondo in corso nel Paese, spinto da un trentennio di errori sul fragile ponte di legno e cordame che potrebbe portare alla repubblica semi-presidenziale.
Se l’ottantunenne Mattarella ha avviato il secondo mandato col piglio retorico e convinto di un monarca “senza corona e senza scorta” (grazie per il prestito, poeta De André!), potrebbe essere il settantacinquenne Mario Draghi a pilotare la navicella italiana fuori dalla procella iniziata negli anni che precedettero “Mani pulite”. Ad attenderla, il bacino di carenaggio delle riforme istituzionali che consentirebbero alla repubblica l’autentica ripartenza, voluta dal tono generale degli umori e dal sistema economico.
Si potrà dire che le opinioni sono mutevoli, punto. Ma, sia la relativa scarsa distanza di tre mesi tra le espressioni di fiducia in tabella, sia il fatto che la seconda opinione sia espressa a nuovo esecutivo appena costituito, convincono che il fattore primo ministro, non la mutevolezza delle opinioni, abbia influenzato il repentino mutamento nella platea intervistata.
Un dato confortante dalla risposta ad altra domanda, riguardante il gradimento dell’incarico a Draghi. L’85% risponde di aver gradito molto o abbastanza la scelta presidenziale, solo il 13% poco o per nulla. Risposta che fa il paio con l’espressione del “sentimento” suscitato dalla nomina di Draghi, qualificato dal 61% come positivo (soddisfazione 52%, gioia 9%), contro il 15% di sentimento negativo (preoccupazione 10%, rabbia 3%, ansia 2%), e il 17% di quello neutrale (stupore 4%, indifferenza 13%).

Il ridicolo che ha ricoperto i partiti nel torneo della recente elezione presidenziale, lo sfaldamento del centro destra, l’avventurosa alleanza demo-populistica, il surreale incollaggio che regge il Governo Draghi, insieme alla firma apposta dal parlamento sul contratto in bianco fatto a Mattarella e Draghi, sembrano favorire l’ultimo miglio della scelta politica qui evocata.
Mentre perdura da decenni la perdita di fiducia in tutte le principali istituzioni, vince, nell’attuale Italia, la fiducia in due persone. Nel 2021 il trend di fiducia in Draghi si è mosso tra 74% e 61% (novembre), quello a Mattarella è risultato stabile intorno al 65%. I ministri più graditi del Governo, sono stati tra 41 e 45%, ad eccezione di Franceschini che supera stabilmente il 50%. Evidente che il gradimento ai due di testa non riguardi l’azione di governo, ma che, al contrario, il Governo galleggi grazie al carisma attribuito alla coppia dall’opinione pubblica.
Si guardi, a conferma, ai giudizi di favore espressi nei confronti de segmenti dell’apparato statale e sociale da parte degli italiani. Nella curva 2020-settembre 2021. il Piepoli rileva che sono stabilmente in testa le forze dell’ordine, attestate intorno al 75%. Gli altri soggetti istituzionali – parlamenti europeo e italiano, chiesa cattolica, sindacati, magistratura – oscillano tra il 27% (parlamento italiano e sindacati, settembre 2021) e il 43% (magistratura, settembre 2021, però al 47% nel 2020 a conferma del calo lento ma continuo dal 2016).
Quasi trenta punti di distanza tra l’organo pubblico di sicurezza/repressione e il parlamento nazionale (in teoria, rappresentante della volontà popolare) non rallegrano, e vanno a confermare l’impressione che gli italiani siano sul ponticello sospeso sul guado semi-presidenziale. Paradossalmente, il dato del parlamento italiano, potrebbe essere ritenuto positivo. I dati storici del Piepoli raccontano, infatti, che nel triennio 2019-2021, la fiducia riscossa dall’istituzione ha largamente superato quella del quinquennio precedente, assestata tra il 23 e il 24%.
Si noti che, nelle inchieste del Piepoli, il trend di alto favore degli italiani verso le forze dell’ordine – definito dalla ricerca “archetipo del concetto di autorità” – dura da più di dieci anni e che, prima dell’ulteriore scivolone del biennio 2020-2021, il secondo soggetto fiduciario degli italiani era la magistratura, solo di recente scalzata in classifica dal risalire di fiducia per il Parlamento europeo. Sono quindi due istituzioni riassumibili nel trinomio sicurezza-repressione-esercizio di autorità, a riscuotere la massima fiducia in Italia. Le forze dell’ordine sono anche le uniche a superare il favore espresso dagli italiani per le persone che ricoprono le funzioni di presidenti della repubblica e del consiglio dei ministri.
Ammesso che l’ipotesi del ponte sospeso abbia un senso, può risultare utile uno sguardo su coloro che dovrebbero essere protagonisti dell’attraversamento: i cittadini italiani. Aiuta la segmentazione proposta dalla ricerca del Piepoli.
Coloro che dovrebbero pilotare il transito sono obiettivamente i più maturi elementi della popolazione, che hanno in mano le leve più solide del potere culturale, economico e politico: i baby boomers. Risultano ottimisti solo per il 37%, manifestando uno scontento che si pone come fondamento di possibili azioni per il cambiamento.
Al contrario, generazione Z e Millennials esprimono dosi maggiori di ottimismo: il 58% dei primi, e il 53% dei secondi ritengono che i prossimi anni saranno per loro “molto o abbastanza positivi”. Se le persone nate tra il 1946 e il 1964 hanno fatto in tempo a vedere “un’altra Italia”, della quale ricordano positivamente opportunità e risultati, gli altri due gruppi demografici sono cresciuti in contesti di difficoltà e precariato, che hanno loro insegnato a sopportare la complessità, e a battersi all’insegna della flessibilità di obiettivi e percorsi. Un buon atteggiamento, che però può facilmente dar luogo al comportamento conservatore: “beato chi ha un occhio nella terra dei ciechi”, recitava un antico proverbio.
Le affermazioni fanno il paio con le preoccupazioni dominanti nei tre gruppi demografici. Per i nati tra il 2000 e il 2010 (generazione Z) e tra il 1981 e il 1999 (Millennials) domina quella delle “difficoltà economiche”: rispettivamente 37% e 39%. Tra i baby boomers questa preoccupazione è presente come prioritaria nel 33%, mentre le preoccupazioni maggiori sono collegabili all’età: la perdita dell’autosufficienza e dell’autonomia (42%), la cattiva salute (40%), il futuro dei figli (38%), diventare un peso per i famigliari (35%). Si noti l’elevato valore della preoccupazione legata al futuro dei figli, espressione della precarietà nella quale si trovano le altre due fasce demografiche indagate.

Interessante, rispetto al ragionamento abbozzato, la risposta che i tre gruppi demografici danno alla domanda su come sarà la “vita di tutti i giorni” nel dopo emergenza da coronavirus. Solo il 51% degli Z dice che la sua vita “probabilmente o sicuramente” tornerà ad essere quella di prima. La medesima risposta viene data dal 55% dei Millennial e dal 61% dei baby boomers. Eccessi nel timore del futuro, frenano spesso il cambiamento, suggerisce l’esperienza: recente conferma, dalle nostre parti, la rielezione di Mattarella. Al contrario, la maggiore fiducia nella ripresa della vita “normale” può essere indizio di disponibilità a rivedere certe regole del gioco istituzionale e sociale.
In fondo alla pubblicazione, il comitato di redazione del Piepoli ha declinato cinque scenari alternativi per il 2041, immaginando la società nella quale diverrebbero adulti attivi i figli della generazione Alpha (i nati dal 2011). La ricerca guarda agli scenari globali, centrati sul confronto tra Stati Uniti e Cina popolare, catalogandoli nel seguente modo: guerra fredda, deriva, coesistenza competitiva, silos separati, crollo e rinascita.
Applicando lo schema alla realtà italiana, si potrebbe dire che abbiamo già passato le epoche di guerra fredda e deriva, e che ci troviamo nel passaggio dalla fase della coesistenza competitiva (destra contro centro-sinistra-populismo) a quella dei silos separati (frantumazione tra centri di potere ed edificazione di silos-fortezza che sorgono fulmineamente e scompaiono o divengono irrilevanti nel giro di pochi anni: separatismo padano, ulivismo, renzismo, berlusconismo, salvinismo, grillismo, centrodestrismo di governo, etc.)
Restano il crollo e la rinascita, almeno tra gli scenari richiamati. L’effetto pandemico, con l’immane perdita di popolazione, di infortuni, di menomazioni permanenti che ha causato, è segno di cosa un crollo possa comportare. Obbligata la speranza a doppia entrata: che ci siano meno crolli possibili e che siano meno letali possibili, che la rinascita sia prossima e duratura.
Che essa debba inverarsi in questo o quell’uomo della provvidenza è tutt’altra questione.