Gli interventi e i discorsi del presidente Sergio Mattarella, persona come s’usa dire di “sangue ghiaccio”, se ascoltati possono risultare poco trascinanti, un’oratoria perfino monotona. Se si leggono i testi, allora si cambia registro. “Sangue ghiaccio”, si diceva: da Mattarella non ci si deve mai attendere una “voce dal sen fuggita”. Centellina e misura le parole con la precisione e con l’attenzione di un farmacista che prepara i suoi medicamenti. Sono testi che vanno meditati per quello che dice, e anche per quello che non dice. Per fare un parallelo: nel suo “saluto” di fine/inizio anno 2021-22 ha ritenuto di non dover fare un solo cenno alle delicatissime questioni della giustizia. Un “silenzio” certamente non casuale.
Il “messaggio” di Mattarella nel giorno del suo secondo giuramento di ben altra portata e respiro. Si può cominciare con la seconda parte del discorso, quella caratterizzata con un capitoletto: “Dignità”. La parola “dignità” è pronunciata ben quattordici volte. Dignità per quel che riguarda il lavoro e le troppe morti “che feriscono la società e la coscienza di ciascuno”. Il NO al razzismo e all’antisemitismo; alla violenza sulle donne; gli immigrati; la tratta e la schiavitù degli esseri umani; il diritto allo studio; il rispetto per gli anziani; il contrasto alle povertà, e alle precarietà; il non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità; le carceri sovraffollate, il reinserimento sociale dei detenuti, migliore garanzia di sicurezza; i problemi quotidiani delle persone con disabilità e gli ostacoli che immotivatamente incontrano; contro le mafie, i ricatti della criminalità, le “complicità di chi fa finta di non vedere”; la garanzia e il diritto a “un’informazione libera e indipendente”.
Una sorta di compendio di quello che si può trovare nella prima parte della Costituzione. Temi, questioni che richiamano l’attenzione dei politici, dei parlamentari, dei partiti, dello stesso popolo italiano a quei gangli fondamentali che da troppo tempo attendono risposte adeguate.
C’è poi la prima parte, dell’intervento del presidente Mattarella. Anche qui, si toccano molti punti importanti. Una sorta di “premessa”, costituita dall’ammonimento che con la pandemia da Coronavirus ancora non si è finito di fare i conti, che l’emergenza è tutt’altro che superata; la consapevolezza che si vive “una fase straordinaria in cui l’agenda politica è in gran parte definita dalla strategia condivisa in sede europea”.
Non solo l’afflato europeo. L’esortazione a una riflessione sul “funzionamento della nostra democrazia, a tutti i livelli. Proprio la velocità dei cambiamenti richiama, ancora una volta, il bisogno di costante inveramento della democrazia”; con l’avvertenza: “Un’autentica democrazia prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione. L’esigenza di governare i cambiamenti sempre più rapidi richiede risposte tempestive. Tempestività che va comunque sorretta da quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte”.
Segue il monito a non cedere alle tentazioni di un efficientismo garantito da “regimi autoritari o autocratici”, che “rischiano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più efficienti di quelli democratici… La sfida – che si presenta a livello mondiale – per la salvaguardia della democrazia riguarda tutti e anzitutto le istituzioni”.
Qui, una parte centrale del discorso di Mattarella: “Dipenderà, in primo luogo, dalla forza del Parlamento, dalla elevata qualità della attività che vi si svolge, dai necessari adeguamenti procedurali… Per questo è cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione. Il luogo dove si costruisce il consenso attorno alle decisioni che si assumono. Il luogo dove la politica riconosce, valorizza e immette nelle istituzioni ciò che di vivo cresce nella società civile”. Il tutto accompagnato da un richiamo severo e diretto: “I partiti sono chiamati a rispondere alle domande di apertura che provengono dai cittadini e dalle forze sociali. Senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso. Deve poter far affidamento sulla politica come modalità civile per esprimere le proprie idee e, insieme, la propria appartenenza alla Repubblica”.
Last, but not least, anzi volutamente lasciato per ultimo, la giustizia e la sua amministrazione. Qui Mattarella interviene con chiarezza inusuale, e una determinazione che non si era palesata in altre occasioni. Conviene riportare integralmente le sue parole:
“…mi preme sottolineare che un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia. Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività…È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento affinché il Consiglio superiore della Magistratura possa svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all’Ordine giudiziario…In sede di Consiglio Superiore ho sottolineato, a suo tempo, che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza. I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone…”.
Il presidente Mattarella, che torna al Quirinale rieletto da un Parlamento disperato che non ha saputo trovare alternative, ha indicato con precisione una direzione, e i binari lungo i quali si deve sviluppare questo percorso. Ha pronunciato le parole che dovevano essere dette e si attendevano. Un vero e proprio “programma”. Ora il Governo, le istituzioni parlamentari, e anche il popolo italiano, devono dare corpo e sostanza a queste preziose parole. A questo punto alla Esopo: “Hic Rhodus, hic salta”; o la sua variante hegeliana: “Hier ist die Rose, hier tanze”. Salto, o danza che sia, da subito.