Tutto come previsto. Una valanga di schede bianca per dire che i Grandi Elettori e i loro leader ancora non hanno trovato il successore del presidente uscente Sergio Mattarella.
La scheda bianca, al netto dei parlamentari buontemponi che pensano di essere con le loro schede scherzose a un party invece che in un passaggio chiave della vita della Repubblica, ci dichiara lo stallo della politica. Ci dice che solo adesso comincia una trattativa e nessuno sa dove questa porterà.
Per tanti motivi. Perché c’è la spasmodica ricerca per alcuni leader di partito di intestarsi la strada che porterà al nome del prossimo presidente della Repubblica. Perché c’è sempre la speranza di piegare la volontà degli altri ai propri desideri. Perché, ed è forse il dato politico-psicologico prevalente, non c’è ancora la consapevolezza da parte di molti protagonisti di questo gioco che scegliere la persona sbagliata potrà forse fare le fortune di un partito o di una coalizione, ma sicuramente non si fanno gli interessi dell’intero paese.
E alla fine i conti di questo errore lo pagheremo tutti.
Ecco allora che quando i presidenti di Camera e Senato stavano per cominciare la prima chiama, è accaduto quello che doveva succedere molti giorni fa. Incontri, incontri ed ancora incontri per vedere di trovare la soluzione.

Matteo Salvini, leader della Lega ha incontrato il presidente del consiglio Mario Draghi. Lo stesso ha fatto il segretario del Pd Enrico Letta. Poi Salvini ha visto Letta e Giuseppe Conte, il tribolato capo del Movimento 5 Stelle che ancora oggi non sa se può parlare a nome di tutti i deputati e senatori 5S.
Trovata la soluzione? Ma dai, sono solo i primi passi su una strada che nessuno sa ancora dove porta.
Però, chiusa la prima votazione, qualcosa sembra abbastanza chiara.
Ipotesi numero uno. I partiti, tutti insieme, o attraverso una maggioranza che regga ai 505 voti necessari a partire dalla quarta votazione, decidono che al Quirinale vada un politico, ovvero un deputato o senatore, oppure ex deputato o ex senatore di lungo corso, che sappia come funziona la macchina parlamentare (e la democrazia parlamentare, ovviamente) e si faccia garante dell’intero ceto politico. E allora il problema è solo trovare un nome sul quale concordare o sul quale dividersi tra maggioranza e opposizione.
Se si sceglie questa strada, Mario Draghi, se vuole, può restare a Palazzo Chigi fino alla primavera del 2023, data del rinnovo del Parlamento.
Ipotesi numero due. Prende corpo la scelta di mandare Mario Draghi al Quirinale. Può essere la mossa giusta, sapendo bene però che questo significa comunque uno strappo alla Costituzione e aprire la stagione del presidenzialismo in Italia. Perché Draghi, non è mai passato per il voto popolare. Dettaglio per nulla trascurabile in una democrazia parlamentare.
Ci sono rischi? No, perché fino ad oggi Draghi è stato un leale servitore dello stato e nessuno può accusarlo di nulla.
Ma c’è un problema. Ovvero chi andrà a fare il presidente del Consiglio? C’è una sola risposta. Un leader politico, un uomo o una donna eletti alla Camera o al Senato. Non è proprio pensabile che se Draghi diventasse presidente, al suo posto a Palazzo Chigi vada qualcuno o qualcuna che non è passato/a per il voto degli elettori. Questa sì che sarebbe una deriva presidenzialista non prevista dalla Costituzione.
E soprattutto, sarebbe la resa dell’intera classe politica. Meglio allora un tutti a casa.
Ci saranno altri incontri, svelati o meno, e domani si replica con il secondo voto.
Quasi certamente un altro tripudio di schede bianche.