Cari lettori, ogni Capodanno ci ritroviamo su questa column per fare un ripasso dell’anno appena trascorso e farci gli auguri per quello che verrà. Si fanno non pochi sforzi nel selezionare per dodici mesi quali sono stati gli eventi più “importanti” da rientrare nell’elenco dei commenti.
Invece quest’anno chi scrive non ha alcuna difficoltà nell’individuare l’evento cardine che ha fatto tremare non solo gli Stati Uniti d’America ma il mondo intero. Stiamo parlando di ciò che è accaduto un anno fa + sei giorni: l’assalto al Campidoglio dei supporter dell’allora presidente Donald Trump.
Il 6 gennaio 2021 sarà per sempre ricordato come il giorno dell’infamia, come disse poi quella notte al Congresso ancora scosso dall’invasione dei trumpisti, il senatore democratico di New York Chuck Schumer, parlando come FDR dopo l’attacco a Pearl Harbor mentre si votava la certificazione dell’avvenuta elezione di Joe Biden alla presidenza degli USA.

Per chi scrive, gli eventi del 6 gennaio 2021, anche se non provocarono i morti dell’11 settembre 2001, hanno rischiato di avere – e attenzione, potrebbero ancora – delle conseguenze ben peggiori per la sicurezza e la libertà di tutti i cittadini e non solo di quelli degli USA. Conseguenze anche più gravi della pandemia che da due anni flagella l’umanità sparsa nei cinque continenti, e persino peggiori dell’emergenza climatica. Come? Più gravi delle inondazioni dello scioglimento dei ghiacciai? Sì, perché la scomparsa della democrazia negli Stati Uniti d’America, la più grande potenza del mondo, avrebbe sicuramente quell’effetto domino che nel giro di pochi anni ci farebbe precipitare in un’era da geopolitica medioevale, dove dittatori dispostici e fuori ogni controllo non si affrontano più con spade e balestre per guerre che durano trent’anni, ma si disintegrano in pochi secondi col resto dell’umanità scagliandosi addosso missili termo nucleari. Se il “colpo di stato” che sarebbe dovuto scaturire dalla scintilla del 6 gennaio fosse riuscito, se Trump fosse arrivato, con i suoi stretti collaboratori a concludere il piano per farlo rimanere alla Casa Bianca con la “fake” di aver vinto lui le elezioni “truccate”, non sarebbe stata solo la democrazia americana a soccombere, ma anche quelle di tutti i popoli del mondo che ancora sperano nel governo “of the people, by the people, for the people”.

Per fortuna il piano di Trump non ha funzionato e due settimane dopo Joe Biden poteva legittimamente instaurarsi come presidente. La democrazia era salva, ma fino a quando?
Il presidente Biden nel suo discorso di insediamento ha avuto ben chiaro che il 6 gennaio rappresentava un evento epocale per il futuro della democrazia: “Write an American story of hope, not fear… [a] story that tells ages yet to come that we answered the call of history…. That democracy and hope, truth and justice, did not die on our watch but thrived.”
Invece, dopo mesi da quei terribili eventi, sta avvenendo che chi ha tramato contro la democrazia si rafforzi. Trump che all’inizio sembrava finalmente aver suscitato repulsione nei confronti di almeno decine di legislatori repubblicani, adesso si ritrova capo assoluto del partito fondato da Lincoln.
Trump su questa column – e fin dal primo giorno alla Casa Bianca – è stato descritto nei metodi e atteggiamenti di governo come un fascista o, peggio ancora, boss mafioso. Da qualche mese lo vediamo prendere più le sembianze del più terribile dei capo partito: Joseph Stalin. Le “purghe” trumpiane infatti stanno eliminando dal Congresso (ma anche a livello di assemblee statali) tutti quei senatori e congressmen e congresswomen che lo avevano bisiamato per gli eventi del 6 gennaio e che poi non hanno dimostrato penitenza e assoluta fedeltà al capo. Trump ispiratore e – come chi scrive sospetta fin dalla notte del 6 gennaio– mandante dell’assalto a Capitol Hill, sta preparandosi alla rivincita con la democrazia in cui, come è già stato nel 2020, o vince lui le elezioni o queste saranno dichiarate ancora una volta truccate. Per questo motivo in tutti gli stati controllati da legislature del Gop, si cambiano le regole di accesso elettorale e soprattutto le nomine di chi dovrà verificare la correttezza del voto nel novembre 2024. Tutti dovranno essere fedeli trumpiani e se il risultato elettorale dovesse andar male al primo scrutinio, questa volta nessuno farà scherzi nell’ubbidire al capo che non può mai perdere. Altro che “addavenì baffone”: i repubblicani “quaquaraquà” si preparano a immolare la democrazia americana inginocchiandosi all’ombra del ciuffone biondo.
Di fronte all’arroganza di un partito repubblicano sempre più diretto con metodi staliniani, si oppone un partito democratico sempre più diviso e barcollante. Quando in gioco c’è la democrazia, bisognerebbe compattarsi in difesa del bene supremo, solo la sua sopravvivenza consentirà successivamente il dibattito interno. Ma i democratici lo hanno capito?
I democratici nel 2022 avranno l’occasione di scuotere gli americani con la Commissione del Congresso che indaga sui fatti del 6 gennaio e che sta ultimando le indagini e che farà ascoltare e vedere presto ai cittadini le prove su responsabili e “mandanti” dell’assalto. Se invece chi ha attentato alla Costituzione e chi lo ha aiutato la passerà liscia agli occhi di una opinione pubblica ormai dopata dalle “fake news” dei social media e orfana di un quarto potere sempre meno credibile, nel 2024 si consentirà la replica a Trump con conseguenze probabilmente fatali alla democrazia.

Il giudizio sull’anno di governo di Joe Biden non è affatto negativo come invece si ostinano a definirlo troppi media senza dar conto delle cifre. Con Biden abbiamo avuto una distribuzione efficace dei vaccini e gli stati non sono stati lasciati soli come invece avveniva con Trump. Se le percentuali dei vaccinati conto il covid e le sue varianti non sono arrivate ancora ai livelli auspicati, è perché la macchina della propaganda trumpista per mesi ha suonato le trombe dei no-vax. Soltanto adesso, con Omicron che manda negli ospedali statisticamente solo chi non è vaccinato, vediamo un Trump che consiglia il vaccino: forse pensa di rischiare la vita di troppi trumpisti? Già, basta controllare le percentuali dei non vaccinati finiti negli ospedali e si scopre facilmente che sono in stragrande maggioranza suoi elettori.
Con Biden soprattuto l’economia è stata rimessa in moto dagli interventi legislativi. A Marzo i democratici – con i repubblicani tutti all’opposizione – hanno passato l’American Rescue Plan, con $1.9 trilioni per far ripartire l’economia e rimettere soldi in tasca dei lavoratori americani e delle loro famiglie. Anche la copertura sanitaria per americani che prima non ne avevano alcuna è cresciuta con Biden in numeri mai visti prima (4,6 milioni in 11 mesi).
Secondo dati forniti da Bloomberg, l’economia così con Biden è cresciuta a percentuali del 7% negli ultimi tre mesi del 2021. Per l’anno si dovrebbe assestare ad una crescita media del 6%. Per il 2022 almeno toccherà il 4%. In Europa si arriva al 2%. Se le cifre sono queste, significa che l’economia americana con Biden è cresciuta nei primi 12 mesi di presidenza come non era mai cresciuta con nessun presidente degli ultimi 50 anni.
La performance domestica di Biden non è stata eguagliata in politica estera, dove spicca la debacle del ritiro dal’Afghanistan. Certamente quegli ultimi giorni di agosto sono stati una vergogna, soprattuto nella comunicazione con gli alleati, ma è bene anche ricordare che il discutibilissimo accordo con i talebani con quelle loro deadline fu siglato dall’amministrazione Trump e Biden ad ereditarlo. Il più grave errore resta non aver capito quanto le forze afghane che avrebbero dovuto frenare l’avanzata dei talebani verso Kabul per mesi, invece si sarebbero disintegrate in pochi giorni.
Ma nonostante questi passi falsi, l’intesa dell’amministrazione Biden con gli alleati europei e della Nato se non è perfetta è almeno incomparabile rispetto a quella del “manchurian candidate”, in cui avvolte agli alleati Trump appariva più come il cagnolino di Putin che il presidente degli USA.
Finiamo questi pensieri di capodanno con una considerazione sulla nostra Italia. Abbiamo appena ascoltato il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha usato parole anche forti e che condividiamo. Il primo presidente della Repubblica italiana venuto dalla Sicilia (concedetemi questo punto d’orgoglio siculo) si dimostra ancora una volta uno dei migliori statisti non solo d’Italia, ma d’Europa. In questo settennato ha messo in rilievo dove sta la forza del popolo italiano, quella sua coesione nei momenti più difficili, ma non ha mai mancato di tirar le orecchie a chi se lo merita, in questo caso i no-vax.

Chi verrà dopo di lui nel 2022? Potrebbe essere veramente super Mario? Se i partiti italiani oggi rappresentati al parlamento manderanno agli inizi del 2022 l’attuale presidente del Consiglio al Quirinale, non sarà per premiarlo, anche se per l’ex presidente della BCE la prima carica dello Stato della Repubblica italiana sarebbe il coronamento di una carriera eccezionale. Sarà invece solo perché lo temono, anzi ne sono terrorizzati! Quindi tra “i due mali”, tra un Draghi che finisse nel 2023 la legislatura da popolarissimo capo del governo e che poi si candidasse ambizioso alle elezioni da capo di un partito o coalizione “draghista”, e un Draghi contento e “garante” al Quirinale, partitoni e partitelli preferiscono sicuramente la seconda soluzione. Draghi non è Monti, che fece un partito ma che da premier fu detestato dalla stragrande maggioranza degli italiani. Se Draghi “scendesse in campo”, con le condizioni attuali, sbaraglierebbe tutti probabilmente raggiungendo una maggioranza assoluta al Parlamento. Ecco perché chi ha adesso paura del super Dragone lo spingerà sul colle più alto di Roma. E voi, chi vorreste al Quirinale? Io ci vedrei bene una donna, sarebbe il segnale che ormai l’Italia non resta indietro su nulla.
A tutti i lettori in America, in Italia e sparsi nel mondo, i migliori auguri di un 2022 più sereno e soprattuto in salute democratica.