Per capire il momento francese, occorre innanzitutto tornare alla scorsa primavera, quando una lettera del 21 aprile firmata da numerosi ufficiali delle Forze armate transalpine veniva pubblicata dal settimanale legato alla destra conservatrice Valeurs Actuelles. Nella lettera si invocava a gran voce l’intervento massiccio del Presidente Emmanuel Macron al fine di scongiurare il rischio di una “guerra civile” incarnato nella minaccia del separatismo islamico, incalzante tanto nelle periferie delle grandi metropoli (banlieues) quanto nella provincia profonda dell’Esagono. Il pronunciamento non passerà ai libri di storia per il millantato e improbabile golpe militare, né perché Marine Le Pen, candidata recidiva alle Presidenziali del 2022, si era intestata l’appello dei generali incoraggiandoli a entrare nel suo partito. Certamente, però, rappresenta la cartina di tornasole che evidenzia le faglie strutturali della società francese, inaspritesi negli ultimi decenni, a partire dalla percepita necessità di “ammansire” le frange della popolazione francese di origine straniera.
La questione dell’assimilazione o integrazione degli immigrati di origine maghrebina o di religione musulmana ha già assunto carattere dirimente nel percorso di campagna elettorale che, da qui a 5 mesi, porterà i cugini d’Oltralpe ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Con ogni probabilità il dibattito sull’identità nazionale francese non farà che scaldarsi stante la crescita demografica che interesserà il paese nei prossimi anni. L’identità francese è infatti storicamente definita dalla cittadinanza e dalla laicità, senza distinzioni di etnia e di religione, con quest’ultima confinata esclusivamente alla sfera privata (ragione per cui il censimento transalpino vieta di rivelare la propria etnia o confessione). Eppure, la Francia del 2051 si prospetta sempre più vasta – 73 milioni di abitanti secondo le stime, e in previsione, paese più popoloso d’Europa, prima della Germania – ma potenzialmente dilaniata al suo interno. Poiché la fascia tra 20-64 anni dovrebbe contenere soltanto un francese su due, il rischio è che la ghettizzazione culturale delle popolazioni di religione islamica immigrate decenni fa non solo persista per l’impossibile assimilazione alla sedicente civiltà francese, ma si approfondisca per la mancata integrazione ai valori laici della Republique.
E allora, quali sono le visioni identitarie dei candidati preferiti dai francesi che si sfideranno al primo turno il 10 aprile prossimo?

Gli ultimi sondaggi sembrano riflettere un’opinione pubblica arroccata ai principi del sovranismo in senso lato: Macron, En Marche al 25%; Valérie Pécresse, Les Republicains, al 17%; Marine Le Pen, Rassemblement National al 17%; e Éric Zemmour, Reconquête al 13%. Le forze della gauche non riescono invece a imporsi: il 9% degli elettori annuncia il proprio voto per Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise), il 5% per la sindaca di Parigi Anne Hidalgo (Parti socialiste) e il 6% per Yannick Jadot (EELV/Pôle écologiste).

La crescita esponenziale dell’elettorato del giornalista e polemista Zemmour (in poco più di un mese a ottobre 2021 ha triplicato i suoi consensi), merita menzione speciale. Una lunga carriera mediatica, il magnate televisivo e finanziere Vincent Bolloré come braccio destro economico, processi per diffamazione e incitamento all’odio razziale, dichiarazioni misogine all’ordine del giorno. Tutto fa pensare che i giornali internazionali parlino a buon diritto di “Trump francese”, ma se è vero che i politici sono il prodotto, e non la causa, della società dalla quale emergono, più interessante è non fermarsi a guardare il dito (la caratteristiche, pur rilevanti, del candidato) bensì la luna (il suo bacino elettorale). Il popolo di Zemmour è tendenzialmente borghese, e appartiene a quel ceto medio-alto e benestante che finora non si recava alle urne oppure votava per il centrodestra moderato, ma strizzava l’occhio all’area più militante e dura, soprattutto sulla questione migratoria. Non sorprende quindi che al primo comizio elettorale del 5 dicembre scorso siano stati avvistati anche neonazisti e monarchici dell’Action française.
L’ex editorialista di Le Figaro e volto di Ça se dispute e On n’est pas couché rivendica il patrocinio su questa corrente di destra giovane e reazionaria che tutto è fuorché inedita all’interno del sistema politico francese, e che non ricorda l’elettorato bianco e povero del Deep South e del Midwest fedeli a Trump nel 2016-2020. Quest’ultimo forse più vicino al popolo lepenista, proveniente dalla provincia profonda, popolare, bianca, e cattolica.

Piuttosto, ciò che davvero rileva dai movimenti politico-culturali degli ultimi decenni in Francia, è che l’estrema destra transalpina è oggi per la prima volta divenuta maggioritaria all’interno della galassia della droite, il che conferma l’importanza che assumerà il tema della gestione degli immigrati stranieri in rapporto alla coesione interna nei comizi e nei dibattiti elettorali dei prossimi mesi. D’altronde, che la questione identitaria fosse predominante in Francia se n’era già avuta avvisaglia durante il quinquennio di Macron, il quale si sta tuttora spendendo in prima linea in due teatri strategici per il futuro del fronte civile interno, e che Zemmour, estremizzando, definisce parte dello scontro di civiltà tra Occidente e Oriente. Dapprima, il tentativo di integrare aggressivamente la popolazione di origine musulmana attraverso la formazione di imam direttamente legati allo Stato e un indottrinamento collettivo ai valori repubblicani, al fine di allontanare lo spauracchio dell’influenza estremista e islamica.

Più recentemente poi, l’Eliseo, ma anche la Le Pen, e, ça va sans dire, l’outsider Zemmour, si sono schierati contro la spinta multiculturalista del movimento ideologico di importazione statunitense woke, che in Francia ha preso la forma di un’estrema sinistra definita spregiativamente “islamo-gauchisme”. Secondo i tre candidati, infatti, una battaglia contro ogni discriminazione etnica, razziale, sessuale, e religiosa a favore dei diritti di tutte le minoranze e delle differenze culturali, impedirebbe nei fatti la spoliazione di quella alterità che appare pericolosa per il mantenimento dell’integrità nazional-francese. Posizioni gravi, anticipatorie di una campagna elettorale all’ultimo tweet e dall’esito tutt’altro che scontato, considerata la potenziale ingerenza della propaganda di potenze straniere, Turchia e Stati Uniti in testa.