Termina al Salone dei Corazzieri del Quirinale la prima giornata di lavori del G20 2021, tra brindisi e auguri di buona riuscita del Presidente Sergio Mattarella ai Capi di Stato e di Governo partecipanti. Ma quali sono i risultati di questa prima sessione?
Partiamo con le buone notizie. I leader hanno ratificato all’unanimità l’impegno entro il 2023 di tassare le multinazionali con un fatturato annuo superiore ai 750 milioni di euro attraverso una “minimum global tax” al 15%. L’accordo, fortemente voluto dal Presidente americano Joe Biden e accolto con plauso dal Segretario al Tesoro Janet Yellen, interesserà soprattutto i colossi digitali come Amazon, Apple, Facebook, e Google. L’obiettivo è quello annoso di impedire gli esorbitanti introiti dei Big Tech che non vengono tassati perché hanno sede nei cosiddetti paradisi fiscali. Se con l’ex Presidente Donald Trump, gli Stati Uniti si erano mostrati gelosi della sovranità digitale verso i propri Campioni del Web, questa volta l’agenda dell’amministrazione Biden pare aver riaperto le trattative con l’Unione Europea. Certo è che il 2023 resta ancora lontano. In parallelo poi, il Presidente americano non ha fatto attendere le sue richieste al Vecchio Continente, evidenziando da un lato la necessità di un maggior equilibrio tra fornitura e domanda nel mercato del petrolio e del gas (chiaro riferimento alla partnership di gasdotti fra Germania e Russia), e dall’altro cercando l’accordo commerciale con l’Unione Europea su acciaio e alluminio, tale da rimuovere gli attuali dazi su più di 10 miliardi di dollari delle rispettive esportazioni l’anno.
Anche sul Programma Covax e la redistribuzione del surplus di vaccini nelle aree più povere del mondo, i leader si sono mostrati uniti in occasione del primo panel “Global Economy and Global Health”. Non c’era da stupirsene dato l’interesse condiviso di tutte le grandi potenze affinché il mondo superi quanto prima la pandemia: “Siamo molto vicini a raggiungere l’obiettivo dell’Oms di vaccinare il 40% della popolazione globale entro la fine del 2021. Ora dobbiamo fare tutto il possibile per raggiungere il 70% entro la metà del 2022” ha detto il Presidente del Consiglio Mario Draghi.
Scintillanti sono stati però gli interventi dei due grandi assenti di questo G20: il Presidente cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin. Nonostante la latitanza dal Centro Congressi “la Nuvola” dell’EUR, i due Capi di Stato sono intervenuti in videoconferenza, avanzando rivendicazioni mirate. Da un lato, Xi Jinping ha chiesto di smetterla con la “stigmatizzazione del Covid e la politicizzazione del tracciamento della sua origine”, invitando i partner a “sostenere l’equità e la giustizia, e fornire più vaccini ai paesi in via di sviluppo.” Il Presidente cinese pensa certamente all’Africa, su cui la Repubblica Popolare sta investendo massicciamente nel quadro del colossale progetto infrastrutturale delle Via della Seta (Belt & Road Initiative, BRI). Xi ha poi invitato i Paesi industrializzati ad adottare “politiche macroeconomiche responsabili” che scongiurino “effetti negativi sui Paesi in via di sviluppo”, e in questo caso non è chiaro se si riferisca anche alla Cina in quanto Paese formalmente tale.

Dall’altro lato, il Presidente Putin ha tuonato dal Cremlino contro le “mosse protezionistiche” di alcuni Paesi che non sarebbero disposti a riconoscere il vaccino russo Sputnik. Un appello, quello del mutuo riconoscimento, riecheggiato anche dal Presidente cinese. I due leader insomma invocano il multilateralismo, mostrandosi interessati al coinvolgimento e all’impegno della “comunità internazionale” – salvo poi restarsene a casa e spedire in rappresentanza i propri ministri degli esteri. A detta di alcuni “azzoppando” lo stesso G20 di Roma, e nemmeno poi troppo di nascosto.
Rilevanti poi gli incontri tenuti a margine del G20, tra bilaterali e multilaterali di importanza strategica e altrettanti siparietti scenografici. Ad esempio, quello fra USA, Regno Unito, Francia e Germania (i cosiddetti E3+1) per affrontare la ripresa dei negoziati di Vienna sul nucleare iraniano, in stallo da giugno. Oppure quello fra il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il Segretario di Stato Anthony Blinken, i quali – a detta del portavoce del capo della diplomazia Usa, Ned Price – hanno “ribadito il sostegno a una Libia sovrana, stabile, unificata e sicura senza interferenze straniere e con un governo democraticamente eletto”. Impossibile omettere poi i due incontri, piuttosto delicati, del presidente turco Recep Tayyip Erdogan con il Primo Ministro Draghi – dopo le tensioni seguite alle dichiarazioni del Premier che nello scorso aprile definì Erdogan “un dittatore” – e con la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen dopo l’ormai celebre caso della “sedia mancante”.

Infine sul clima, Palazzo Chigi fa trapelare che gli sherpa continueranno a lavorare tutta la notte sulla bozza di accordo in quanto al momento la dichiarazione congiunta sembrerebbe non indicare impegni stringenti oltre l’intenzione di limitare il global warming a 1,5 gradi. Nello specifico, Cina e India pare si rifiutino di impegnarsi ad azzerare le emissioni di gas serra, sostenendo che le loro economie e non solo, pagherebbero un prezzo troppo alto da una stretta sui combustibili fossili. A dimostrazione di come l’approccio alla questione dei cambiamenti climatici non sia divenuta affatto “globale”, ma piuttosto rimanga ancora specchio per le allodole degli interessi confliggenti delle varie nazioni – a causa soprattutto dell’assenza di sanzioni implementabili contro chi non rispetta i patti. Una doccia fredda per le aspirazioni della Cop26 che partirà a Glasgow il prossimo lunedì 1 novembre, e al quale il G20 fa da anticamera.