La verità fa paura quindi meglio cercare di ostacolare in tutti i modi che venga raccontata. Per due volte questa politica usata dall’ex presidente Donald Trump durante i procedimenti di impeachment ha funzionato. Da vedere ora che non è più alla Casa Bianca se otterrà lo stesso effetto anche alla Commissione d’inchiesta bipartisan della Camera dei Rappresentanti che indaga sull’assalto al Congresso del 6 gennaio scorso.
La dimostrazione che i giochi si sono fatti pesanti viene dai gesti dell’ex presidente che ieri sera ha mandato milioni di tweet (usando gli account dei suoi collaboratori) chiedendo ai suoi simpatizzanti di non andare a votare alle prossime elezioni se i repubblicani ora al Congresso non continueranno a sostenere che il risultato del 3 novembre è stato ottenuto con i brogli. Poco importa che i brogli, come ampiamente dimostrato non ci siano stati. Un ricatto al suo partito e ai parlamentari per cercare di impedire che gli americani sappiano la verità sul suo tentativo di mantenere la Casa Bianca anche dopo la sconfitta elettorale.
La Commissione bipartisan indaga. Composta da nove parlamentari, 7 democratici e 2 repubblicani, interroga i testimoni, legge le relazioni dell’Fbi e dell’Homeland Security sui contatti tra Casa Bianca e gli organizzatori del rally “Stop the Steal” e i legami che questi avevano con i gruppi estremisti delle milizie. Fioccano le convocazioni per avere i particolari sui preparativi per il rally finito con l’assalto al Congresso. Si chiamano i collaboratori dell’ex presidente per capire la strategia che si voleva usare nel tentativo di annullare l’esito elettorale. E questa mattina uno degli attori principali, Steve Bannon, l’ex guru politico di Donald Trump, non si è presentato davanti ai parlamentari della Commissione d’inchiesta che lo avevano convocato. Fedelissimo al suo boss, che prima di lasciare la Casa Bianca gli ha concesso il perdono presidenziale per la truffa fatta a quanti avevano donato alla sua fondazione milioni di dollari per la costruzione del muro al confine del Messico, ha disertato la convocazione. Robert Costello, l’avvocato di Bannon, in una lettera mandata alla Commissione ha affermato che il suo cliente non testimonierà fintanto che non verrà stabilita la validità del privilegio esecutivo presidenziale imposto da Trump per mantenere segrete le comunicazioni.
Di rimando i parlamentari della Commissione inviato alla magistratura federale la documentazione per incriminare penalmente Bannon per oltraggio alla corte. “Non si era presentato quando era stato convocato come testimone al procedimento di impeachment per il Russiagate – ha detto il congressman democratico Adam Schiff – ma allora aveva un presidente che lo proteggeva. Ora, invece, ha solo un ex presidente che gli dà degli ordini”.

I congressman della Commissione d’inchiesta hanno detto che useranno la mano pesante con tutti i testimoni che non rispetteranno gli ordini di convocazione. Questo perché il maggior ostacolo che la commissione incontra è quello di ottenere la testimonianza degli ex collaboratori di Trump. Nei prossimi giorni dovranno testimoniare l’ex capo di gabinetto, Mark Meadows, il suo vice Dan Scavino e il capo dello staff del ministero della Difesa Kashyap Patel, ma per tutti, come per Steve Bannon, è stato ordinato da Trump di non parlare. Ma Mark Meadows e Kashyap Patel, sarebbero in “trattative” con i membri della Commissione.
Ci sono poi anche molti altri ex membri dell’ex amministrazione Trump che collaborano alle indagini. Ieri sera, dopo che per otto ore era stato interrogato l’allora ministro di Giustizia ad interim Jeffrey Rosen, è stato diramato un mandato di comparizione anche per Jeffrey Clark, ex alto funzionario del dipartimento di Giustizia, ritenuto il teorico dell’annullamento elettorale se fossero state trovati i brogli. Era lui che al Dipartimento della Giustizia avrebbe cercato in tutti i modi di trovare irregolarità elettorali anche dopo che lo stesso Dipartimento della Giustizia aveva detto che le frodi non c’erano state. Un gesto scrive The New Republic che avrebbe portato Jeffrey Clark nel circolo ristretto dei consiglieri di Donald Trump. Sarebbe stato lui inoltre l’architetto del tentativo giuridico, usando la scusa dei brogli, per bloccare la certificazione dei risultati elettorali. Jeffrey Clark sarebbe solo una delle altre 19 persone che la Commissione ha convocato per i prossimi giorni.
“La commissione vuole capire tutti i dettagli riguardanti i tentativi fatti dalla precedente amministrazione per ritardare la certificazione delle elezioni 2020 e di amplificare la disinformazione sul risultato”, ha affermato in un comunicato il presidente della commissione, il democratico del Mississippi Bennie Thompson. “Dobbiamo comprendere il ruolo di Mr. Clark in questo piano e capire chi fosse coinvolto all’interno dell’amministrazione. Ci aspettiamo che Mr. Clark cooperi con l’indagine”.

Molti documenti sono già stati mandati alla Commissione. Nei giorni scorsi la Casa Bianca aveva respinto la richiesta di Donald Trump di bloccare la consegna alla Commissione da parte dei National Archives dei documenti relativi all’assalto al Congresso. Biden aveva desecretato tutti i documenti dell’era Trump spiegando che le circostanze uniche riguardanti quei fatti costringono alla consegna del materiale. L’ex presidente aveva invocato il “privilegio dell’esecutivo”, che avrebbe assicurato la segretezza degli atti presidenziali e il comportamento di Trump e dei suoi consiglieri nelle drammatiche ore dell’assalto. In una lettera ufficiale indirizzata ai National Archives, la Casa Bianca aveva comunicato la decisione di Biden: secondo il presidente, il “privilegio esecutivo non tutela gli interessi degli Stati Uniti”. Trump ha risposto, sempre per lettera, riaffermando il suo diritto a tenere segreti tutti e cinquanta i documenti richiesti. Da decidere se un ex presidente possa invocare una volta che non è più alla Casa Bianca un privilegio presidenziale.