Valentina Vezzali siede alla sua scrivania con una certa disinvoltura. Dietro di lei la foto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il tricolore e la bandiera europea, sul tavolo i fogli con l’intestazione della Presidenza del Consiglio.
Atleta sei volte medaglia d’oro alle Olimpiadi nella scherma, da qualche mese è Sottosegretario allo Sport, cioè da quando Mario Draghi, chiamato a sostituire Giuseppe Conte, è diventato il nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Fa parte di un governo di tecnici del quale dice di essere l’ultima arrivata, ma l’impressione, ascoltandola parlare, è quella di chi ha capito perfettamente le responsabilità derivanti dal ruolo che ricopre.
Prima di iniziare, il telefono della Vezzali squilla più volte, ma quando le pongo la prima domanda non c’è più notifica capace di distrarla.
L’atleta italiana più medagliata di sempre oggi parla nelle vesti di Sottosegretario allo Sport. Immaginava che un giorno o l’altro sarebbe arrivata in questo ufficio?
“Ho iniziato scherma all’età di sei anni, avendo dei genitori che volevano che le loro figlie crescessero in un ambiente sano, dove socializzare e integrarsi con gli altri bambini. Preferivano sapere le loro figlie in una palestra a imparare una disciplina sportiva, piuttosto che saperle in giro in strada a fare chissà cosa. Sono stati dei genitori moderni all’epoca, perché negli anni ‘80 ero l’unica bambina della mia classe a praticare sport. Sicuramente, quando ho fatto i primi passi, i miei genitori non avevano l’obiettivo di farmi diventare una campionessa, ma tutto è avvenuto con la massima fluidità e man mano che crescevo dentro di me è emersa questa volontà di fare qualcosa per il mio mondo, che tanto mi ha dato. Ho scritto due libri: il primo, A viso scoperto, dopo la nascita di mio figlio Pietro nel 2005, dove racconto la mia storia partendo dalla maternità e dal rientro in pedana, per poi passare a quella vittoria del mondiale che ha portato la Federazione Italiana a introdurre una norma che prevede il congelamento del ranking per le atlete in maternità. Il secondo si chiama invece Io, Valentina Vezzali, uscito un mese prima delle Olimpiadi di Londra dove sono stata portabandiera. In questi libri, ignara della politica, sognavo un futuro dirigenziale nel mondo dello sport, dove potessi contribuire a far radicare la cultura sportiva. Poi, il destino ha voluto che nel 2012, dopo le Olimpiadi di Londra, rimanessi immediatamente incinta e verso fine dicembre ricevessi una telefonata dal Premier Mario Monti, che mi chiese di entrare a far parte della squadra che stava formando. A fine legislatura, nel 2018, ho fatto un passo indietro, perché in quel momento non mi sono identificata in nessun partito e io per fare un qualcosa devo crederci fortemente.
In questi tre anni ho continuato a essere consigliere federale nel mondo della scherma e noi siamo stati la prima Federazione a inglobare il mondo paraolimpico insieme a quello olimpico. A marzo, infine, arriva la chiamata di Mario Draghi. Il Premier mi chiede se voglio entrare a far parte della squadra e io ho detto immediatamente sì. Ero ignara di tutto, mi tremavano le gambe ed ero onorata, pur sapendo di trovarmi in un contesto difficile sotto molteplici punti di vista. Eravamo in piena pandemia e lo sport era uno dei settori fra i più colpiti. In più, con la riforma del 2018, si sono innescate delle dinamiche che hanno portato il mondo dello sport ad avere alcuni dissidi interni molto forti. Mi sono trovata in una situazione particolarmente difficile, nella quale sto lavorando per far sì che ogni ambito abbia chiarezza rispetto a ciò che deve essere fatto, con regole ben precise. Ora mi sto occupando di una serie di riforme e della battaglia che riguarda l’inserimento dell’insegnante di scienze motorie nella scuola primaria, in un contesto in cui abbiamo la possibilità, attraverso il PNRR, di avere un miliardo di euro da spendere destinati allo sport”.

All’estero è abbastanza comune che grandi sportivi finiscano in politica, in Italia invece lei è quasi un’eccezione. Come mai? Crede che gli sportivi italiani non si ritrovino nei valori della politica?
“Io credo che la politica italiana, soprattutto gli ultimi 20 anni, abbia subito una profonda trasformazione e sia stata vista in maniera distaccata dalle persone, che non si identificano più in quei soggetti che hanno il compito di produrre le leggi. Ci troviamo in un contesto complesso, perché la gente che non crede più nella classe dirigente si ritrova nello stesso tempo ad aver bisogno di qualcuno che la indirizzi. Devo dire che, entrando nel mondo della politica, ho toccato con mano il funzionamento del sistema: purtroppo è vero, quando si parla di burocrazia, che questa rallenta i procedimenti, però l’impegno delle persone c’è e in politica ci sono professionisti onesti che lavorano per il sistema Paese. Ciò che, secondo me, dovrebbe fare la politica è tentare di avvicinarsi di più alle persone”.

Avvicinarsi in che modo?
“Le faccio un esempio. Il poliziotto spesso è visto come il ‘nemico’, una persona da tener lontana e da temere. Invece no, il poliziotto è una persona amica che lavora per la gente e in mezzo alla gente. Con lo stesso criterio, la politica necessita di avvicinarsi ai cittadini, che devono sentire una presenza concreta accanto a loro. Credo ci sia anche bisogno di essere un po’ meno litigiosi nonostante le diversità politiche, un po’ come si sta facendo ora con questo grandissimo governo di coalizione”.
Gli Stati Uniti investono molto nello sport e i risultati dimostrano che la loro sia una strategia vincente. Con le dovute proporzioni, pensa che l’Italia possa muoversi allo stesso modo?
“In America lo sport è parte integrante della scuola e ha lo stesso valore delle altre materie. In Italia non è così, ed è evidente se pensiamo che nella scuola primaria non sia prevista la figura specialistica e che molto spesso le due ore destinate all’educazione fisica vengano usate per recuperare le ore di altre materie. Da noi l’adolescente si avvicina per la prima volta a una figura specialistica a partire dalle scuole secondarie di primo grado e da qui possiamo capire dove sia il gap con gli Stati Uniti. Se vogliamo radicare la cultura sportiva in Italia, dobbiamo immancabilmente passare per la scuola: sport e scuola devono andare a braccetto. In questo senso c’è una grandissima intesa con il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, con il quale stiamo facendo un percorso che è iniziato con la firma di un protocollo nel quale sono previsti tanti progetti non più a macchia di leopardo, ma a livello strutturale su tutto il territorio. Poi, a differenza dell’America, in Italia lo sport è sostenuto dalle oltre 100.000 associazioni sportive che grazie al volontariato mandano avanti lo sport italiano, nonostante ci si alleni in palestre dove piove dentro e nonostante i collaboratori sportivi non abbiano un contratto di lavoro che preveda adeguate tutele. Nonostante queste mille difficoltà, quando andiamo a competere alle Olimpiadi, siamo il quinto paese al mondo e vinciamo, in rapporto a tante nazioni più strutturate, tante medaglie. Se vogliamo parlare di riforma del lavoro dobbiamo prevedere tutele per i collaboratori, ma anche la possibilità alle associazioni sportive di sostenere questi costi. Il sistema americano in Italia non è attuabile, perché abbiamo una mentalità completamente diversa e non funzionerebbe, quindi dobbiamo semplicemente italianizzare ciò che di buono ha il sistema statunitense, fino ad arrivare a toccare non solo la scuola primaria e secondaria, ma anche l’università. A proposito di Stati Uniti, ho incontrato poco tempo fa l’Onorevole Fucsia Nissoli, per parlare di una possibile collaborazione Usa-Italia in ambito sportivo. La Nissoli è molto appassionata di tematiche sportive e ci tiene tantissimo affinché i due Paesi possano trovare un punto di incontro”.
Qual è il suo scopo all’interno di questo governo tecnico? Facendo un paragone con la scherma, possiamo definire Mario Draghi come il “maestro” di questo esecutivo, cioè una figura alla quale ci si affida e per la quale si porta un enorme rispetto?
“Draghi è il nostro punto di riferimento, il nostro faro e ha il compito di utilizzare al meglio tutte le risorse che verranno dal PNRR per portare alla ripartenza il nostro Paese. Ha un’estrema competenza e credibilità a livello internazionale e questo non può che far gioco all’Italia, perché abbiamo bisogno di persone nelle quali i cittadini si possano identificare. Servono credibilità e concretezza e, proprio in quest’ottica, del Presidente mi piace anche il modo in cui lavora: in silenzio e portando a casa i risultati. Il mio scopo è esattamente quello del Premier e di tutti gli altri ministri, cioè far ripartire l’Italia. Lo sport è la sesta industria del Paese e quindi deve essere una delle frecce da scoccare nel nostro arco”.

Il 23 Luglio inizieranno le Olimpiadi di Tokyo. Che significato hanno questi Giochi?
“Questi Giochi hanno un valore simbolico notevole, e sapranno lanciare un messaggio di speranza e di fiducia di cui tutti abbiamo bisogno. Ci insegneranno e ci mostreranno come l’atleta abbia una capacità di adattamento e di resilienza notevoli, che hanno permesso loro di andare avanti nonostante le difficoltà legate alla pandemia, sia per gli allenamenti che per l’assenza di gare. Non ci sarà pubblico italiano e, come diceva l’altro giorno il Presidente del CONI Giovanni Malagò, è la prima volta nella storia che le Olimpiadi vengono spostate di un anno. Quando ho incontrato Elia Viviani e Jessica Rossi ho detto loro che avranno un compito davvero importante, perché dovranno riuscire a far sventolare il tricolore italiano e alimentare quel senso di appartenenza che mai come in questo momento ci deve portare a un’unità capace di farci rialzare”.
Oggi siamo qui a parlare dagli uffici della Presidenza del Consiglio. Tralasciando le risposte istituzionali, come si sente a rivestire questa carica?
“Benissimo! Sono stata l’ultima a essere nominata fra tutto lo staff governativo. Abbiamo degli uffici piccoli però lo sport c’è, abbiamo tantissime cose da fare ed è bellissimo. Ho firmato ad aprile il decreto per portare i tifosi allo stadio durante gli europei di calcio, quando la UEFA chiedeva garanzie. Darle in quel momento, consentendo la presenza di almeno il 25% del pubblico, non era così semplice. Abbiamo preso un rischio calcolato e quando il giorno della partita inaugurale, andando allo Stadio Olimpico, ho visto tutti i tifosi con le bandiere dell’Italia, mi sono emozionata. Se tutte quelle persone potevano essere lì ad ascoltare e cantare l’inno di Mameli, era anche un po’ merito mio. Queste sono le cose belle: essere concreti e fare il bene del nostro mondo”.