Perché la strage della funivia Stresa-Mottarone (14 persone morte)? Per realizzare un incasso giornaliero di non più di 12.600 euro. Incredibile? Eppure, per quanto incredibile, questa è la pista seguita dagli investigatori. Inchiesta in corso, ma ormai quelle che mancano a questo complesso mosaico, sono poche tessere, che peraltro confermano quanto si è appurato.
Il metodo di azione delineato dal procuratore di Verbania, è di una “semplicità” sconcertante: il cosiddetto “forchettone” sarebbe stato volutamente lasciato in posizione per evitare il ripetersi di blocchi e per non interrompere il servizio ai passeggeri e ai turisti. La modalità di lavoro, sempre secondo la tesi accusatoria, non sarebbe stata decisa in autonomia: piuttosto una “scelta condivisa e soprattutto non limitata al giorno” della tragedia. Un’associazione per delinquere, insomma. Alla base le motivazioni di tipo economico di cui s’è detto: uno stop dell’impianto avrebbe provocato un mancato guadagno alle casse già messe a dura prova durante il periodo del lockdown. Perché questa criminale decisione? Perché le “anomalie” dell’impianto si sarebbero potute risolvere probabilmente solo interrompendo le corse. In concreto, rinunciando agli incassi dei biglietti quotidiani: appunto i 12.600 euro: le quattro cabine, due per ogni direzione, effettuano ventun corse per tratta, orario estivo a capienza ridotta (quindici persone anziché quaranta) per effetto delle norme anti-Covid e il biglietto di andata e ritorno per gli adulti costa 20 euro.
Dal punto di vista “tecnico” le cose certa sono la rottura della fune traente e la mancata entrata in funzione del sistema di sicurezza a ganasce che avrebbe evitato la caduta al suolo della cabina. Gli esperti avvertono: “Occorre cristallizzare le prove e studiare la situazione nei minimi dettagli. Non solo la scena del disastro, credo sia fondamentale ispezionare anche le stazioni a monte e a valle. Saranno necessari almeno sei mesi di verifiche“.
Il capitolo amaro è quello dei controlli. Per quel che riguarda la funivia della strage, gli ultimi controlli risalgono a novembre-dicembre 2020. Qui entra in gioco un fattore che possiamo chiamare “umano”: di solito ha una grande incidenza nelle cause degli incidenti. Esistono direttive specifiche sulle verifiche da effettuare. Risalgono agli anni ’60 del secolo scorso, soprattutto per quanto riguarda il settore automotive e gli aerei. Accade tuttavia che quando interviene l’aspetto economico, la sicurezza spesso passa in secondo piano. Dalle funivie ai viadotti ferroviari e autostradali, la maggior parte delle opere è stata costruita almeno cinquant’anni fa. Allora gli strumenti per pensare e costruire erano diversi dagli attuali: progettati per durare cento anni, senza adeguata manutenzione il loro ciclo di vita si abbassa drasticamente. Come, per fare un esempio, il ponte Morandi a Genova. Tante strutture non sono a posto e presentano pericoli.

Insomma: la tragedia della funivia di Stresa-Mottarone non ha certo il monopolio dell’avidità. La logica che antepone il profitto alla tutela di lavoratori e beneficiari della struttura, è alla base di una quantità di tragedie. In breve: se solo un poco si “scava” sotto queste singole tragedie, emerge una sconcertante realtà, fatta di omissioni, complicità, colpevoli anomalie dolosi disservizi che riguardano in particolare i meccanismi di manutenzione di viadotti, ponti, gallerie, e altre strutture: con il corredo di falsi rapporti sullo stato di salute di vecchie, logore, pericolose infrastrutture.
“Il Ministero continua a proporre nuove opere senza curare la manutenzione di quelle già esistenti e vigilare sulla loro sicurezza”, dice Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti; Balotta mette in relazione la tragedia della funivia di Mottarone non solo con il crollo del ponte Morandi ma anche con i recenti casi come quello del ponte di Aulla (Massa Carrara) o di La Spezia; o i ricorrenti deragliamenti dei treni. Tragedie eterogenee, ma al tempo stesso omogenee, appena le inchieste rivelano comuni denominatori, per quello che riguarda i moventi e le responsabilità.
L’Italia ha un enorme problema con le sue infrastrutture: vecchie, vetuste; il problema però riguarda anche strutture che non sono obsolete: per esempio il ponte di Cropani in Calabria: nel 2019 crolla a pochi giorni dall’inaugurazione. Non riguarda solo le infrastrutture: la questione della sicurezza (o della scarsa cultura della sicurezza) è alla base anche delle troppe morti sul lavoro, che chiamare “morti bianche” rischia di ingentilire, mentre andrebbero affrontate in tutta la loro brutalità. Nella maggior parte dei casi non si tratta di tragiche fatalità.
L’ultimo rapporto dell’ispettorato nazionale del lavoro documenta che il 79,3 per cento delle aziende ispezionate l’anno scorso per verificare la tutela della salute e della sicurezza sugli spazi lavorativi è risultata irregolare. In pratica quattro aziende su cinque non rispettano i protocolli previsti dalla legge. Poi c’è l’enorme galassia del lavoro nero: oltre tre milioni di persone senza contratto, svolgono le loro mansioni in totale assenza di tutela. In sostanza: quasi tutte le vittime del lavoro muoiono “per soldi”: sfruttate dal “caporale”, dal gestore o imprenditore di turno che risparmia sulla pelle dei propri dipendenti, e poco importa se le condizioni di lavoro sono umilianti e senza tutela.
La logica è sempre la stessa: massimizzazione del profitto, riduzione all’osso delle spese.