Sono 76 anni da quando, il 25 aprile 1945, il Comitato di liberazione Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro il regime nazi-fascista nei territori ancora occupati, svolta finale della lotta partigiana condotta durante il ventennio.
Quella data fu proclamata subito, già l’anno successivo, festa nazionale, per ricordare il coraggio dei singoli che si opposero alla dittatura e spesso sacrificarono la vita, ma anche per celebrare in questo modo il momento fondativo della nuova Italia, finalmente libera e democratica, che di lì a poco si sarebbe data, con la Costituzione, le basi giuridiche e istituzionali per il nuovo inizio.
La scelta della data ha avuto dunque, fin dall’inizio, un doppio significato: rendere omaggio alle storie individuali, senza però che il ricordo, per quanto doveroso, fosse solo celebrativo di esse. Accanto al sacrificio personale dei singoli, agli straordinari esempi di coraggio e sprezzo del pericolo, ne andava commemorato il significato rispetto alla nuova era che sarebbe cominciata di lì a poco, la svolta storica che si voleva costruire.
Le premesse di questa ispirazione erano tutte nello straordinario incrocio di destini che caratterizzò la resistenza. Non solo insofferenza individuale verso il regime oppressivo, ribellione di ciascuno alla dittatura. Lotta insomma di singoli, giustificata e legittima, ma in fondo ognuno per sé, in nome del proprio tornaconto ed interesse.
Piuttosto la riscoperta di uno scopo comune da perseguire, la percezione del nesso tra le sorti individuali e quelle della collettività. Anzi proprio la constatazione finale d’essere una comunità, un insieme di persone unite da un legame oltre il sangue. Non era affatto scontato in un paese caratterizzato da forte individualismo, retaggio di antiche esperienze storiche nel segno della frammentazione politica e del particolarismo.
Fuori da ogni retorica di maniera, il valore del 25 aprile è il riconoscimento della necessità di un cammino comune da intraprendere, seguendo principi di libertà e solidarietà, riscoperti nella resistenza. Per questo, gli studenti strabuzzavano gli occhi quando Piero Calamandrei spiegava loro che, se avessero voluto cercare le radici della Costituzione (“la carta per ciascuno della propria dignità di uomo”), sarebbero dovuti andare “nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare libertà e dignità”.
Il 25 aprile è una giornata da celebrare sempre, e per questo è ricordata ogni anno, simbolo di libertà e insieme di fiducia sulla possibilità di ricominciare, anche quando il punto di partenza è la rovina della guerra. Ma lo stato d’animo con cui, di volta in volta, il pensiero torna a quelle giornate drammatiche muta con il trascorrere degli anni.
Il tempo è scorso inesorabile. Si allunga la catena delle generazioni, aumenta il distacco temporale. La vecchiaia e ora la pandemia hanno portato via tanti che fecero quell’epoca, attenuando il rapporto diretto con i protagonisti. A continuare il racconto, a farci sentire l’emozione di quegli istanti, sono rimasti pochi adolescenti di allora, oggi ormai molto anziani. Si dirada irrimediabilmente il mondo abitato da quelle creature.
Tuttavia il passato non è mai remoto quando ha contribuito a formare il presente. Con alterne fortune certo, esiti contraddittori e deludenti, talvolta troppo lontani dalle aspettative. A volte prevale lo sconforto, ci si smarrisce, lo scoramento fa venire il nodo alla gola. Però, non dobbiamo dimenticarlo: il mondo di oggi, scettico e frammentato, incapace di orientarsi, offuscato da meschinità e ipocrisia, ha pur sempre le sue origini in quella storia.
È inevitabile che le ricorrenze siano condizionate dall’attualità. Di più: proprio l’importanza del messaggio ne fa scoprire il valore in ogni tempo. La ricorrenza del 25 aprile ha un significato particolare in una stagione come questa, difficile per le persone, per l’economia e per la stessa democrazia, a causa del Covid.
Sono sempre inadeguati i confronti e si rischia di sbagliare due volte: svilendo il passato e non attrezzandosi a sufficienza per affrontare il presente. Però l’invito alla fermezza e il senso di speranza, insiti nel ricordo della resistenza e nell’esempio di tanti, sono quanto mai attuali oggi di fronte alla precarietà della vita e alla difficoltà di ricostruire la normalità delle abitudini e delle relazioni.
Quando meditiamo sul modo di uscirne, e dentro di noi cerchiamo forza ed ispirazione, il ricordo di quei giorni non appare più una commemorazione rituale, da concludere in fretta e dimenticare a fine giornata. È sollievo e incoraggiamento. Non è un’illusione. Come dice la canzone più struggente di quella stagione O bella ciao, c’è sempre, accanto a noi, “l’ombra di un bel fiore”, a farci compagnia e a rassicurarci. Basta rendersene conto. Anche la memoria è come un fiore: se non lo sradichi e ne hai cura, si moltiplica in ogni stagione.