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April 3, 2021
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Rimorso e commozione dominano la prima settimana del processo Chauvin

Alcuni dei testimoni scossi dal loro senso di impotenza mentre George Floyd moriva sotto i loro occhi schiacciato dal ginocchio della crudeltà

Riccardo ParadisibyRiccardo Paradisi
Time: 5 mins read

La prima settimana del processo Minnesota v. Derek Chauvin è terminata dopo alcune testimonianze strappa lacrime e qualche momento di tensione fra l’avvocato della difesa Eric J. Nelson ed i suoi interrogati. Con l’opinione pubblica fortemente coinvolta e le trasmissioni in diretta del processo, sale ora il rischio che i membri della giuria popolare possano essere influenzati o addirittura minacciati. Intanto, nel corso della settimana, alcuni di loro hanno tradito un certo sgomento per gli elementi che accusa e difesa hanno portato alla loro attenzione.

Dopo le dichiarazioni di attivisti e legali della famiglia Floyd come “è l’America ad essere sotto processo” e “tutto il mondo ci sta guardando”, la prima giornata del processo è servita a mettere sul tavolo alcune carte dell’accusa e della difesa, mostrandoci quelle che saranno le loro strategia nell’interpretazione delle prove e nel rapporto con i testimoni. Gli avvocati dello stato del Minnesota hanno sottolineato come per 9 minuti e 29 secondi Chauvin abbia premuto il suo ginocchio sul collo di Floyd, utilizzando una manovra considerata “letale” in modo sproporzionato rispetto alla minaccia rappresentata da un uomo prono ed ammanettato. La difesa, invece, punta a dimostrare come Floyd sia morto a seguito di patologie pregresse e sotto effetto di sostanze stupefacenti, tentando allo stesso tempo di accusare i “bystanders” dell’arresto di aver distratto gli ufficiali della polizia coinvolti, impedendo loro di valutare la proporzionalità dell’intervento.

Floyd a terra con il ginocchio dell’agente Chauvin sul collo, mentre implora di lasciarlo respirare (da yotube)

Nei primi 5 giorni, a dibattere sulla “letalità” dell’intervento di Chauvin su Floyd sono stati Donald Williams (uno dei bystander, istruttore di MMA), Jena Lee Scurry (operatrice del 911), David Pleoger (sergente di Chauvin) e Richard Zimmerman (tenente della polizia di Minneapolis). Pleoger e Zimmerman hanno mostrato punti di vista diversi: il primo ha riportato il rapporto fattogli da Chauvin dal quale si evinceva che Floyd avesse avuto un malore, versione smentita successivamente dopo aver confessato di aver applicato pressione sul collo di Floyd. Pleoger ha spiegato che la manovra utilizzata su Floyd può servire a neutralizzare una potenziale minaccia, a patto che venga interrotta non appena il soggetto smetta di opporre resistenza. Per Zimmerman, invece, la polizia di Minneapolis non è addestrata per quel genere di mossa che, con la vittima a terra e ammanettata, può contribuire a bloccare la respirazione di chi la subisce. Zimmerman ha affermato che l’azione di Chauvin è stata “del tutto non necessaria” e “potenzialmente letale”, suggerendo che Floyd potesse essere calmato a parole.

La difesa ha tentato di smentire queste testimonianze. Jena Scurry, interrogata da Nelson, ha ammesso di non avere un addestramento da poliziotta. Zimmerman, invece, ha risposto a Nelson affermando di non lavorare in pattuglia dal 1993, dopo essere diventato investigatore. Grazie a queste domande, la difesa ha voluto sottolineare la mancanza di esperienza “reale” da parte dei due testimoni. La cross examination di Williams ha portato ad un battibecco con il testimone. Nelson ha voluto rimarcare come Williams si sia più volte rivolto alla polizia in modo minaccioso durante l’arresto di Floyd, di fatto distraendo gli agenti coinvolti. In quanto lottatore, poi, Williams non avrebbe l’esperienza giusta per analizzare l’operato della polizia.

Nelson si è mantenuto su questa linea anche durante la cross examination di Genevieve Hansen, pompiere e agente di primo soccorso che, assistendo alla morte di Floyd, si propose per controllare il polso della vittima, venendo così respinta dagli agenti presenti. La difesa ha continuato con la sua linea, sottolineando come l’insistenza della testimone possa aver distratto gli agenti. Fra Hansen e Nelson la situazione si è fatta particolarmente tesa, tanto che il giudice Peter A. Cahill ha dovuto indirizzare alcuni richiami alla testimone. “Non so se ha mai visto qualcuno venire ucciso, ma è sconvolgente”, ha replicato la Hansen rispondendo a Nelson.

La disperazione dei testimoni è stato uno dei temi ricorrenti durante questa prima settimana di processo. Delle quattro minori e appena diciottenni sentite a telecamere spente, Darnella Frazer ha raccontato la storia più toccante. Diciassettenne lo scorso 25 maggio, data della morte di Floyd, ha filmato l’accaduto dopo aver accompagnato la cuginetta dentro Cup Foods, il negozio davanti al quale è avvenuta la colluttazione con i poliziotti. Con la voce rotta dalla commozione, Darnella Frazer ha raccontato di aver visto un uomo morire senza aver avuto il potere di intervenire. Floyd era “terrorizzato e pregava per la sua vita” e lei ha dovuto vivere con senso di impotenza e rimorso: “quando guardo George Floyd vedo mio padre, i miei fratelli, i miei cugini, mio zio” tutti membri della comunità nera di Minneapolis.

Ma questa è una storia comune a tutti. Vedere Floyd boccheggiare e poi morire ha scosso anche gli animi di Donald Williams e Genevieve Hansen, testimoni oculari impotenti di fronte all’intervento della polizia, che in aula si sono lasciati andare alla commozione. La testimonianza più toccante è stata quella di Charles McMillan che quel 25 maggio ha tentato di convincere Floyd ad entrare nella macchina della polizia senza offrire resistenza: “non puoi vincere”. McMillan è scoppiato a piangere quando è stato trasmessa una registrazione inedita in cui Floyd, schiacciato a terra dagli agenti, ha iniziato a chiamare sua mamma, morta da pochi giorni: “anche io non ho più una mamma, lo capisco”.

Le registrazioni acquisite dagli inquirenti e mostrate per la prima volta nel processo hanno fatto molto scalpore. La prima in ordine temporale, quella che ritrae Floyd comprare sigarette con una banconota falsa, è stata sottoposta a Christopher Martin, cassiere di Cup Foods e primo ad accorgersi della truffa. Martin ha descritto Floyd come “alterato da qualche sostanza” ma amichevole e cordiale. Il ragazzo, diciannovenne, ha ammesso di sentirsi pentito di non aver accettato quella banconota. La segnalazione alla polizia è partita quando Floyd, affrontato da Martin con la banconota falsa, si è rifiutato di pagare.

“Ucciso”, dedicato a George Floyd, New York (di Terry W. Sanders)

Il video che più ha fatto discutere è stato quello della bodycam di un agente. La sequenza mostra un poliziotto avvicinarsi alla macchina di Floyd per intimargli di scendere con le mani alzate. Floyd vedendo l’agente armato lo prega disperato: “per favore non spararmi”, una frase che racconta molto bene come la polizia venga percepita dalla comunità afroamericana. Il video si conclude con l’arrivo di Chauvin e con gli ufficiali intenti a spingere Floyd nella volante.

Attraverso queste prove video George Floyd viene mostrato come una persona imponente ma fragile. La morte della madre ed il suo turbolento rapporto con la droga sono stati raccontati dalla sua compagna Courtney Ross. La storia di Floyd è una storia comune negli Stati Uniti martoriati dell’ultimo anno: positivo al covid, licenziato e dipendente da oppioidi dopo averli utilizzati per curare un dolore cronico alla schiena. E se alcune testimonianze di questi giorni sono state in parte bersaglio della linea difensiva, l’accusa sta riuscendo nell’intento di mostrare Floyd come un soggetto fragile e non una minaccia, al contempo disumanizzando la figura di Chauvin, mostrato come freddo e spietato.

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Riccardo Paradisi

Riccardo Paradisi

Toscanaccio doc e blogger. Mi sono laureato in Relazioni Internazionali a Siena dove insieme ad alcuni colleghi ho fondato SpazioPolitico, per cui scrivo. Appassionato di Nord America dall'università, ne ho vissuto lo spirito pionieristico nel freddo Montana. Da allora, i suoi paesaggi monumentali e le sue storie non mi hanno mai lasciato.

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