E’ opportuno, per cercare di trovare un “filo” che possa aiutare a comprendere una situazione più complicata di sempre, fare riferimento alla dichiarazione resa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine dell’incontro con il presidente della Camera Roberto Fico il 2 febbraio scorso. Fico ha appena terminato un giro di consultazioni per conto di Mattarella, e ha preso atto che non è più proponibile un governo presieduto, come i due precedenti, da Giuseppe Conte; e la precaria maggioranza su cui si regge il Conte 2, è improponibile.
Al punto in cui si è arrivati, due solo le possibili strade: elezioni anticipate, o un nuovo Governo.
Pazientemente, e con toni gravi, Mattarella spiega per quali motivi le elezioni anticipate non sono la soluzione praticabile:
“…Sotto il profilo sanitario, i prossimi mesi saranno quelli in cui si può sconfiggere il virus oppure rischiare di esserne travolti. Questo richiede un governo nella pienezza delle sue funzioni per adottare i provvedimenti via via necessari e non un governo con attività ridotta al minimo, come è inevitabile in campagna elettorale…Sul versante sociale – tra l’altro – a fine marzo verrà meno il blocco dei licenziamenti e questa scadenza richiede decisioni e provvedimenti di tutela sociale adeguati e tempestivi, molto difficili da assumere da parte di un Governo senza pienezza di funzioni, in piena campagna elettorale. Entro il mese di aprile va presentato alla Commissione Europea il piano per l’utilizzo dei grandi fondi europei; ed è fortemente auspicabile che questo avvenga prima di quella data di scadenza, perché quegli indispensabili finanziamenti vengano impegnati presto. E prima si presenta il piano, più tempo si ha per il confronto con la Commissione. Questa ha due mesi di tempo per discutere il piano con il nostro Governo; con un mese ulteriore per il Consiglio Europeo per approvarlo. Occorrerà, quindi, successivamente, provvedere tempestivamente al loro utilizzo per non rischiare di perderli. Un governo ad attività ridotta non sarebbe in grado di farlo. Per qualche aspetto neppure potrebbe. E non possiamo permetterci di mancare questa occasione fondamentale per il nostro futuro…”.
Mattarella sillaba, letteralmente, le emergenze-sfide che attendono il Paese: sanitaria, sociale, economica, finanziaria.
“Avverto, pertanto, il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica…”.
“Governo di alto profilo”, che non si identifichi “con alcuna formula politica”. L’identikit di Mario Draghi.
E’ fatta. Nasce il governo Draghi con forte connotazione non politico/partitica, ma certamente politica e non estranea ai partiti: hanno inserito i loro uomini, che convivranno con i “tecnici” che sono di Draghi. La novità è che questa volta, per non essere spazzati via, i partiti si sono presentati con il cappello in mano da Draghi. Hanno cercato di porre condizioni, ma soprattutto le hanno subite, e fatto buon viso a cattivo gioco. Per tutti loro Draghi costituisce l’ultima spiaggia.

Ora ci si potrà pure esercitare nel giochetto: “chi ha vinto”, “chi ha perso”. Il Partito Democratico conferma tre ministri (Dario Franceschini, alla Cultura; Lorenzo Guerini alla Difesa; Andrea Orlando al Lavoro); per quel che riguarda il M5S, in termini di postazioni ministeriali non è andata male: Luigi Di Maio agli Esteri, Stefano Patuanelli all’Agricoltura e Federico D’Incà ai Rapporti col Parlamento, Fabiana Dadone alle politiche giovanili. Italia viva deve accontentarsi di Elena Bonetti; e new entry: tre ministri per la Lega (Giancarlo Giorgetti al Mise, Massimo Garavaglia al Turismo, Erika Stefani alla disabilità); tre a Forza Italia (Renato Brunetta alla Pubblica amministrazione, Maria Stella Gelmini agli Affari generali e Mara Carfagna al Sud); infine, quota LEU Roberto Speranza. Accanto ai politici, i tecnici di stretta osservanza Draghi; e che “occupano” i ministeri più importanti: Economia, Pubblica Istruzione, Giustizia, Interni. Anche quello degli Esteri, formalmente lasciato a Di Maio. E’ evidente che le cancellerie del mondo guarderanno Draghi, la cui autorevolezza è riconosciuta e indiscussa, e Di Maio fatalmente giocherà partite minori e secondarie.
A questo punto si può cercare a questo punto di tirare qualche conclusione. Le arroganze e gli appetiti dei partiti sono, al momento, fortemente ridimensionati. A nessuno conviene andare a elezioni anticipate, tutti avrebbero qualcosa (più di qualcosa, molti) da perdere. Un governo di salute pubblica, espressione di due presidenti (della Repubblica e del Consiglio), alla fine fa comodo a tutti. Poi certo saranno pagati dei prezzi: mal di pancia nel M5S e nella Lega, nel PD e Italia Viva…E anche in Fratelli d’Italia, unico partito che resta all’opposizione, molti si chiedono (e chiedono a Giorgia Meloni), se sia saggio non partecipare alla spartizione di nomine in importanti enti di stato e alla gestione dei fondi messi a disposizione dall’Europa. Non per un caso Meloni ha coniato l’espressione “opposizione patriottica”: significa che di fronte a provvedimenti ritenuti positivi, ci si assocerà alla maggioranza.
Ora siano concesse “note a margine: non è vero che il governo Draghi è la sconfitta della politica. Il governo Draghi è la sconfitta dei dilettanti della politica. Quelli di oggi, quelli di ieri. E’ la sconfitta di una classe politica incapace, priva di respiro strategico, preda di tattiche meschine e nessun respiro. E’ la sconfitta (purtroppo non definitiva) di una demagogia e di un pressapochismo che ancora produce e produrrà danni. Spazzato via il demenziale “uno vale uno”, si afferma la responsabile competenza. Anche la politica esige una “scuola”, come per ogni cosa. Il problema è la formazione di una classe dirigente, come nel bene e nel male (spesso più nel male che nel bene) si è avuta negli anni ’50 e ’60 del secolo trascorso.
E’ un problema italiano, ma non solo: gli Stati Uniti, dopo quattro anni della tremenda presidenza di Donald Trump, si sono affidati ora a un politico di lungo corso cone Joe Biden. Nel Regno Unito pagano e pagheranno la demenziale Brexit e l’ondivaga politica del leader conservatore Boris Johnson; un po’ in tutta Europa le forze populiste/sovraniste hanno provocato i danni che sappiamo. Anche in Francia non se la passano meglio, per non dire della Spagna…
Ci aspetta una stagione turbolenta; e dopo aver giocato una serie di carte sconsiderate, ora ci si sta convincendo che è meglio affidarsi a un “usato sicuro”.

(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
I capi-redattori dei servizi politici dovrebbero fissare per le loro redazioni alcuni punti:
1) Basta con questo mantra sciocco e senza significato.
2) Il governo Draghi non è la sconfitta della politica.
3) E’ la sconfitta della NON politica, del pressapochismo, della demagogia, del populismo sovranista, dell’ “uno vale uno”, di dilettanti della politica politicante, buoni a niente capaci di nulla.
4) E’ la rivincita possibile della buona politica.
5) Il possibile se non proprio del probabile.
Cosa accade in queste ore: sotto i nostri occhi si consuma uno tsunami politico i cui effetti incideranno in profondità. Draghi ha molto ascoltato, ma alla fine ha deciso lui (con Mattarella, beninteso), la composizione di una compagine governativa. Draghi compila la lista dei ministri, e la propone al presidente della Repubblica, che procede alla nomina. Poi il voto in Parlamento. Questa volta, nessuna logorante trattativa con gli sherpa delle forze politiche su posti e su nomi.
Ancora: Draghi è la certificazione del fallimento di questa classe politica. E sarà il caso di ragionare sul perché non c’è più, da tempo, una classe dirigente, e di come non si formi più. Sono venuti meno i cosiddetti corpi intermedi, partiti, organizzazioni collaterali; e perfino il sindacato ha perso le sue specifiche, originarie, genuine connotazioni. Una degenerazione che oggi esplode in modo dirompente, ma va avanti fa anni. Una classe dirigente, piaccia o no, presuppone partiti, professionalità e competenze, idee e programmi; conoscenza delle proprie storie e radici, visione del futuro.
Già si avvertono i segnali di profondi cambiamenti, soprattutto nei Cinque Stelle e nella Lega. Al presidente del Consiglio spetta un compito da far tremare le vene dei polsi: il ruolo di traghettare l’Italia verso un risanamento economico, sociale e politico.
Premesso che in politica buona regola è, “mai dire mai”; e che esprimersi, come molti fanno, in termini calcistici, è una semplificazione che non porta lontano; premesso che a voler pure utilizzare questa terminologia, si può pure stabilire che questa o quell’altra partita è vinta da Tizio e persa da Caio, ma il campionato è lungo anni e anni, e dunque non si può mai davvero dire…
Al momento, dovessi dire chi vince, mi sembra che in testa ci sia Mattarella; poi, certamente Draghi. Un vincente mi sembra essere quello che sembrava squalificato a vita: Silvio Berlusconi, che ha l’handicap solo dell’età e della salute; altro vincitore: Giorgetti, cosiddetto numero due della Lega.
Non mi azzardo a dire che Renzi sia un vincente, solo perché è sotto la luce dei riflettori. Continuo a pensare che sia un “effetto ottico”. Al momento non ha perso; ma non lo considero per questo vincente.
Non è vincente Matteo Salvini, anche se grazie a Renzi, torna in qualche modo al Governo, e comunque a tavola, per qualche fetta di torta. Come Berlusconi.
Dei 5 Stelle azzardo un precario vincente Di Maio; gli altri pateticamente cercano di non andare a fondo, ma il loro destino mi pare segnato.
Del PD, Nicola Zingaretti e compagni, non parlo. Per la buona ragione che non giocano. Non sono neppure scesi in campo.
Poi, ovviamente, tanti fattori, “altri” e molti “esterni”, da cercare nelle cancellerie di Washington, Bruxelles, Berlino, Parigi. Un po’ anche dalle parti del Vaticano.
Il “campionato” comunque è lungo; e sicuramente di sicuro non c’è nulla, a parte – come s’usa dire – la morte e le tasse. Più le seconde della prima.

La lista dei ministri presentata da Mario Draghi al presidente Sergio Mattarella (Video)
Rapporti con il Parlamento e democrazia diretta Federico d’Incà
Innovazione tecnologica e transizione Vittorio Colao Pubblica
Amministrazione Renato Brunetta
Affari regionali e autonomie Mariastella Gelmini
Sud Mara Carfagna
Politiche giovanili Fabiana Dadone
Pari opportunità e famiglia Elena Bonetti
Disabilità Erika Stefani
Turismo Massimo Garavaglia
Affari Esteri e Cooperazione internazionale Luigi Di Maio
Interno Luciana Lamorgese
Giustizia Marta Cartabia
Difesa Lorenzo Guerini
Economia e Finanze Daniele Franco
Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti
Politiche agricole alimentari, forestali Stefano Patuanelli
Transizione Ecologica Roberto Cingolani
Infrastrutture e trasporti Enrico Giovannini
Lavoro e politiche sociali Andrea Orlando
Istruzione Patrizio Bianchi
Università e ricerca Cristina Messa
Cultura Dario Franceschini
Salute Roberto Speranza