La lotta al Covid-19, i vaccini, la ripresa economica, la disoccupazione e gli aiuti a milioni di famiglie stremate dalla pandemia: l’agenda di Joe Biden è piena di importanti impegni per cercare di stabilizzare il Paese in piena crisi per il coronavirus. Nonostante ciò è Donald Trump che continua a monopolizzare l’opinione pubblica americana.
In serata la speaker della Camera, Nancy Pelosi, deposita al Senato l’atto di accusa per l’impeachment dell’ex presidente, incriminato dalla Camera dei Rappresentanti per aver incitato la folla accorsa al suo comizio ad irrompere nel Congresso mentre il Senato procedeva alla certificazione finale delle elezioni vinte da Joe Biden. Un disperato gesto finale dopo che pochi giorni aveva tentato di rovesciare l’esito elettorale del 3 novembre.

Oggi l’ispettore Generale del dipartimento della Giustizia, Michael Horowitz, ha aperto una indagine interna per investigare quanto riportato dal New York Times e dal Wall Street Journal. Secondo i due influenti quotidiani l‘obiettivo era quello di licenziare Jeffrey A. Rosen, che aveva preso temporaneamente la carica di Attorney General dopo le dimissioni di William Barr, il quale si era opposto a formulare un ricorso alla Corte Suprema per invalidare il risultato elettorale della Georgia e di aprire una indagine sul Dominion Voting System, le machine elettorali usate nelle ultime elezioni. Rosen aveva detto che il ricorso non aveva nessuna validità giuridica e che tantomeno si sarebbe potuta aprire un indagine sulle machine elettorali della Dominion dopo che nessuno era stato in grado di provare in tribunale i brogli elettorali. La conversazione – secondo quanto afferma il New York Times – sarebbe stata molto animata e Rosen avrebbe minacciato di dimettersi se il ricorso fosse stato presentato. Per questo motivo Trump lo voleva licenziare sostituendolo con Jeffrey Clark, alto funzionario del ministero della Giustizia. Il tentativo scrive il New York Times è fallito poiché anche Clark dopo una lunga discussione su come poter ribaltare il risultato elettorale ha detto al presidente che non c’erano le basi giuridiche per presentare il ricorso alla Corte Suprema. Solo allora – scrive il, NY Times – Trump si arrese all’idea di rivolgersi ai magistrati per cercare di cambiare l’esito elettorale.

A questo proposito gli avvocati della Dominion Voting System hanno citato in giudizio per diffamazione l’avvocato di Trump, Rudy Giuliani chiedendo un risarcimento di un miliardo e 300 milioni di dollari per le ripetute affermazioni che i brogli elettorali erano stati compiuti con le loro machine elettorali in 28 Stati. “Con le false affermazioni fatte da Trump e dai suoi avvocati per ingannare i suoi elettori affermando che i brogli elettorali erano avvenuti con le nostre macchine elettorali ben sapendo che non era vero – ha scritto nell’atto di citazione il Chief Executive Officer della Dominion, John Poulos, – l’immagine della compagnia è stata gravemente compromessa arrecando un irreparabili danni”. E’ questo il secondo atto di citazione per diffamazione dopo che l’8 gennaio era stata citata in giudizio Sydey Powell, altro avvocato di Trump, accusata anche lei di aver distrutto l’immagine della compagnia con le sue false affermazioni.
Il processo di impeachment inizierà tra due settimane dopo un accordo bipartisan raggiunto tra Chuck Schumer e Mitch McConnell, su suggerimento del presidente Biden che vuole ora il Senato concentrato a ratificare le sue nomine dei ministri scelti per il suo gabinetto. La decisione però ha deluso la frangia più liberal del partito democratico che invece voleva che il procedimento fosse avviato immediatamente perché già da giorni è cominciato tra i parlamentari del Gop il ripensamento delle condanne che avevano espresso subito dopo l’invasione del Congresso.
Sono tanti infatti i parlamentari che ora cercano di mitigare le violente parole del presidente che hanno fatto da preludio all’attacco. Primo tra tutti il senatore della Florida Marco Rubio e tutti gli altri come Ted Cruz, Tom Cotton, Lindsay Graham e Josh Hawley. Ora il leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnell si trova con il partito diviso tra i seguaci di Trump e quelli che Trump lo vorrebbero fuori dai giochi politici. I seguaci di Trump vogliono capitalizzare su quei milioni di voti dati all’ex presidente. I repubblicani che si oppongono alla difesa politica dell’ex presidente, primi tra tutti Mitt Romney e Lisa Murkowski, vogliono chiudere il capitolo Trump e concentrarsi sulle difficili problematiche che il Paese deve affrontare.

Mitch McConnell si rende conto che Trump sta diventando sempre più una spina nel fianco nel partito. La velata minaccia di formare una sua coalizione attrae molti politici del Gop che sarebbero pronti a saltare sul suo carro. Proprio ieri la figlia Ivanka ha ventilato la possibilità di presentarsi alle prossime elezioni al Senato sfidando l’attuale senatore repubblicano Marco Rubio. Una indiretta conferma si è avuta ieri quando l’ex presidente parlando a Mar A Lago con un giornalista del Washington Examiner alla domanda se stesse pensando di ripresentarsi in politica gli ha detto “Faremo qualcosa, ma non subito”. Forse vuole aspettare l’esito dell’impeachment perché se dovesse essere riconosciuto colpevole di aver incitato la folla ad assaltare il Congresso, perderebbe anche la possibilità di ricoprire una carica elettiva.
In queste due settimane di intervallo prima dell’impeachment le parti si stanno preparando alla fase dibattimentale e questa volta i democratici che hanno la maggioranza potranno chiamare a deporre i testimoni, cosa che non avvenne nel primo impeachment perché avendo allora i repubblicani la maggioranza bloccarono le testimonianze. Una delle questioni legali principali sarà la costituzionalità del procedimento contro un presidente già decaduto. E’ già stato stabilito che non sarà il capo della Corte Suprema John Roberts a presiedere la fase dibattimentale dell’impeachment, ma Patrick Leahy, il senatore democratico con la maggiore anzianità di servizio. Per la condanna è necessaria una maggioranza de due terzi: ai 50 senatori democratici dovranno unirsi quindi almeno 17 colleghi repubblicani.

Ed ecco che il lavoro del nuovo presidente viene oscurato dalla battaglia politica contro Trump. La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, dopo aver detto che tre volte la settimana ci saranno aggiornamenti sulla lotta al coronavirus, ha confermato che Biden ha imposto nuovamente da oggi il divieto di entrare negli Stati Uniti alla maggior parte dei cittadini non statunitensi provenienti da Regno Unito, Brasile, Irlanda e gran parte dell’Europa, inclusa l’Italia. Ed estende questo divieto anche a chi arriva dal Sudafrica, dopo le segnalazioni delle nuove varianti del virus negli Usa. Ma non solo. Biden ha firmato un decreto che chiede alle agenzie federali di acquistare prodotti “Made in Usa” con l’obiettivo di rilanciare l’economia nazionale e salvare posti di lavoro. Ha poi rimosso il divieto imposto da Trump che impediva ai transgender di arruolarsi nelle forze armate. Il provvedimento è appoggiato dal ministro della Difesa Lloyd Austin.

Al Senato proseguono in commissione l’esame dei candidati scelti da Biden per il suo gabinetto: dopo l’approvazione all’unanimità di Janet Yellen al ministero del Tesoro la conferma arriva in serata dal Senato. E’ la prima donna negli USA a ricoprire questo importante incarico di governo. Ieri anche in commissione Alejandro Mayorkas che dovrà ricoprire il ruolo di segretario alla Homeland security e Anthony Blinken scelto come Segretario di Stato.