Alla fine, il dilemma amletico in cui spesso un politico – e nel caso specifico il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana si trova è: meglio colpevole, o meglio allocco?
Per sgomberare subito il terreno da possibili obiezioni: neppure per un attimo si è sfiorati dall’idea di imbastire un processo penale, per quello ci pensino i magistrati; e per la sentenza, i giudici. E’ affar loro, loro se la sbrighino. Qui ci si limita a svolgere un ragionamento sulla base degli elementi (spesso contraddittori) che sono a disposizione.
E’ il caso di cercare di ricostruire la vicenda. In piena emergenza Covid-19 la regione Lombardia – che è tra le più colpite – chiede all’azienda di proprietà del cognato del presidente (Attilio Fontana appunto), e con una quota di partecipazione della consorte (di Fontana), la fornitura di alcune decine di migliaia di camici; prezzo circa mezzo milione di euro. Fontana sostiene di non saperne nulla (cognato e moglie non ne parlano, evidentemente); ma la cosa non sfugge ai cronisti di una trasmissione della RAI, “Report”. A questo punto, Fontana chiama il cognato: la commessa non è più tale, si trasforma in donazione. Per risarcire il mancato guadagno del cognato, Fontana preleva 250 mila euro da un suo conto svizzero, su cui sono depositati circa cinque milioni. Denaro dell’anziana madre (di cui Fontana era fiduciario finché la donna era in vita; erede, dopo che è deceduta). Questo denaro era amministrato da un brocker che in tutto o in parte lo aveva depositato in qualche istituto di credito nelle Bahamas, e in parte è tornato in Italia beneficiando dello scudo fiscale: un marchingegno congegnato per consentire a chi aveva depositato illegalmente denaro all’estero, di “ripulirlo” in cambio di una percentuale da versare alle perennemente esangui casse dello Stato italiano. Ad ogni modo, i termini dell’operazione sono risultati perlomeno bizzarri, il bonifico bloccato, ed è partita l’inchiesta di Bankitalia. Ciliegina finale: buona parte dei camici prima venduti, poi “donati”, non sono neppure stati consegnati; e qualche giorno fa la Guardia di Finanza li ha sequestrati.

Fontana è dirigente della Lega, e il leader Matteo Salvini lo difende a spada tratta; si capisce: la regione Lombardia è un fiore all’occhiello della Lega e della sua capacità di ben amministrare. Sconfessare Fontana, equivale ad ammettere una macchia sull’“onore” dell’intero partito. Impensabile. Meglio inveire contro il complotto ordito dalla magistratura politicizzata.
Detto che sulla magistratura italiana, non da ora, grava il pesante sospetto di inchieste ad orologeria; e detto anche che per primo chi scrive nutre pochissima fiducia sull’operato della medesima, si deve anche riconoscere che non ha tutti i torti Salvini quando osserva che è curioso il caso di un politico indagato non tanto per aver intascato denaro, piuttosto per averlo sborsato.
Riconosciuto questo, e data per buona la “giustificazione” occorre però fissare alcuni punti: il presidente della Lombardia non sa nulla dell’appalto; quando ne viene a conoscenza non se ne preoccupa granché, e comincia a interessarsene solo quando i giornalisti cominciano a far domande. A questo punto, la “commessa” diventa “donazione”. Se i giornalisti non se ne fossero occupati, la “donazione” sarebbe rimasta “commessa”? Ad ogni modo non è elegante utilizzare un fornitore che è cognato che gestisce un’azienda di cui la moglie è comproprietaria. E fermiamoci all’“eleganza”.
Quanto al denaro all’estero, finora non sembra si sia ravvisato alcun illecito; ma Fontana si difende sostenendo di saper poco o nulla di quello che avevano fatto i genitori; e, divenuto proprietario di quei milioni di euro sparsi tra la Svizzera e le Bahamas, di non essersene occupato. Normale che si disponga di un “tesoro” e neppure un paio di volte l’anno ci si preoccupi di sapere come viene amministrato? E se si amministra con questa “leggerezza” proprietà e beni personali, come non essere attraversati dal sospetto che analoga “leggerezza” la si pratichi nell’amministrazione della cosa pubblica? Si ripete: nessun reato. Però qualche pensiero cattivo viene spontaneamente. Ed è noto che la moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.

Ad ogni modo non si vorrebbe essere nei panni dell’avvocato Jacopo Pensa, difensore di Fontana. E’ vero che gli avvocati, per mestiere, devono sostituire cuore e stomaco con peli degni di oranghi. Però come linea di difesa stante lo svolgersi dei fatti, le dichiarazioni rese da Fontana, i comportamenti, non resta che appellarsi – sia pure mascherando la richiesta con tutta la sua abilità oratoria che non si discute – all’incapacità di intendere del suo assistito. Proprio le accuse rivolte a Fontana, sono la prova della sua innocenza: chi si sarebbe comportato in un modo così sgangherato e privo di logica? Chi è colpevole si preoccupa di procurarsi un alibi. L’innocente non ci pensa. Ecco dunque che si vuole credere all’immacolatezza di Fontana. Che però si rivela quantomeno sprovveduto; e uno sprovveduto al vertice di una regione chiave come la Lombardia non dovrebbe proprio starci. Il primo a capirlo dovrebbe essere Salvini. Il leader della Lega dovrebbe essere il primo a chiedere un passo indietro a Fontana. Fontana dovrebbe essere il primo a fare un passo indietro, senza che Salvini glielo chieda.
Se poi Fontana non è sprovveduto, e come tale non vuole passare, ci pensino i magistrati. I passi indietro potrebbero diventare molti di più…