Passano gli anni, i governi e le pandemie, ma in Italia non si smette mai di pensare agli Stati Uniti.
Sarà forse il mito della favolosa vita a stelle e strisce a mantenere vivo l’interesse dello stivale. Fatto sta che, nonostante il contesto internazionale sia notevolmente cambiato dal dopoguerra ad oggi, l’idea che laggiù, oltreoceano, vi sia un mondo degno di essere ammirato, sembra non voler abbandonare il cuore degli italiani.
C’è interesse, curiosità e alcune volte persino paura. Le sensazioni sono tante, ma è normale. Dalle strade strette e dagli edifici bassi di molte città italiane, pensare agli sterminati paesaggi dell’entroterra americano o agli interminabili grattacieli di New York, fa per forza un certo effetto.
I media italiani condividono ogni giorno decine di informazioni sullo stato di salute degli States. D’altronde, sono ancora la prima potenza economica al mondo. Difficile rimanere indifferenti, quando si parla di loro.
Certo, la situazione non è delle migliori. Un ciclone ha investito gli USA, scossi dal coronavirus e dalle tante proteste anti razzismo successive all’omicidio di George Floyd.
La stampa italiana ha prestato molta attenzione a queste due tematiche, tanto che ogni italiano, dal più giovane al più attempato, un’opinione se l’è fatta.
Chi sui social, chi grazie a un giornale, chi mettendosi seduto davanti al televisore.
Da nord a sud, l’Italia ha seguito le dinamiche americane con un occhio sempre attento, formando una coscienza critica che non lascia spazio alle incertezze.

Raccogliendo pareri da circa 80 uomini e donne di diversa provenienza, professione e appartenenza politica, è emerso un quadro generale molto eterogeneo. Non che sia una novità: gli italiani sono famosi per dividersi in fazioni spesso totalmente divergenti.
Si passa così da chi acclama la libertà statunitense, a chi la condanna senza mezzi termini. Da chi crede nel sogno americano a chi definisce “esasperata” la competizione sociale.
Massimo, bancario nato e cresciuto a Parma, ama gli ampi spazi degli States e le aree poco popolate, mentre Vanessa, giovane studentessa di Roma, pensa che il caos e la dinamicità di New York siano il luogo adatto a lei.
Su una cosa, però, tutti concordano. Anche i più critici, alla domanda “Tra un mondo ancora dominato dagli USA e uno controllato dalla Cina, in quale preferiresti vivere?” rispondono convinti: USA.
“Con gli Stati Uniti sarebbero maggiormente rispettate le mie libertà e la mia vita cambierebbe meno”, sostiene Luca, ristoratore romano ormai prossimo alla pensione.
La Cina infatti intimorisce. Gli italiani ne rispettano l’obbedienza civile e la cultura del lavoro, ma il regime comunista e le pesanti restrizioni alla libertà personale la fanno apparire, ai loro occhi, un luogo inospitale. “Grandi lavoratori – specifica l’impiegato Fabrizio, trentenne di Bologna appassionato di politica internazionale -, ma non mi fido di loro. Sono troppo omertosi”.
Meglio gli Stati Uniti, anche se occorre una precisazione. È presentimento comune, infatti, che negli ultimi anni la situazione oltreoceano sia progressivamente peggiorata. Soprattutto nell’ultimo periodo.
Complici le problematiche attuali, dalla malagestione del virus a quella delle proteste antirazziste, il Paese della “dolcevita” percepisce il momento di difficoltà degli alleati occidentali.

“Il periodo – racconta Antonella, casalinga parmigiana che i cinquanta li ha passati da un po’ – è molto difficile. Gli americani detengono ancora un grande potere economico, ma hanno sottovalutato la pandemia e ora ne pagano le conseguenze”. Con lei concordano Patrizia, dirigente aziendale di Milano ai primi di anni di carriera e Mattia, studente trevigiano di medicina che vede nella sanità il punto critico del modello statunitense.
Giovanni, 20 anni e un’adolescenza passata tra le valli del Prosecco e un ambiente prevalentemente conservatore, su un aereo per gli States non ci è mai salito, ma il suo sogno è quello di raggiungere il successo e trasferirsi in un attico tra le strade di Manhattan. Mentre parla, gli occhi si illuminano di speranza. D’un tratto, però, si incupisce. “Gli States sono un paradosso, sia per il disinteresse di Trump verso un movimento di portata colossale come il Black Lives Matter, sia per Kanye West che si candida alle presidenziali. Per quanto riguarda l’emergenza covid-19, invece, credo Trump abbia dato più importanza all’aspetto economico che alle vite umane”.
I problemi, dunque, non sono tanto l’economia, il lavoro o lo stile di vita. Il grande dibattito finisce sempre per concentrarsi sulla politica e, inevitabilmente, sui suoi protagonisti.
“Sentite, ma se vi chiedessi cosa ne pensate di Trump?”. Di fronte a me, due persone molto diverse.
Da un lato Maria, una libera professionista di Palermo, capelli neri e grandi occhiali appoggiati sul naso. Dall’altro Matteo, un giovane emiliano dallo sguardo fiero e con pochi peli sulla lingua.
Inizia lei: “Il peggiore presidente che gli Usa abbiano mai avuto. Razzista e ignorante”.
Lui replica: “Mi piace un sacco. Ha coraggio e se ne frega di ciò che pensa la gente”.

Tirando le somme delle tante risposte collezionate, sembra che la prima vada per la maggiore. Anche tra diversi elettori di destra, nel 2016 convinti sostenitori di Trump, l’uomo eletto per rendere l’America “great again” ha lasciato un cattivo ricordo.
Più che per le politiche portate avanti, aspramente criticate dalla sinistra, ma appoggiate dalla maggioranza della destra italiana, di Trump si criticano i gesti, la dialettica e i comportamenti.
Per Giulia, laureata da poco alla Sapienza di Roma è un “egoista, megalomane e presuntuoso”. “Il Berlusconi americano”, lo definisce Roberto, parmigiano e medico da oltre trent’anni.
Molti sperano che alle elezioni del prossimo 3 novembre venga cacciato. È evidente, rispetto al successo ottenuto quattro anni fa, il suo attuale declino.
Potrebbe apparire strano. In un momento storico nel quale, a livello teorico, la destra rappresenta la maggioranza degli italiani, il presidente che ha fatto del conservatorismo il proprio cavallo di battaglia viene così duramente contestato.
La spiegazione è semplice: nello Stato in cui per cinquant’anni ha governato la Democrazia Cristiana, i modi rudi e troppo aggressivi non trovano terreno fertile. O almeno non a lungo.
Dallo stivale si alza dunque un brusio cacofonico. Le opinioni si accavallano. Convergono e si scontrano. Gli Stati Uniti, in ogni caso, non devono temere. Sono un sole troppo grande perché il girasole Italia smetta di osservarli. Così è stato fino ad oggi e così sarà anche in futuro.
Dovrebbero solo, almeno secondo molti, aggiustare un po’ il tiro, tornando così ad essere il maestoso faro capace di illuminare l’intero occidente.