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Mai come quest’anno, com’è difficile dire: buon Primo Maggio, Ciàula!

Quanti sono i morti sul lavoro nel mondo all'anno? Prima della tempesta coronavirus, si contavano almeno un milione e trecentomila decessi. E adesso?

Valter VecelliobyValter Vecellio
Mai come quest’anno, com’è difficile dire: buon Primo Maggio, Ciàula!

Zolfatari in Sicilia: dipinto di Renato Guttusu (Tate Galley, London)

Time: 6 mins read

Festa del 1 maggio, Luigi Pirandello… C’è un nesso? Chi può, dal momento che quest’anno si è un po’ tutti rattrapiti e “chiusi” nelle proprie abitazioni a causa delle restrizioni del Coronavirus, e non ci saranno gli usuali concerti, cortei, comizi…, chi può ne approfitti per leggere una delle novelle più struggenti di Pirandello: “Ciàula scopre la luna”.

Luigi Pirandello nel suo studio: 1924

La vicenda è ambientata nella Sicilia rurale, lo scenario quello di una cava di zolfo, “la buca della Cace”, primi del Novecento. Il sorvegliante Cacciagallina, pistola in pugno, ordina agli zolfatari di lavorare tutta la notte, per finire il carico della giornata. I minatori si rifiutano, Cacciagallina infierisce su un vecchio zolfataro, Zi’ Scarda, costretto a restare assieme a un giovane caruso, Ciàula, appunto. Vive in un mondo tutto suo, Ciàula, senza girarci troppo intorno: è un mezzo scemo. Del resto, conosce solo il buio della miniera, e la fatica… Quella è la sua casa, il suo mondo. Lì, si sente perfino protetto, al sicuro. E’ quando esce, che è terrorizzato; come quando uscito dalla galleria “scopre” la notte buia:

“S’era messo a tremare, sperduto, con un brivido per ogni vago alito indistinto nel silenzio arcano che riempiva la sterminata vacuità, ove un brulichìo infinito di stelle fitte, piccolissime, non riusciva a diffondere alcuna luce”.

E’ preso d’angoscia, il povero Ciàula, nella miniera con Zi’ Scarda, quando, schiacciato dal carico pesantissimo che sta trasportando sulle spalle, si avvicina all’ingresso della miniera dove sa che lo coglierà il buio terrificante della notte. Qui Pirandello si rivela poeta dolce e tenero: Ciàula esce dalla cava e, per la prima volta, vede la Luna che rischiara ed illumina il paesaggio circostante. Il terrore diventa un pianto liberatorio:

“…si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”. 

Quanti Ciàula, in Sicilia, in Italia, ovunque nel mondo; e non solo nel primo Novecento. Si potrebbe a questo punto citare Charles Dickens i cui racconti e romanzi, ambientati nella “favolosa” Inghilterra della rivoluzione industriale “dicono” dello sfruttamento bestiale dell’uomo sull’uomo assai più e assai meglio dei tanti tomi del “Capitale” di Marx e di Engels…

In questo “viaggio” inevitabile a questo punto approdare a uno dei più bei film di Francesco Rosi: “Salvatore Giuliano”. Rosi, nel 1960, affronta l’inquietante vicenda di un bandito diventato il nemico dello Stato italiano, morto dieci anni prima ufficialmente in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. In realtà Giuliano viene ucciso a tradimento dalla Cosa Nostra e consegnato morto allo Stato, nel quadro della collusione tra potere politico e istituzioni e quello mafioso. Racconta Rosi:

“Fu traumatico sentir dire in un film dall’interno della gabbia degli imputati del processo per i fatti di Portella della Ginestra – la prima strage politica consumata nel nostro Paese il 1° maggio 1947, e il primo dei misteri italiani irrisolti – che “mafia, polizia e carabinieri erano una sola trinità”; o che mentre carabinieri, poliziotti e soldati gli davano la caccia, Giuliano si abbracciava con l’ispettore del Corpo Forze Repressione Banditismo; o vedere che il bandito si recava tranquillamente nel suo paese, Montelepre, presidiato da 2000 tra poliziotti, soldati e carabinieri. Fu traumatico, ma andò ben oltre il clamore scandalistico, come non si era fermato allo scandalo l’articolo di Tommaso Besozzi, il grande giornalista che aveva rivelato su “l‘Europeo”, all’indomani del ritrovamento del corpo di Giuliano in un cortile di Castelvetrano, che ad ucciderlo non erano stati i carabinieri, ma un patto tra la mafia e lo Stato”.

Rileggiamo: “…i fatti di Portella della Ginestra – la prima strage politica consumata nel nostro Paese il 1° maggio 1947, e il primo dei misteri italiani irrisolti…”.

La scena della strage di Portella della Ginestra nel film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi

I “fili” si stanno intrecciando: il povero Ciàula, i lavoratori bestialmente sfruttati, le lotte per il riscatto e la dignità; le repressioni banditesche, bracci armati di sfruttatori “per bene”, rispettabili e rispettati. E’ stato Balzac a riassumere la situazione: “Dietro ogni grande fortuna c’è un crimine”. Magari non sempre; ma quasi sempre sì. E non solo “dietro”, visto che le ricchezze una volta create, le si vuole conservare, incrementare…

Conosciamo tutti la raccolta di poesie di Edgar Lee Masters, “L’antologia di Spoon River”: diciannove storie che “raccontano”, sotto forma di epitaffio, 248 personaggi, nell’immaginario microcosmo di Spoon River. Masters intende demistificare la realtà di una piccola cittadina americana. In realtà Spoon River è il mondo. Ecco, a questo punto, immaginiamo una Spoon River delle vittime del lavoro. Se ne trarrebbe un “poema” di dimensioni molto più corpose dell’opera omnia di William Shakespeare, di Dante, di Omero.

Ci si limita all’Italia e al solo 2019. Carlo Soricelli, che da anni cura un “Osservatorio indipendente sui morti sul lavoro” stima che siano oltre 1400 gli incidenti mortali: quattro ogni giorno, domenica e feste comprese. Gli ultimi due il pomeriggio del 30 dicembre: uno dei due era un operaio moldavo di 43 anni a Funo di Argelato, vicino Bologna: si chiamava Valeriu Golban, morte orribile, finito decapitato…

Solo nel mese di gennaio 2020, e già si era in emergenza Coronavirus, 52 le vittime di incidenti sul lavoro.

Quanti sono i morti sul lavoro nel mondo? Impossibile censirli, è evidente. Fonti del sindacato che evidentemente sono approssimate per difetto parlano di almeno un milione e trecentomila decessi sul lavoro; senza contare i casi di malattie professionali: almeno 160 milioni l’anno; gli incidenti sul lavoro non mortali circa 300 milioni. Dati approssimativi, si diceva: non si tiene conto della crescita del lavoro “nero” e irregolare e di tutto il “sommerso” di illegalità che quel mondo comporta e occulta, morti compresi, spesso fatti passare per incidenti stradali o decessi per altra causa.

Poi… Poi siamo all’oggi. Un “oggi” che registra un altro tipo di “mortalità”. I morti per eroismo. Anche chi – come chi scrive rifugge da espressioni tipo: “il Coronavirus è come una guerra”, “si combatte un ‘nemico’ invisibile”), non può che definire eroi le migliaia di medici, infermieri, volontari, ricercatori che in tutto il mondo si stanno prodigando allo stremo nel tentativo di contrastare gli effetti micidiali del virus; e in questo loro sforzo allo stremo per salvare vite umane, rimangono spesso vittime e, come si dice, “cadono sul campo”. Quanti sono questi eroi, che vediamo avvolti in “sudari” pesanti, soffocanti, costretti a conservare calma e lucidità di fronte a sofferenze e morti atroci; chiamati a dire una parola di conforto a persone condannate, e certamente obbligate, a volte, a operare scelte dolorose, traumatiche: chi cercare di salvare, chi rassegnarsi che muoia… Quei nomi, quelle storie, a volte le leggiamo nelle cronache dei giornali, un’occhiata distratta; oppure nelle ore della colazione e della cena, dagli schermi delle televisioni, una manciata di secondi, poi via…

Il Primo Maggio al tempo del Coronavirus: Illustrazione di Antonella Martino

Quegli eroi: i medici, gli infermieri, i volontari, caduti, come “risarcirli” facendo in modo che il ricordo del loro sacrificio non vada almeno smarrito? Targhe e monumenti all’ingresso degli ospedali dove sono “caduti”? Qualche Edgar Lee Masters riuscirà a ricordarli? Clint Eastwood che film dopo film racconta come nessun altro (forse solo John Ford, prima) il “Grande romanzo americano” (e dunque del mondo), in un suo prossimo film racconterà la storia di queste persone che il caso ha trasformato in martiri ed eroi?

E gli altri, quelli che hanno avuto fortuna, vivono e vivranno, inseguiti ogni notte e ogni giorno, dai fantasmi che hanno visto e udito, che hanno fatto e visto fare… Ci sarà per loro, un giorno, anche per loro, come per Ciàula, la liberatoria scoperta della luna e l’irrefrenabile, consolatorio, pianto?

E’ davvero difficile, quest’anno dire: buon primo maggio.   

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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