Il professor Andrea Crisanti insegna microbiologia e virologia all’Università di Padova ed ha insegnato parassitologia molecolare all’Imperial College di Londra, una delle istituzioni scientifiche più importanti del mondo. Lo avrete probabilmente già visto in TV, in molte trasmissioni dove il professore viene invitato per parlare di coronavirus.
Ma non solo, il professore fa parte della task force anti Covid-19 che ha convinto il governatore del Veneto Luca Zaia a reagire con tempestività isolando il primo focolaio di Vò Euganeo.
Professore, ci può raccontare meglio come si sia fatto fronte alla diffusione del virus in Veneto?
“In Veneto bisogna dire che c’è un’ottima e diffusa rete di medici di base e servizi sul territorio. In più a Padova, come allo Spallanzani di Roma e al Sacco di Milano, è in atto una continua sorveglianza sulle malattie infettive e già dalla seconda settimana di gennaio l’OMS ci aveva avvertito di una polmonite atipica che si stava diffondendo in Cina. Pensi che l’università di Padova ha un grande scambio di studenti Erasmus proprio con Wuhan e ci siamo preparati con mezzo milione di test, facendo un grande investimento. Il punto di svolta si è avuto quando fra la notte del 20 e 21 febbraio è morto un paziente a Vò Euganeo, dopo una quindicina di giorni durante i quali ha combattuto contro una strana polmonite bilaterale. Abbiamo quindi convinto il governatore a chiudere la zona di Vò e a testare tutti i cittadini, ottenendo così una “fotografia” della cittadinanza, senza far uscire o entrare nessuno. Abbiamo quindi riscontrato che nella popolazione c’era il 3% di infettati, che su scala nazionale poteva significare un milione e mezzo circa di persone. Isolare Vò ci ha permesso di fare uno studio approfondito, abbiamo preso atto che il 45% dei positivi era asintomatico e che anche gli asintomatici potevano infettare altri. Credo che l’isolamento di Vò sia stato davvero ciò che ha salvato il Veneto”.

Ci può spiegare come mai questo virus sembra colpire più gli uomini delle donne? Sembra che circa il 60% dei ricoverati sia di sesso maschile.
“Il discorso è complesso, ci sono varie ipotesi, ma probabilmente le donne sono più protette geneticamente. Nelle cellule solo un cromosoma è attivo e la X potrebbe fornire uno scudo maggiore all’entrata del virus. Ci potrebbero cioè essere delle varianti genetiche che impediscono alle molecole del virus di entrare”.
Pensando ai dati italiani e confrontandoli con quelli cinesi, come mai l’Italia ha un’incidenza maggiore di decessi?
“Se posso essere sincero, i dati cinesi non mi convincono appieno, avremo bisogno di più tempo anche per unificare i dati italiani, non sono ancora aggregati”.
In molti stanno premendo per riaprire almeno le imprese, ma come si può riaprire un intero paese prima di avere un vaccino?
“Bè, infatti bisognerà pensare ad una apertura programmata perché per il vaccino ci vorrà tempo, probabilmente anche due anni, tenendo conto dei tempi per trovarlo, per controllare le possibili reazioni avverse, per commercializzarlo per poi poterlo offrire a tutti. Per riaprire gradatamente poi, bisognerà tenere conto delle tre D cioè diagnostica (fare test a tappeto), dispositivi di sicurezza ( mascherine per tutti) e dati (una aggregazione di dati per capire ad esempio dove si possa riaprire prima e con quali criteri). Bisogna inoltre riuscire a tracciare le persone prima di riaprire le attività, fare tamponi a tappeto e distribuire mascherine a tutti. Si dovrà davvero fare un grosso investimento in tecnologia e in controlli”.

E’ vero che il virus permane nell’aria?
“Se si è in una stanza con qualcuno che parla vicino a noi e magari tossice, il virus potrà rimanere più a lungo”.
Un’altra domanda che si pongono in molti è se si diventa immuni dopo che si contrae il virus e se il test degli anticorpi può essere utile a determinare l’immunità.
“La mia risposta è no, nel senso che non lo sappiamo con certezza, non sappiamo per quanto tempo svilupperemo anticorpi, il test potrebbe non servire a nulla nel medio- lungo termine, non sono test “protettivi””.
Come mai i bambini sembrano non essere colpiti dal virus?
“Bè, i bambini in effetti sembrano non infettarsi, ci sono pochissimi casi al di sotto dell’anno di età. Sul perché in verità ancora non ci sono certezze, solo ipotesi”.
Molti negli Stati Uniti parlano di una cura antivirus basata su idrossiclorochina e azitromicina. Ma ci sono davvero cure che funzionano contro questo virus?
“Idrossiclorochina e azitromicina, come anche altre cure che sono in studio al momento e che si stanno testando in Italia, possono essere cure valide se date subito, all’inizio della malattia”.

Secondo lei la sanità italiana dovrebbe essere centralizzata o funziona bene anche come è adesso, cioè controllata dalle Regioni?
“Iniziamo con il dire che il sistema sanitario italiano è sicuramente uno dei migliori al mondo, questo si evince dalla sopravvivenza ai tumori, dai tempi di diagnosi, dalla vita media elevata. La direzione regionale ha i suoi svantaggi (possono diventare pozzi di spesa ed essere oggetto di poteri clientelari) ma anche vantaggi, in quanto in mano alle regioni possono riflettere meglio la realtà del territorio. Certo, davanti alla pandemia il sistema è apparso troppo frammentato, non tarato per questa emergenza, ma questo non vuol dire che un sistema centralizzato funzioni per forza meglio”.
Lei ha fatto parte anche della task force che ha convinto il PM inglese Boris Johnson (al momento ricoverato in terapia intensive n.d.r.) a cambiare idea su come affrontare il virus, vero?
“Sì, lavoro anche con chi ha convinto Johnson a prendere una strada diversa da quella dell’immunità di gregge, che si potrebbe ottenere solo ad un caro prezzo di morti. Diciamo che all’inizio non era forse stato consigliato bene”.