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Il coronavirus contagia anche l’informazione sull’ambiente ma la Terra intanto respira…

Anche il monitoraggio del clima entra in crisi: molti progetti per la raccolta di dati ambientali sono stati rinviati o cancellati, come la Cop 26 rimandata al 2021

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
Il coronavirus contagia anche l’informazione sull’ambiente ma la Terra intanto respira…

Foto Gino Crescoli / Pixabay

Time: 5 mins read

Con l’attenzione di tutti concentrata sul corona virus, pare che a nessuno interessi più dell’ambiente. Anche la Commissione e il Parlamento europei, dopo la visita della Piccola Greta Thumberg per la presentazione da parte della Commissione europea di una proposta di legge al Parlamento europeo, la Climate Law, primo atto del nuovo Green Deal.  

L’impatto del corona virus sarà maggiore di quanto si immagini. Innanzitutto, la pandemia ha bloccato il lavoro scientifico sul campo. Anche il monitoraggio del clima potrebbe essere in crisi: molti  progetti per la raccolta di dati ambientali sono stati rinviati o cancellati. Perfino la ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la COP 26, in un primo tempo prevista a Glasgow dal 9 al 19 novembre, è stata rimandata al 2021: la decisione è stata ufficializzata durante un meeting virtuale al quale hanno partecipato la segretaria generale dell’UNFCCC, Patricia Espinosa e i rappresentanti dei principali blocchi regionali dell’Onu.

Nel frattempo, “Gli impatti dei cambiamenti climatici e la crescente quantità di catastrofi meteorologiche continuano”, come ha detto Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale. “La pandemia di Covid-19 rappresenta un’ulteriore sfida e può esacerbare i rischi multi-pericolo a livello di singolo Paese”. 

Molti eventi importanti (e gli argomenti da discutere) legati all’ambiente sono finiti nel dimenticatoio mediatico. Come lo studio della NASA che ha dimostrato una capacità del Nord Atlantico di assorbire meno CO2 di quella che si pensava. La ricerca appena pubblicata dimostrerebbe che l’assorbimento di carbonio nel Nord Atlantico avverrebbe più lentamente e meno in profondità. “Avrà sicuramente un impatto sul modello dei flussi di carbonio”, ha affermato il microbiologo Steve Giovannoni, dell’Oregon State University. Quindi “servirà più di una semplice modifica” ai sistemi previsionali adottati finora. 

Altra notizia per la quale i media non hanno trovato spazio l’incendio scoppiato nella foresta intorno alla zona proibita di Chernobyl. Le fiamme hanno scatenato un picco di radiazioni 16 volte superiori alla norma. Eppure l’unica a lanciare l’allarme è stata  Greenpeace Russia che ha denunciato incendi di torbiere in diverse aree del paese, con focolai nelle regioni di Jaroslavl, Tver, Mosca, Smolensk, Bryansk, Vladimir, Ivanovo ma anche vicino a Leningrado, a Pskov, a Novgorod, a Kaliningrad e a  Vologda. 

Greta Thunberg (Illustration by Antonella Martino)

A nessuno (nemmeno alla piccola Greta – ma che fine ha fatto?) sembra essere importato nulla dei risultati della ricerca pubblicata la scorsa settimana che ha descritto l’ondata di caldo che ha colpito l’Antartide “senza precedenti”.

Crollato ai minimi storici anche l’interesse per ciò che accade nel polmone verde del pianeta, la foresta amazzonica. Qui, lo scorso 16 marzo, si è verificata una grande inondazione, causata dalle forti piogge che hanno rotto le dighe di diversi bacini di piscicoltura situate a monte del fiume Piquiá. Le acque hanno invaso diverse comunità, distrutto decine di case e lasciato senza tetto centinaia di persone (che hanno cercato rifugio in chiese e scuole).

Sembra quasi che anche l’informazione sull’ambiente sia stata vittima del Covid-19. E posta in quarantena con essa tutti i problemi legati ai cambiamenti climatici (e non solo). Tanto che non si è parlato nemmeno degli effetti – non sono pochi – che avrà sull’ambiente la stessa pandemia.

In Cina, le misure di contenimento adottate hanno portato, in sole tre settimane, alla riduzione di un quarto delle emissioni di CO2. La causa di questo calo improvviso sarebbero dovute alla riduzione della produzione industriale (le stime parlano di una riduzione tra il 15% e il 40% nei settori trainanti dell’economia), ma anche al minore uso di auto, treni e aerei. Secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), le misure di quarantena avrebbero permesso di abbattere le emissioni di oltre 100 milioni di tonnellate di CO2 (solo un anno fa, la Cina rilasciava circa 400 milioni di tonnellate di CO2).

Stessa cosa nel Regno Unito. Il corona virus avrebbe ridotto la domanda di elettricità  tra il 9% e il 13%, secondo gli analisti di Cornwall Insight (a fronte di un consumo di energia domestica maggiore – le persone si isolano e lavorano da casa – si è verificato un calo della domanda di elettricità dovuto della chiusura di “grandi carichi elettrici” come fabbriche, negozi e ferrovie). Risultati analoghi in Italia, dove la riduzione del 60/70% del traffico delle grandi città avrebbe consentito un drastico calo dell’inquinamento.

Numeri importanti. Basti pensare che la riduzione su scala globale sarebbe di quasi il 6% in meno di emissioni rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Ma questo non basta per cantare vittoria: la riduzione delle emissioni potrebbe essere solo temporanea. Anzi secondo alcuni ambientalisti  potrebbe generare l’effetto opposto: “È molto verosimile che, nel momento in cui la diffusione del corona virus dovesse rallentare, potremmo assistere a un aumento della produzione delle fabbriche per compensare le perdite del periodo di inattività” ha detto Li Shuo, portavoce di Greenpeace China. “Sono dinamiche già testate e dimostrate”.

Dati emissioni

Il rovescio della medaglia, però, potrebbe avere effetti ancora peggiori. La concentrazione sul corona virus potrebbe consentire ad alcuni di chiedere e ottenere un rallentamento delle politiche in campo ambientale. Nel totale silenzio dei media, il presidente degli USA, Donald Trump ha (quasi) completamente eliminato i limiti per le emissioni delle industrie liberandole dall’obbligo di rispettare gli standard di efficienza ambientale. La misura emanata dalla responsabile dell’EPA, Susan P. Bodine, stabilisce nuove linee guida per le aziende per monitorare se stesse per un periodo indeterminato durante l’epidemia e dice chiaramente che l’EPA non emetterà multe per violazioni di determinate condizioni di aria, acqua e pericolo – obbligo di comunicazione dei rifiuti. Una decisione che il New York Times ha definito “sventrare la più importante politica del governo federale in materia di cambiamenti climatici”. “In generale, l’EPA non prevede di richiedere sanzioni per le violazioni del monitoraggio di conformità di routine, test di integrità, campionamento, analisi di laboratorio, formazione e relazioni o obblighi di certificazione in situazioni in cui l’EPA concorda sul fatto che Covid-19 è stata la causa della non conformità e l’entità fornisce la documentazione di supporto all’EPA su richiesta”, si legge nella direttiva. Si chiede solo alle aziende di “agire in modo responsabile” e di “ridurre al minimo gli effetti e la durata di qualsiasi non conformità” tenendo dei “registri” per segnalare all’EPA come i motivi legati al Covid-19 hanno impedito loro di rispettare le norme sull’inquinamento. Tutto qui.

É ancora presto per sapere l’impatto, diretto o indiretto, che queste misure e la stessa pandemia di corona virus avranno sull’ambiente.  Se da un lato è vero che le emissioni di CO2, nel mondo, hanno subito un rallentamento, dall’altro è altrettanto vero la capacità dell’Amazzonia di assorbire i gas serra sta diminuendo: nell’ultimo periodo ha perso un quinto della sua capacità di assimilare gas serra (e polveri sottili). E le ultime scelte di Bolsonaro a favore dei latifondisti brasiliani  lasciano presagire un ulteriore peggioramento della situazione.

Ma di questo nessuno (nemmeno la piccola Greta) ha parlato.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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