L’entrata in scena di Donald Trump per il suo discorso alla nazione è stata una dimostrazione di forza esemplare. Sette ufficiali delle forze armate statunitensi si sono predisposti in riga dietro al palco con addosso le loro divise militari affiancati dal segretario della Difesa Mark Esper, il segretario di Stato Mike Pompeo, e il Vice Presidente Mike Pence. Così, con la sala completamente immobile e un silenzio assordante, si è atteso l’arrivo del Presidente degli Stati Uniti. Il tutto lasciava presagire una dichiarazione di guerra contro il tanto odiato regime degli Ayatollah. E invece Trump ha aperto un’inedita fase di collaborazione, annunciando la volontà di stilare un nuovo accordo sul nucleare che possa andare a sostituire quello siglato da Obama nel 2015, ricordando l’importante partnership che i due paesi hanno avuto nel combattere il nemico comune dell’ISIS, e infine augurandosi la prosperità economica dell’Iran.
Ma questi buoni propositi che paiono aprire uno spiraglio per una de-escalation del conflitto tra i due paesi, seguono un avvertimento emblematico da parte di Trump: “finche rimarrò Presidente degli Stati Uniti, l’Iran non avrà mai una bomba nucleare.” Una risposta netta all’annuncio Iraniano del 5 Gennaio scorso sull’abbandono delle restrizioni imposte dall’accordo nucleare del 2015. Ancor prima che l’Iran potesse iniziare ad arricchire l’uranio sopra la soglia imposta del 4%, Trump ha voluto immediatamente ribadire che quella del nucleare è una fiche non negoziabile: se l’Iran vorrà raggiungere la tanto agognata prosperità economica con un abbassamento delle sanzioni statunitensi, dovrà dire addio alle proprie ambizioni sull’armamento nucleare. Inoltre, Trump non ha risparmiato critiche verso i propri alleati Europei – Italia nemmeno citata – invitandoli a cessare tutti gli affari con l’Iran, finche quest’ultimi non accetteranno le condizioni imposte dagli U.S.A.
Nonostante l’Iran abbia ripetutamente smentito le ambizioni belliche del proprio programma nucleare, è chiaro che il possedimento di una bomba atomica in un paese del golfo arabo scombussolerebbe l’intero scenario geopolitico della regione. Sarà perciò difficile convincere il leader supremo Khamenei a mollare definitivamente la presa. Ma una soluzione potrebbe esserci, e la ritroviamo nelle parole pronunciate dallo stesso Khamenei poco dopo l’attacco di ieri notte che ha colpito le due basi Americane di Erbil e Al Asad in Iraq. Nonostante la rappresaglia “proporzionata” che segue le “norme di auto-difesa dell’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite”, Khamenei ha specificato che l’unico modo per vendicare realmente la morte del generale Qassem Soleimani è quello di cacciare tutte le truppe Americane dalla regione. La sensazione è quella che se l’Iran avesse realmente voluto infliggere danni significativi all’America lo avrebbe potuto fare puntando all’uccisione di alcuni soldati americani. Scongiurando questo scenario con un “attacco cosmetico”, l’Iran non solo ha disteso il clima di tensione che si era creato nei giorni precedenti, ma ha anche certificato che vuole tutt’altro che una guerra con gli Stati Uniti. È quindi evidente che la vera risposta Iraniana all’uccisione del loro idolatrato comandante non è stato il bombardamento delle due basi americane in Iraq, ma sarà piuttosto la liberazione della regione, e dell’Iraq in primis, dalle forze imperialiste.
Un ritiro delle truppe Americane dal terreno di guerra Iracheno spalancherebbe le porte ad un assedio Iraniano del paese. L’Iran, che già controlla parte del parlamento Iracheno attraverso l’influenza dei propri clerici sciiti, potrebbe finalmente mettere le mani sui pozzi petroliferi del paese – molti dei quali bisognosi di modernizzazione e investimenti. Ora che l’America ha finalmente raggiunto l’indipendenza petrolifera – grazie al metodo di estrazione del “fracking”, portato avanti in terra domestica – potrebbe avere meno interessi nel paese, ed effettivamente lasciarlo in mano all’Iran in cambio di un accordo nucleare con Khameini. Ricordiamoci che la promessa elettorale di Trump è sempre stata quella di riportare a casa i propri ragazzi in giro per il mondo. Quale occasione migliore per portare a compimento questa promessa? Ha eliminato un “pericoloso terrorista” che “programmava attentati contro gli Americani”, ha evitato una nuova guerra nel golfo, ha stilato un nuovo accordo sul nucleare con l’Iran eclissando quello di Obama, e ha addirittura portato a casa i militari come promesso nel 2016. Una bella cartolina elettorale per garantirgli altri quattro anni sereni alla Casa Bianca, alla faccia dell’impeachment.