Mercoledì, quasi ora di pranzo a Manhattan. Incontriamo il regista Marco Bellocchio e l’attore Pierfrancesco Favino al ristorante di Midtown “Cardoncello divino”. Il loro film, candidato all’Oscar a rappresentare l’Italia nella categoria miglior film straniero, viene presentato, dopo un precedente passaggio al New York Film Festival, domani al Lincoln Center all’interno della rassegna “Italy on Screen Today Film Fest” organizzata da Loredana Commonara.
Ci sono giornalisti che ci precedono e altri che ci seguiranno; il regista e l’attore de “Il Traditore”, a turno vanno con l’uno o con l’altro per rispondere alle domande. Quando arriva il nostro turno, chiediamo che l’intervista a Bellocchio e Favino possa avvenire contemporaneamente. Insieme, assistiamo all’evidente “sintonia” tra il regista e l’attore protagonista di un film riuscito. Così, pensiamo, si potrebbe anche capire meglio quando i due, sul significato del lavoro raggiunto, non hanno le stesse idee. Un’ intervista su un film che ha per soggetto Tommaso Buscetta, crediamo, non può essere solo una questione estetica sull’arte del far cinema. Bellocchio non aveva certo bisogno di realizzare questo film per confermare la sua appartenenza al gruppo ristretto dei grandi maestri del cinema italiano. Così come lo stesso Favino per far riconoscere le sue straordinarie qualità di attore. Quindi, più che del risultato cinematografico riuscito, a noi interessa far parlare regista e attore del messaggio del film: cosa passerà, secondo loro? Un film può scuotere la coscienza di un paese che magari decidesse di affrontare meglio la propria storia? Per Bellocchio e Favino questo film è adatto alla funzione? “Non sará un film a fare la rivoluzione” ci dirà ad un certo punto Bellocchio ripescando una frase degli anni Settanta. Favino sembra più convinto che manchi in Italia proprio la consapevolezza, “la volontà nazionale”, affinché si possa soddisfare con un film il diritto dei cittadini alla verità.

Il film “Il Traditore”, è sul mafioso Tommaso Buscetta e la sua scelta di collaborare con la giustizia e il magistrato Giovanni Falcone. Il personaggio è stato scelto per poter affrontare il tema della mafia, oppure era proprio Buscetta ad interessare?
Bellocchio: “Sì, era il personaggio Buscetta che mi interessava. Non ho scelto lui per parlare della mafia. Buscetta è un personaggio che io, da italiano, molti anni fa seguivo sui giornali, in televisione… Il ritorno di questo grande pentito, il grande mistero di questo suo confronto con Falcone, e questo era il corpo del film che più mi interessava. Quindi si è lavorato in questo senso: per conoscere il più profondamente possibile Tommaso Buscetta e, attraverso lui, ovviamente anche una storia più complessa, più ampia. Però il punto di partenza è stato Tommaso Buscetta”.
Come pensate sarà ricevuto il film qui negli Stati Uniti? Dalle vostre dichiarazioni appena fatte a Los Angeles, si capisce che vorreste evitare che possa ancora una volta dare alla mafia, come qui spesso accade col cinema, un’aura da mistero che attrae, farla ‘cool’. Il fatto che nel film invece si mostra la mafia per com’è, potrà avere un impatto diverso sul pubblico americano?
Favino: “Beh, a giudicare dai risultati degli screening fatti in questi giorni, ma non solo negli USA, ma anche a Shangai, a Toronto, in Francia, effettivamente Bellocchio è riuscito a dare un’immagine della mafia che non è quella non solo del grande cinema americano, ma anche della fiction italiana. Non c’è nessun tipo di desiderio di emulazione di questi personaggi quando si esce dalla sala, questa è una cosa molto importante che vale la pena sottolineare; per la prima volta i mafiosi sono visti per ciò che sono, cioè delle persone di scarsissima cultura, animate solo da un desiderio di potere e di ricchezza. Spesso ho fatto dei film in cui il personaggio negativo poteva avere un appeal, soprattutto nei confronti del pubblico giovane in questo momento. Ma non si esce da questo film col desiderio di essere uno di loro, anzi, non si esce col desiderio di prendere le scorciatoie che qualsiasi organizzazione criminale cerca di prendere. Abbiamo ricevuto una lettera bellissima di una classe di seconda media che sottolineava quanto questo film li abbia portati a riflettere sull’importanza della scelta, se stare da una parte o dall’altra e quanto si possa scegliere di stare da una parte o dall’altra. In questo momento in cui i giovani sono così dispersi, non per colpa loro, credo che sia un bel messaggio”.
Già, l’attore protagonista di solito attrae la simpatia del pubblico; quando si recita da protagonista nella parte di Buscetta, un mafioso, diventa molto difficile non farsi piacere troppo?
Favino: “Innanzitutto non è una cosa che appartiene solo all’attore, ma è anche un lavoro di regia e di montaggio, preziosissimo in questo film che consente che non si cada in questo equivoco. Detto ciò io penso che una delle unicità del film sta nel non rappresentare il solito cattivo, ma facendoci vedere che invece sono uomini che hanno come noi degli aspetti quasi borghesi nella loro vita: nell’essere padri di famiglia, essere persone che possono avere delle fragilità. E io credo che questo sia molto utile perché mette lo spettatore nella condizione di dover collocare sé stesso di fronte alle categorie di bene e male. Molto spesso vengono rappresentati come dei vessilli solo del male, e questo seduti in sala ci rassicura, ci fa tirare un sospiro di sollievo, “non sarò mai quella persona lì”. Mentre invece scoprire che quelle persone possono avere degli aspetti che ci riguardano credo ci chiami come protagonisti della visione a rinnovare la nostra decisione sul dove stare”.

Che punti di riferimento avete usato per studiare non solo il personaggio, ma anche la mentalità mafiosa, il linguaggio mafioso: ci sono stati dei film, oppure più delle opere letterarie? Proprio oggi sono 30 anni dalla morte di Leonardo Sciascia…
Bellocchio: “Aiutato, nel senso che nel prepararlo, abbiamo letto molti libri, anche Sciascia, e abbiamo parlato con scrittori, giornalisti, da Saverio Lodato a Ciccio La Licata, al Professor Arlacchi e all’ultimo avvocato di Buscetta, una persona squisita, che ci hanno dato tutta una serie di informazioni che ci hanno permesso di approfondire il più possibile il personaggio e la situazione. Certo, qui siamo a New York, e secondo me questo è un film diverso anche dai grandi capolavori, indiscutibili, del cinema americano sulla mafia… Questo film è diverso: racconta di uomini che sono esistiti veramente, che abbiamo in qualche modo trasformato; però i fatti, quasi tutti i fatti, sono veri e li abbiamo interpretati, ecco, questo è il film”.
Favino: “Nella prima edizione del ‘Giorno della Civetta’, nella prefazione, Sciascia fa riferimento ad un piccolo libro che in realtá era una tesi di laurea di un sociologo tedesco che si chiamava “Mafia”. Io sono riuscito a ritrovare quello studio, e proprio per il fatto che fosse scritto da una persona completamente esterna, sia alla cultura italiana sia a quella mafiosa, è stato un piccolo libricino estremamente utile, pieno di dati, molto interessanti per comprendere non solo la mafia ma la mentalità mafiosa”.
Tornando a Sciascia, al Il giorno della civetta e al vostro film e al linguaggio di Buscetta. Uomini d’onore, così indica i mafiosi come lui Buscetta, perché lui non si crede certo un pentito, lui si crede il mafioso vero in guerra con chi ha tradito “i valori” della mafia. Siccome voi avete detto, alla fine si tratta di uomini ignoranti, ecco Sciascia fa dire a Don Mariano davanti al capitano Bellodi “che anche lei è un uomo” per poi fare la famosa categorizzazione nei mezzi uomini, ominicchi… Allora voi questi concetti come il significato per un mafioso di uomo d’onore, ecco come li avete affrontati? Questa questione del linguaggio mafioso, di chi può essere uomo d’onore e chi no, è importante nel film o sono solo discorsi di gente ignorante?

Bellocchio: “Personalmente, non c’è un atteggiamento di disprezzo, di diversitá. Chiaramente Buscetta è un personaggio con un grande carattere, coraggioso, che ha sempre rischiato e però ad un certo punto ha scelto di parlare. Non aveva altra scelta, se non di parlare e collaborare, insomma. C’è un libro fra i tanti libri che ho letto proprio sugli “uomini del disonore”, scritto da Arlacchi, riferito ad uno dei grandi pentiti. Uomini d’onore no, sono tutti uomini del disonore, nel senso che molti di loro hanno compiuto delle atrocitá assolute e non sono salvabili sotto nessun punto di vista”.
Favino: “Bisogna forse fare una distinzione di quando abbiamo detto ignoranti: bisogna capire che cosa intendiamo per ignoranza. Nel senso che, per me è ignorante tutto quello che giustifica l’utilizzo della violenza per esempio. Questo non vuol dire che non fossero uomini di una grandissima finezza e di una grandissima capacitá strategica. Non mi viene di usare la parola “intelligenza” perché per me uno intelligente è Falcone, quindi ho scelto di non usare gli stessi termini. Buscetta è un uomo di una grandissima scaltrezza, ma se fosse stato anche un uomo di cultura probabilmente non avrebbe accettato di fare ciò che ha fatto. Ora io non sono nato negli anni ’20 in Sicilia, perciò non so cosa volesse dire, però sicuramente non si può dire che l’ambiente mafioso, o almeno quel tipo di criminalità, sia pieno di persone dalle quali è interessante imparare qualcosa da questo punto di vista, e ci tengo a dirlo. Ciò detto, stiamo parlando di un codice talmente sofisticato e talmente radicato in millenni di storia che per comprenderlo c’era bisogno di qualcuno che appartenesse in qualche modo alla stessa cultura e che avesse fatto invece un’altra scelta. Falcone era nato a Palermo a 450 metri da dove era nato Buscetta, conosceva tutti i codici del non detto dei mafiosi, e se andiamo a vedere proprio “Il giorno della civetta” fondamentalmente poi il lavoro del pool anti-mafia è stato lo stesso, molto “seguendo il danaro”, quello che già negli anni ’60 Sciascia diceva. Probabilmente anche quella è stata una chiave, ma non solo. Falcone e il pool anti-mafia forse avevano già capito ciò che Buscetta ha confermato, ma perché erano all’interno di una realtà come quella siciliana che ha nel non detto, nei codici, nell’utilizzo della parabola, la capacità di saper dire senza dire”.
Bellocchio ha fatto anche un film sul delitto Moro. Con Buscetta noi sappiamo, dai verbali, che lui, come dice a Falcone anche nel film, non vuol parlare del rapporto tra mafia e politica, mafia e stato. E allora, siccome Bellocchio ha già affrontato l’argomento sui misteri del delitto Moro, ecco in questo film ha cercato anche di capire meglio cosa Buscetta non disse a Falcone?
Bellocchio: “Personalmente no, perché un film ha un suo tempo e spazio limitato e a me interessavano certe cose. Però mi interessava proprio quel suo atteggiamento rispetto al dire fino ad un certo punto: quando Falcone lo rimprovera e dice “Ma scusi, cosa vuole difendere la mafia? Ma lasci perdere” e lui dice “guardi, dottor Falcone, io ho rispettato”: cioè, si erano inventati delle regole e lui le ha rispettate e questo va riconosciuto a Buscetta. Quello che lui ha detto, ha avuto sempre dei riscontri veri, non ha mai detto una bugia. Non ha detto alcune cose, però quello che ha detto è vero. È chiaro che poi, nel momento in cui muore Falcone, anche se non sono mai stati amici, io credo che lui avesse verso Falcone un’ammirazione sconfinata, grande… ecco quando lui ritorna, ritorna perché è una attore, una persona che ama avere su di sé gli spotlights, però a quel punto è solo, è finita la sua stagione, la sua popolarità. E quindi lui non è che viene contraddetto ma le sue deduzioni, come dice l’avvocato Coppi, non arrivano: quindi lui dice la verità nel confronto, però si vede che è stanco, sconfitto, anziano, malato, al tramonto della sua vita”.
Su questo punto cruciale, Favino sente il bisogno di dire la sua:
Favino. “Però non esisterebbe un processo sulla trattative stato-mafia se fosse già tutto concluso, insomma, è un processo che va avanti da tanto tempo, un processo che ha depistaggi continui, un processo in cui ci sono magistrati che vengono allontanati e poi riportati dentro, un processo sul quale è anche difficile avere un opinione. Però è indubbio che una trattativa stato-mafia ci sia stata ed è indubbio che Buscetta non abbia detto tutto quello che doveva dire, come è indubbio anche che non gli sia stato fatto dire tutto quello che doveva dire”.

Questo film aiuta a far sì che la verità si continui a cercare?
Favino: “Non credo che sia un film che possa portare questo livello di consapevolezza. Ci dovrebbe essere una volontà nazionale di considerare i cittadini come persone che hanno diritto di sapere la verità. Io personalmente non credo che sia così”.
Bellocchio: “Tutto serve, è chiaro. Come quando si diceva nei tempi passati “non sará un film a fare la rivoluzione”. Però serve, io penso sia utile”.
Buscetta fino alla morte ha vissuto qui negli Stati Uniti protetto dall’FBI, con la famiglia, quella che gli era rimasto della famiglia, la terza moglie e alcuni figli. Voi avete avuto dei contatti con loro? Avete saputo se il film sia stato visto dalla famiglia? Su Netflix è da poco uscito un documentario, “Our Godfather,” che magari avete visto, su Buscetta che si è avvalso della collaborazione dei familiari. Ecco da parte vostra c’è stato questo tentativo di approccio dei familiari?
Bellocchio: “Sì, il tentativo da parte nostra c’è stato ma evidentemente è stato un tentativo che aveva bisogno di più tempo. Tant’è vero che coloro che l’hanno fatto sono riusciti ad arrivare alla moglie. Si diceva che la moglie dopo la morte di Buscetta volesse scomparire, non volesse essere rivista e in realtà invece in questo film partecipa, collabora, lei e il figlio Roberto e anche altri. Il film è prevalentemente sui loro rapporti mi pare…”
Hanno fornito infatti dei video e delle foto di famiglia, della loro vita familiare…
Favino: “Io ho visto il documentario, non solo non è contraddittorio tra la loro visione e quella di Buscetta.. semmai fosse servito a capire o a vedere degli altri aspetti, obiettivamente, al di là della curiosità appunto, della famiglia, o di dettagli che hanno a che fare con la loro vita privata, non c’è molto di più di quello che conoscevamo… Quindi vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro laddove non siamo stati corroborati da evidenze storiche quantomeno da ipotesi artistiche, diciamo. È però molto interessante e credo che le due cose possano essere viste insieme, e cioè è chiaro che chi volesse vedere il film e poi andare a scavare un pochino di più, premesso che ci sono tantissimi immagini anche su youtube per esempio del maxi processo, però per chi volesse andare a vedere entrambi film, credo siano l’una l’approfondimento dell’altra. Devo dire che nel film c’è una contestualizzazione storica che non può esserci nel documentario. La cosa che mi ha fatto piacere dal punto di vista del nostro lavoro è che avendo finito di vedere il documentario mi sono detto “abbiamo fatto un buon lavoro, siamo andati molto vicini a quella che era la sua vita”. Sono stato felice di aver intuito alcune cose che avevamo ovviamente ipotizzato giuste”.

Il film è candidato all’oscar per l’Italia, nell’anno in cui c’è anche il film di Martin Scorsese, “The Irishman”, che dicono sia il suo masterpiece sulla mafia. Due film diversi ma entrambi col soggetto mafia. Questo può aiutare anche il film italiano candidato all’oscar ad aver più attenzione, oppure al contrario sarebbe stato preferibile che Scorsese il suo film lo avesse completato il prossimo anno?
Bellocchio: “Io apprezzo molto il lavoro di Scorsese e lui apprezza il mio. Sono due film anche molto diversi: entrambi hanno il tema della morte, un senso della fine, però sono due film completamente diversi. Io l’ho visto e l’ho molto ammirato”.
Favino: “Io non ho visto il film, però siamo in due categorie differenti. Non dal punto di vista del valore, dal punto di vista proprio tecnico, non contendiamo nelle stesse categorie”.
IL GIORNO DOPO AL LINCOLN CENTER…

Grande successo di pubblico e applausi giovedì sera per il regista Marco Bellocchio e l’attore Pierfrancesco Favino dopo la proiezione di “The Traitor” al Lincoln Center di New York. Durante il Q & A, Favino ha detto che lui non crede che Falcone sia stato ucciso solo dalla mafia e vuole sapere la verità… Già, ma agli italiani, come agli americani, interessa ancora la verità?