“I Boliviani la chiamano la Mama Pacha. La terra è la nostra casa.”
A parlare nel servizio della BBC è Albeiro Suarez, un ex guerrigliero delle FARC, il gruppo armato di ispirazione marxista che per anni si è opposto al governo Colombiano.
“Quando ero un guerrigliero la giungla era fondamentale perché significava cibo e protezione per noi. Oggi è ancora importante, perché la foresta significa ossigeno”.
Il compito di Albeiro e degli altri ex combattenti è vigilare che la deforestazione selvaggia ed abusiva non danneggi quella che è una risorsa importante non solo per la Colombia, ma per il mondo intero.
Se non siete vissuti in una foresta per tutta la vita, o se semplicemente avete visto Narcos su Netflix, probabilmente avete sentito parlare delle FARC e sapete che si tratta di un’organizzazione guerrigliera di ispirazione marxista che opera in Colombia. Essendo marxisti e guerriglieri, non stupisce che gli USA l’abbiano marchiata come organizzazione terroristica e l’abbiano contrastata dalla sua nascita fino ai tempi recenti in cui è stato firmato un accordo di pace tra la FARC stessa ed il governo Colombiano.
Se tanto mi dà tanto, in questi mesi gli analisti del Dipartimento di Stato USA si staranno grattando la capoccia chiedendosi come sostenere i FARC e le loro attività di protezione della foresta amazzonica, alla luce del nuovo sciagurato corso che il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha inaugurato di recente: permettere agli speculatori del suo paese di bruciare e disboscare quello che, in modo pressoché unanime, gli esperti considerano il polmone del mondo.
Se così fosse, gli esperti dello State Department avrebbero un dilemma da risolvere: come si può sostenere un’entità che, alla data di oggi, è ancora indicata come organizzazione terroristica dal Congresso?
In realtà questo sarebbe forse il più piccolo dei problemi in un mondo in cui i problemi veri si manifestano come enormi, seri e pressanti.
Pagliacci populisti all’opera
Come sappiamo tutti molto bene, negli ultimi anni vari leader populisti sono assurti al potere in giro per il mondo sfruttando l’effetto combinato dei social e dei bias cognitivi. Se le loro decisioni potevano una volta essere derubricate al livello di intrattenimento nazional-popolare per il nuovo circo globalizzato, è oramai chiaro che le cose non stanno più in questi termini. Le decisioni di quegli istrionici personaggi ci toccano e ci toccano molto da vicino.
Il collasso dell’economia di interi paesi è certamente un prezzo serio da pagare ai vari Farage, Trump, Johnson, Le Pen, Salvini e via dicendo, eppure Bolsonaro è riuscito ad alzare ulteriormente la posta in gioco.
Bruciare gli alberi dell’Amazzonia significa produrre più fumo e indebolire l’unico meccanismo che dà ossigeno a tutti noi e ci protegge dai gas serra. E no, non servirà a molto chiudere le frontiere. Gli Stati sono sovrastrutture intersoggettive importanti per le relazioni umane, ma l’aria, l’acqua e l’anidride carbonica se ne fregano dei confini. La natura funziona così e il problema dell’inquinamento senza frontiere è molto immediato e molto reale.
Che fare?
Potrei scommettere che qualcuno nelle government agencies si stia facendo domande molto serie su come far fronte alla situazione. E scommetterei anche che tra le risposte che si sta dando c’è sicuramente anche quella di agire militarmente in un paese estero. Del resto gli USA hanno sempre dichiarato di riservarsi il diritto di difendere i propri interessi ovunque nel mondo. Una dottrina che si applicherebbe benissimo anche nel caso in cui gli interessi da difendere fossero addirittura mondiali.
Però c’è un però: portare la guerra ad un paese estero non è un’operazione da prendere a cuor leggero neanche per gli americani Se da una parte l’opzione sicuramente non viene scartata, dall’altra gli interrogativi non sono da poco. I confini tra Stati sono una cosa seria.
Dissonanza cognitiva delle nazioni
Probabilmente l’espressione “dissonanza cognitiva” non vi è nuova. È un concetto che ci viene (sorpresa!) dalla psicologia. Detta brevemente, tutti noi cerchiamo sempre di raggiungere un equilibrio mentale dato dalla coerenza delle nostre narrazioni. Quando non ci riusciamo, avvertiamo un senso di sottile malessere interiore. Per rimediare, rimettiamo in moto in automatico il motore delle narrazioni, aggiustando le vecchie o inventandone di nuove, fino a che non troviamo un assetto che ci soddisfi.
L’esempio classico è quello de “La volpe e l’uva”, la famosa favola di Esopo. La volpe non riesce ad arrivare all’uva e, anziché abbandonarsi al deprimente pensiero della resa, conclude che l’uva era comunque acerba e quindi non si è trattato di una vera resa. Dissonanza cognitiva risolta.
Senza scomodare i classici, gli esempi possono essere molti: un ladruncolo che pensa “questi soldi fanno più comodo a me che alla vecchia”, piuttosto che un politico populista che spara cazzate in TV o le posta su Instagram, che “l’unico modo per avere i voti di ‘sti minus habens tanto è questo”, piuttosto che un onesto cittadino che non vede niente di male nel ciularsi il segnale di Sky e Mediaset per godere di film e partite a sbaffo col pezzotto (“Tanto quelli recuperano con la pubblicità”).
La dissonanza cognitiva, però, non si applica solo agli individui. Si applica anche alle nazioni nel momento in cui stravolgimenti economici o epocali vadano a minare le narrazioni su cui uno Stato ha costruito la sua identità.
Gli esempi sono tanti. Uno recente è quello dello Ius Solis americano, ovvero la concessione automatica della cittadinanza ai nati nella “terra degli uomini liberi”. Principio bellissimo di civiltà dal grande valore simbolico, sennonché molto costoso da sostenere in un continente in cui la metà “povera” preme da Sud per entrare a far parte della metà ricca: far entrare una donna gravida è un mezzo potente per “ancorarsi” al suolo americano qualora questa riesca ad uscire il pacco qui, in uno dei cinquanta stati.
Che fare, quindi? Rimanere fedeli ai propri costosi ideali nazionali o farci qualcosa? Siamo davanti ad un esempio di “dissonanza cognitiva di una nazione”. Trattandosi di Trump, non stupisce che il POTUS attuale non le mandi a dire e prometta la rimozione del diritto costituzionale senza tanti balletti. This is how he rolls. Non est modus in rebus.
La madre di tutte le dissonanze
Se le cose si svolgeranno come tutto sembra indicare. andiamo verso un mondo in cui la posta in gioco nel contrasto tra le nazioni non sono qualche decina migliaia di messicani in più in USA, e nemmeno l’accesso a fonti energetiche, leitmotiv del secolo scorso; la posta in gioco sarà la sopravvivenza stessa dell’umanità, americani inclusi ovviamente.
Il concetto di nazione coi suoi confini inviolabili ci appare radicato al punto da non poter essere messo in discussione per nessun motivo. Eppure sarebbe ingenuo pensare che quella che è essenzialmente una realtà intersoggettiva (forte, cioè, solo del numero di uomini che scelgono di crederci) possa fare da baluardo contro rivoluzionamenti profondi dei rapporti tra gli uomini nel momento in cui l’estinzione della razza umana si palesasse come possibilità concreta.
Ed ingenuo mi appare infatti Bolsonaro, che solo due settimane fa, parlando alle Nazioni Unite, ha rivendicato come l’Amazzonia sia patrimonio esclusivamente brasiliano, e non patrimonio del mondo.
Che sciocchino! Un uomo arrivato a quei livelli di responsabilità che ancora non ha capito come gira il mondo.
Se tutti gli uomini, a partire dai cittadini della più grande potenza militare mai esistita, dovessero avvertire concreto il rischio di una catastrofe ecologica causato anche dai comportamenti del governo brasiliano, non sarebbero certo le storielle su cosa sia o non sia patrimonio dell’umanità a salvare Bolsonaro.
Non ho statistiche fresche in mano, ma opporsi agli USA non è mai stato di buon auspicio per la salute politica dei leader stranieri. E spesso neppure per la loro salute tout court.
L’illusione di prosperità e progresso illimitati
Il periodo di prosperità e di progresso di cui hanno goduto la maggior parte dei paesi del mondo, e i paesi occidentali pressoché nella loro totalità, dal dopoguerra ad oggi potrebbe trarci in inganno. Inconsciamente potremmo essere indotti ad assumere che quel progresso e quella prosperità siano destinati a continuare indefinitamente.
Una valutazione razionale della situazione attuale indica che non è così. Abbiamo avuto molteplici esempi eclatanti di come forze esogene, sfruttando i social e i bias cognitivi, possano gettare nello scompiglio la consapevolezza collettiva di intere nazioni facendo deragliare il percorso democratico.
Ma non è tutto.
L’inadeguatezza delle ideologie del secolo scorso dinanzi ai problemi del nuovo secolo è conclamata. E con questo non mi riferisco solo a fascismi e comunismi, ma anche all’ideologia liberale basata su libera circolazione di merci e persone, diritti umani ed etica del lavoro. L’Intelligenza Artificiale eliminerà centinaia di milioni di posti di lavoro e con essi la narrazione che dà un senso alla vita di altrettanti esseri umani alla faccia di tante belle parole dei liberali nei secoli.
Ma ancora non è tutto.
Come se quanto sopra non fosse abbastanza allarmante di per sé, ci stiamo accorgendo oggi che il progresso degli ultimi settant’anni non è stato gratuito, bensì abbiamo attinto ad un bancomat, il bancomat delle risorse naturali del pianeta. Tirare fuori i soldi dal bancomat è stato facile, ma il conto corrente su cui era appoggiata la carta è il nostro.
Col piglio della figlia di un genitore alcolizzato, una teenager svedese ci fa vedere l’estratto conto bancario in profondo rosso e, a muso duro, ci fa un asciugo chiedendoci di rispondere dei soldi che non ci sono più.
In effetti, per quanto si possa provare a girarci intorno, è molto difficile negare che il problema sia il modello di crescita capitalistico, quello che prevede che ci sia una possibilità illimitata di espansione economica che dia spazio alle velleità imprenditoriali di tutti.
Che tale crescita “illimitata” trovi nelle risorse del pianeta il limite superiore teorico? La domanda è cruciale.
Intanto occorre chiarire un paio di punti.
Quando si parlava di risorse del pianeta, tradizionalmente si intendeva petrolio, gas e carbone. Presto potrebbe trattarsi invece di acqua, terre coltivabili ed aria respirabile.
Secondo: nel gergo scientifico, il limite teorico non è quello che forse si può superare in pratica, bensì, al contrario, quello che comunque nessuno raggiungerebbe mai perché la teoria scientifica dimostra che ci si fermerebbe prima (e, nella pratica, molto prima).
Le risorse del pianeta scarseggiano in effetti. Se tutti i popoli del mondo iniziassero a mangiare le bistecche che in proporzione si sbaffano gli americani, le scoregge dei bovini causerebbero un aumento insostenibile dei gas serra e il consumo dell’acqua andrebbe alle stelle.
E cosa dire delle raccomandazioni sul consumo di pesce per capita? Gli enti governativi americani consigliano almeno 100 grammi a settimana, ma se l’umanità intera seguisse quei consigli non ci sarebbe abbastanza pesce per tutti in tutto il globo terracqueo.
E vogliamo parlare dei boschi e del legname se tutti fossero in grado di comprare i mobili dell’Ikea o di altro produttore?
Prendiamo per buona quest’ipotesi che le limitazioni all’uso delle risorse naturali rappresentino un muro invalicabile. Prendiamo poi a prestito dal Futurismo italiano l’immagine della macchina da corsa lanciata a tutta birra per rappresentare il progresso umano inarrestabile verso un futuro entusiasmante.
Immaginiamo ora quella macchina lanciata verso il muro di cui dicevamo.
Salvare la pellaccia significherà inchiodare di brutto, tirando anche il freno a mano se serve: un’operazione molto costosa e dolorosa che non garantirà neppure il risultato: la macchina potrebbe capottarsi o sbattere comunque contro il muro. E se fortunatamente questo non dovesse succedere, i passeggeri rimarranno bloccati lì, con la macchina in panne, a guardarsi l’un l’altro con un grosso punto interrogativo stampato sulla faccia, senza idea alcuna di quale sarà la loro prossima mossa.
Il rischio di un nuovo medioevo
Fuor di metafora, qual’è il corrispondente dello schianto contro il muro? Se davvero l’aria del pianeta terra diverrà irrespirabile, o se rimarremo a secco di acqua potabile. Ecco il nostro muro. Ma tra i casi pessimi c’è anche quello di una escalation bellica che porti all’olocausto nucleare, una minaccia alla sopravvivenza dell’umanità che, non scordiamolo, non è mai stata disinnescata.
Ma esistono anche scenari meno catastrofici. Questi passano necessariamente per alcune assunzioni abbastanza forti quali:
- che non sia troppo tardi per fermare il riscaldamento globale,
- che i governi sappiano trovare un accordo per ridurre consumi di tutti i tipi, agendo coordinatamente, fidandosi l’uno dell’altro e tenendo fede alla parola data,
- che i popoli (miliardi di singoli individui!) vengano convinti con le buone o con le cattive della necessità di fare retromarcia su di un modello di crescita che piace un po’ a tutti e a cui, all’atto pratico, sarà difficilissimo rinunciare.
Messa così la reazione è ovvia: incrociamo le dita che non sia troppo tardi e scegliamo questo! E facciamo bene, ma le implicazioni potrebbero essere meno piacevoli di quello che ci aspettiamo. Il perché è presto detto.
Per gli occidentali non usare più carbone, gas e petrolio significherà rinunciare al nostro stile di vita occidentale appunto, a partire dalle nostre case grandi riscaldate d’inverno e fresche d’estate. Le vacanze in luoghi esotici una volta all’anno diventeranno un ricordo per quasi tutti, e forse la stessa sorte toccherà a tutti gli spostamenti aerei civili. Quei trasporti pubblici che per molti americani fanno rima con poveraccitudine dovranno essere riconsiderati anche da chi si considera affluente. E quei bei bistecconi succulenti? Una volta al mese quando va bene.
Convincere la gente che il nuovo corso della decrescita felice è il migliore dei mondi possibili potrebbe essere realizzabile solo con una combinazione di grande fratello digitale a spiarci unito all’uso massiccio di un qualche Cambridge Analytica di Stato. Macchine di propaganda di massa (in grado di erogare messaggi targhettizzate per ognuno di noi grazie all’IA) ci convinceranno costantemente della necessità di comportamenti virtuosi, senza spazi per populismi e ribellioni anti-ecologiche.
Nei paesi in via di sviluppo, poi, la gestione del problema potrebbe avere risvolti disumani: controllare che la gente non inquini e non abbandoni i territori a cui sono assegnati potrebbe significare minacciare i trasgressori di essere giustiziati sul posto, per dare seguito alle minacce in caso di non-compliance alcuni secondi dopo. Dal momento che gli uomini avrebbero difficoltà a sparare e uccidere altri essere umani (per non parlare della suscettibilità ai tentativi di corruzione), il compito potrebbe essere delegato a dei droni guidati dall’intelligenza Artificiale. Sappiamo benissimo che l’IA non si pone problemi morali, a meno che non la addestriamo noi a farlo.
Insomma, i nostri bellissimi ideali liberali che diamo per scontati (e le leggi e le costituzioni che abbiamo posto a loro sostegno) rischiano seriamente di dover essere sacrificati sull’altare della sopravvivenza della nostra specie.
In questo scenario apocalittico che ha tutto l’aspetto di un nuovo medioevo, il problema di come gestire il remembering self, l’ “io che ricorda” che dà un senso alla vita e di cui ho parlato in precedenti articoli potrebbe essere tutto sommato un problema minore. Lo risolveremo con droghe, videogiochi e telefonini che tengano le masse impegnate e distratte.
In fondo, se ci pensiamo, su quella strada già ci siamo avviati da qualche anno.