Per circa un mese, prima che l’oggetto del discutere diventasse l’eccezionale caldo estivo che ogni anno “mai così, da cent’anni”, l’attenzione degli italiani è stata “dirottata” (termine più che mai appropriato) sulle vicende della nave “Sea Watch”: naviglio olandese, comandante una giovane tedesca, equipaggio multietnico, naviga nel tratto di Mediterraneo percorso da barchette e “legni” usati da disgraziati che cercano scampo da guerre, fame, miseria. Come si sa, partono dalle coste della Libia, approdano, se non annegano prima della traversata, nelle coste di Sicilia o Calabria. Poi, forse raggiungono amici e parenti in qualche parte d’Europa. Oppure vagano in città e campagne, facile preda di organizzazioni malavitose, che li utilizzano per i loro loschi traffici. Qualcuno finisce in campi per profughi; raramente sono rimpatriati; qualcuno riesce perfino a integrarsi in qualche modo.
Per tornare alla “Sea Watch”: fa capo a una Organizzazione non governativa; quando questi disgraziati lanciano SOS e sono in pericolo, cercano di prestare loro soccorso.
Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini s‘è fatto un punto d’onore di mettere la parola fine a tutto ciò. Da mesi è un suo tuonar di “porti chiusi”, valanghe fastidiose di tweet e annunci dai toni muscolari. Tante chiacchiere, buone per fare dei titoli sui giornali; in quanto ai fatti concreti, pochi: molto fumo; misero l’arrosto.
Per tornare al caso della “Sea Watch”: per settimane i disgraziati tratti dalle onde del Mediterraneo sono stati lasciati a bordo della nave diffidata da sbarcare in un porto siciliano; infine il comandante Carola Rackete forza il divieto; si assume le responsabilità conseguenti alla sua disobbedienza; denunciata, dopo un’operazione di sbarco piuttosto concitato è arrestata; il giudice per le indagini preliminari revoca l’arresto; si attende ora il processo (chissà quando, dati i tempi della giustizia italiana…). Nel frattempo infuria il dibattito politico: il ministro Salvini minaccia quotidianamente fuoco e fiamme, altri replicano, chi con lui, chi in veemente polemica. L’“affaire” arriva fino a Parigi e Berlino, coinvolge cancellerie, ministri, governi. E si parla di una quarantina di profughi. Si dirà: non è il numero che conta, quanto l’atto “simbolico”: si è violata una sovranità; di fronte a un divieto esplicito, la “Sea Watch” è approdata a un porto italiano… Non qui ci si vuole addentrare in questa labirintica polemica.
Quello che si vuole piuttosto evidenziare è che mentre l’attenzione dell’opinione pubblica italiana (e forse non solo italiana) si concentra sulla vicenda della “Sea Watch”, si perde di vista una questione epocale: l’attenzione sulla pianta, l’indifferenza nei confronti della foresta.
Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sui diritti umani e la povertà estrema, lancia un drammatico allarme. Alston, per inciso, è un apprezzato giurista australiano, docente alla School of Law della New York University, e co-presidente del Center for Human Rights and Global Justice della scuola di diritto. Da anni collabora con l’ONU.
Secondo le sue stime le emergenze climatiche che stiamo vivendo, sono destinate ad acuirsi: una situazione che comporterà da qui al 2050 (praticamente domani) la perdita di casa e terra per 140 milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo; entro il 2030 (praticamente oggi) saranno 120 milioni le persone che “scivoleranno” nella condizione di povertà estrema a causa del riscaldamento terrestre e ai fenomeni conseguenti.
Ora questi dati sono sufficienti per farci capire quanto siano irrilevanti le questioni e le dinamiche che si sono messe in moto per la “Sea Watch” e la sua quarantina di profughi, e a cui si è prestata tanta attenzione.
Secondo il rapporto Alston, siamo alla vigilia di colossale naufragio collettivo: “Se la comunità internazionale non si mobiliterà con urgenza rischia di vanificare ben mezzo secolo di lotta alla fame. Non intervenire per rimediare agli squilibri sul clima sarebbe insomma un fatale autogol per tutti…”. Effetti geopolitici devastanti: “La rabbia delle comunità colpite, la crescita delle disuguaglianze, l’aggravarsi della miseria per alcuni gruppi sociali molto probabilmente stimolerà il diffondersi di risposte nazionaliste, xenofobiche e razziste”.
Forse una briciola di attenzione su questo sarebbe più utile; perfino necessaria; e pazienza se porterà qualche consenso elettorale in meno…