La saga del rapporto Mueller sulle influenze russe nelle elezioni 2016 non si è certo conclusa con, per così dire, l’”assoluzione” di Trump, da parte del Dipartimento di Giustizia guidato da William Barr, dall’accusa di ostruzione alla giustizia. Sì, perché – sebbene la stampa italiana abbia praticamente ignorato gli ultimi, importanti sviluppi – mercoledì scorso Barr è apparso di fronte alla Commissione Giustizia del Senato, dove molti senatori democratici hanno messo in discussione le modalità con cui l’Attorney General aveva gestito l’intera vicenda. Barr si è invece rifiutato di testimoniare di fronte alla Commissione Giustizia della Camera, che, controllata dai dem, avrebbe previsto anche le domande di alcuni avvocati. Ad ogni modo, qualche ora prima che Barr si presentasse al Senato, il Washington Post era uscito con una nuova notizia “bomba”, rivelando che il procuratore speciale Robert Mueller aveva spedito una lettera al ministro della Giustizia a inizio marzo, accusandolo di aver mal rappresentato le conclusioni del suo rapporto da 400 e passa pagine nelle 4 paginette da lui compilate.
Davanti al Senato, Barr ha dovuto dare le proprie spiegazioni. “La lettera era un po’ altezzosa”, ha risposto, suggerendo che fosse stata scritta da un sottoposto, e non da Mueller in persona. E quando il ministro della Giustizia si è rifiutato di comparire di fronte alla Commissione Giustizia della Camera, Steve Cohen, democratico del Tenessee, ha addirittura portato in aula un pollo di plastica e un secchiello della famosa catena Kentucky Fried Chicken, affermando di fronte ai giornalisti: “Il pollo Barr avrebbe dovuto presentarsi quest’oggi”. Durante l’audizione in Senato e dalla lettera di Mueller, è emerso un quadro più completo dei giorni immediatamente successivi alla chiusura dell’indagine sul Russiagate. Mueller, in sostanza, non ha affatto gradito la sintesi del suo maestoso report fornita dal titolare della Giustizia americana. Così, glielo ha esplicitamente comunicato in alcune lettere e in una telefonata piuttosto accesa. Uno dei motivi della perplessità di Mueller, il fatto che Barr non avesse utilizzato nessuno dei testi di sintesi preparati dal suo team, ma avesse invece optato per produrne uno di proprio pugno, con toni decisamente assolutori e citando il documento originario fuori contesto.
E ora che le conclusioni del rapporto sono praticamente pubbliche, a dominare la scena sono i litigi tra democratici e repubblicani. Questi ultimi continuano a difendere l’onestà di Barr, e a puntare il dito contro la stampa e i democratici. I loro avversari, dal canto loro, continuano ad attaccarlo, e la Commissione Giustizia della Camera ha minacciato l’Attorney General di accusarlo di oltraggio alla corte a meno che non rilascerà il rapporto originario senza censure e modifiche. Secondo Nancy Pelosi, Speaker della Camera, la lettera di Mueller contraddice la testimonianza al Congresso rilasciata da Barr. L’influente politica dem ha peraltro accusato quest’ultimo di aver commesso il crimine di spergiuro. Le ha risposto un portavoce del Dipartimento di Giustizia, che ha bollato il linguaggio da lei usato come “sconsiderato, irresponsabile e falso”.
Nel fracasso generale, ciò che si perde nella nebbia sembra essere una consapevolezza oggettiva delle implicazioni contenute nel rapporto Mueller. In effetti, dopo l’audizione di Barr di mercoledì, la stampa di destra e di sinistra ha commentato la vicenda in modi praticamente opposti, così come contraddittorio è stato il racconto degli stessi contenuti del report: tutto fumo e niente arrosto per gli uni, una strada irreversibile per l’impeachment per gli altri. Come ha fatto notare anche la Columbia Journalism Review e Oliver Darcy della CNN, la vicenda è stata modellata ai prismi ideologici di una parte e dell’altra. Il risultato è che, nel chiasso mediatico che continua, peraltro, da mesi, la verità sembra scomparire. E che il fatto che l’uomo che dovrebbe incarnare l’imparzialità della legge negli Stati Uniti si comporti come avvocato personale del Presidente non indigna più di tanto l’opinione pubblica. Un fenomeno che è la pura continuazione di quanto accaduto durante la campagna elettorale di Trump, e che è dovuto a una combinazione di molti fattori: tra questi, la progressiva perdita di credibilità dei media, e la persuasività del Presidente nell’accusare la stampa di diffondere fake news. Oltre alla sua conclamata abilità nello sdoganare varie gradazioni di ciò che un tempo sarebbe stato inaccettabile: dal “politicamente scorretto” fino al presunto ostruzionismo alla giustizia, con tutto ciò che c’è stato in mezzo.