Quando uno stupro avviene, si parla sempre troppo poco di quel che sta in mezzo, fra chi inneggia al linciaggio delle bestie e chi insinua dubbi sulla veridicità o sul comportamento delle donne vittime. Perché, tra chi chiede più repressione e chi alimenta il cosiddetto victim-blaming, c’è un problema di fondo che tale rimane. Quello della diseducazione o ineducazione alla relazione con l’altro sesso.
Ben venga, dunque, che il governo si spenda concretamente per inasprire le pene che puniscono la violenza contro donne e minori, come si propone di fare (tra le altre cose) il Codice rosso approdato proprio oggi in Parlamento. E però, allo stesso modo, tolleranza zero dev’essere mostrata anche nei confronti di chi, in rappresentanza delle istituzioni e della politica, si produce in aberranti dichiarazioni sulle donne e sul ruolo che dovrebbero o non dovrebbero avere in tema di libertà personale, lavoro, società, procreazione. Per non cadere nell’equivoco. Perché la prevenzione, fa sempre bene ricordarlo, è efficace se calata nei contesti. Famiglia, scuola, società civile. E, non in ultimo, anche nei social, che sempre più spesso diventano pericoloso surrogato delle prime tre.
Solo e soltanto agendo su entrambi i fronti, si può sperare in un’Italia capace di riflettere il suo volto migliore. Un Paese in cui “italiani, brava gente!” non sia ridotto a frase ironica per commentare l’ultima malefatta, ma che torni a essere sinonimo di comunità che non si gira dall’altra parte, che non è indifferente. Un’Italia che ancora esiste, ma che purtroppo la ragazza vittima dell’atroce violenza di Catania non ha incontrato in quei terribili momenti. E che, come ha scritto al maresciallo che l’ha accompagnata a denunciare lo stupro, ha preferito lasciarsi alle spalle. Almeno per il momento.