Lo scorso 8 marzo, a Milano, durante la manifestazione per la Giornata internazionale della donna, alcune attiviste del collettivo femminista Non Una Di Meno hanno imbrattato con vernice rosa lavabile la statua del giornalista Indro Montanelli sistemata vicino all’ingresso dei giardini pubblici a lui intitolati, in Corso Venezia. Il movimento ha spiegato di aver voluto attirare l’attenzione verso una storia di cui si parla ciclicamente riguardo a Montanelli, considerato da molti una delle firme più autorevoli del giornalismo italiano: nello specifico, di quando, soldato in Etiopia negli anni Trenta, comprò ed ebbe relazioni sessuali con una ragazzina eritrea di 12 anni.
Nel suo comunicato, Non Una Di Meno ha giustificato il gesto di protesta:
“È una doverosa azione di riscatto. Queste le parole di Indro Montanelli a proposito della sua esperienza coloniale: ‘Aveva dodici anni… a dodici anni quelle lì [le africane] erano già donne. L’avevo comprata dal padre a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire. Era un animaletto docile, io gli misi su un tucul (semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia) con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi assieme alle mogli degli altri ascari…arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita’ (intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982). Sono questi gli uomini che dovremmo ammirare?”
In realtà, Montanelli aveva già parlato pubblicamente della sposa bambina, comprata durante l’invasione italiana dell’Etiopia, quando 26 enne faceva parte dell’esercito come sottotenente al comando di un battaglione di ascari, cioè militari eritrei. Montanelli raccontò la storia dei suoi rapporti con la ragazzina, nel 1969, durante il programma televisivo di Gianni Bisiach L’ora della verità.
Durante la trasmissione, Montanelli fu attaccato duramente dalla giornalista femminista Elvira Banotti (eritrea per parte di madre):
Banotti: “Ha appena detto tranquillamente di aver avuto una sposa, diciamo, di 12 anni, e a 25 anni non si è peritato affatto di violentare una ragazza di 12 anni dicendo ‘Ma in Africa queste cose si fanno’. Io vorrei chieder a lui come intende normalmente i suoi rapporti con le donne date queste due affermazioni”
Montanelli: “No signora, guardi, sulla violenza… nessuna violenza perché le ragazze in Abissinia si sposano a 12 anni”
Banotti: “Questo lo dice lei”
Montanelli: “Allora era l’uso”
Banotti: “Sul piano di consapevolezza dell’uomo, insomma, il rapporto con una bambina di 12 anni è un rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse in Europa riterrebbe di violentare una bambina, vero?”
Montanelli: “Sì, in Europa sì, ma…”
Banotti: “Appunto, quale differenza crede che esista dal punto di vista biologico? O psicologico anche?”
Montanelli: “No guardi, lì si sposano a 12 anni, non è questione…”
Banotti: “Ma non è il matrimonio che lei intende, a 12 anni in Africa. Guardi, io ho vissuto in Africa. Il vostro era veramente il rapporto violento del colonialista che veniva lì e si impossessava della ragazza di 12 anni, senza assolutamente, glielo garantisco, tener conto di questo tipo di rapporto sul piano umano. Eravate i vincitori, cioè i militari che hanno fatto le stesse cose ovunque sono stati i vincitori. (…) La storia è piena di queste situazioni”.
A mio avviso, Indio Montanelli – giornalista furbo e sopravvalutato – è soltanto un piccolo uomo, anzi un cialtrone, sicuramente non degno di essere celebrato.
La sua bassezza – peggio ancora dello stupro della bambina africana – sta nel fatto che 33 anni dopo gli eventi (e per il resto della vita), Montanelli non ha mai avuto un dubbio, un ripensamento, non capisce che quello che era accettabile un tempo, certamente non poteva esserlo più.
Come abbiamo visto, Montanelli parla per la prima volta della “moglie bambina” in un programma di Gianni Bisiach, del 1969. Se avesse detto: “Allora, nel 1936, non mi rendevo conto che quel che facevo era sbagliato, le nostre idee razziste ci permettevano di considerare le donne africane inferiori e una nostra proprietà. Ora, non posso non dichiarare che questo modo di pensare e il mio conseguente comportamento fossero sbagliati, che non ci sono razze superiori e che tutte le donne debbono essere considerate nostre pari e trattate con rispetto”, avrebbe potuto se non essere “perdonato”, perlomeno considerato qualcuno che ai tempi aveva sbagliato in buona fede.
Invece, Montanelli, non solo non si pente ma parla dei fatti in modo compiaciuto, sorridendo. Nonostante siano passati trent’anni – ma anche nei decenni successivi, persino quando ne scrive sul Corriere della Sera, il 12 febbraio 2000, Montanelli non solo non fa alcuna autocritica e, ad ogni evidenza, non viene nemmeno sfiorato da un dubbio riguardante il proprio comportamento, e sembra rivendicare con orgoglio il proprio passato.

Nella “Stanza di Montanelli” pubblicata dal Corriere della Sera, il giornalista minimizza l’aspetto sessuale del suo rapporto con la bambina eritrea e addirittura prova a farsi passare per vittima: “Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulate: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile”.
Insomma, ci racconta ammiccando Montanelli, ogni 15 giorni si accoppiava con la sua schiavetta presa “in leasing”, che con lui compiva il suo “servizio”, perché un uomo ha bisogno di sfogarsi, lasciando intendere che non lo faceva per piacere ma piuttosto come un dovere di maschio italico.
Sta qui la pochezza del personaggio. Sicuramente, una persona più intelligente, più sensibile, avrebbe preso atto dei tanti cambiamenti avvenuti anche in una società originariamente arretrata come quella italiana, dove era stato abolito il cosiddetto “delitto d’onore”, dove erano passate leggi sul divorzio e sul diritto delle donne ad abortire, e avrebbe avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere di avere sbagliato.
La sicumera di Montanelli è il frutto di una mai nascosta misoginia e di un atteggiamento maschilista, possessivo, nei confronti delle donne, che ancora persiste in gran parte della popolazione italiana.
Quest’atteggiamento ipocrita maschilista è condiviso da quella famiglia siciliana in cui il padre ha massacrato di botte e stuprato la figlia lesbica, e dall’amico di vecchia data dei tre stupratori di 19 anni che hanno violentato nella stazione di S. Giorgio a Cremano una ragazza di 24 anni. E le sue motivazioni nel difendere i tre criminali sono probabilmente le stesse che hanno spinto i genitori ad applaudirli quando sono usciti dalla caserma: “quella ragazza provoca i ragazzi dalla mattina alla sera, ma l’avete vista come si veste?” e “logicamente loro sono maschi”, e per concludere: “stanno condannando tre bravi ragazzi che vanno a lavorare”.
I fatti di questi giorni ci raccontano che, in Italia, ci sono ancora tanti, troppi, uomini che “amano da morire” le proprie moglie e compagne, viste come oggetti da possedere, e non ci pensano due volte ad ucciderle di botte se queste decidono di lasciarli.
Abbiamo bisogno di educare tutti i ragazzi e gli uomini italiani affinché tutti i maschi imparino e riconoscano che le donne sono persone con uguali diritti degli uomini, e che le donne devono poter vivere in maniera indipendente e (se gli va) scegliere liberamente un compagno/compagna col quale condividere la propria vita.
Indro Montanelli, misogino, stupratore, proprietario di schiava nel 1936 – ma mai pentito – anzi rivendicatore compiaciuto del proprio comportamento – non può essere considerato una esempio positivo, che ispiri le future generazioni e, quindi, degno di avere statue e un parco intitolato a suo nome, a Milano.