Il giorno dopo l’intervento del Segretario di Stato americano Mike Pompeo in Consiglio di Sicurezza ONU sull’Iran, giungono due buone notizie per lo Yemen, teatro di una guerra che dura dal 2015, che ha mietuto almeno 17mila vittime civili, reso sfollati più di 2 milioni di persone e vulnerabili altri 24 milioni. Negli ultimi mesi, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha proseguito l’escalation nei confronti dei ribelli sciiti Houti, proprio coloro che, qualche ora fa, Pompeo accusava dall’ONU di ricevere armi e sostegno da Teheran. Ma nel giugno 2018, la coalizione ha lanciato una nuova, sanguinaria offensiva per riprendere la regione costiera di Hodeida, peggiorando ulteriormente, se possibile, la crisi umanitaria in corso. Un’operazione a cui i ribelli Houti hanno risposto lanciando attacchi missilistici contro le infrastrutture e il territorio dell’Arabia Saudita. Come se non bastasse, gruppi secessionisti del sud dello Yemen, sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti, si sono scontrati con le forze del governo riconosciuto dalle Nazioni Unite con base ad Aden.
In questo tragico quadro, la prima buona notizia giunge dai negoziati guidati dall’ONU in Svezia, dove nelle scorse ore è accorso il Segretario Generale, Antonio Guterres. Quest’ultimo ha infatti annunciato il raggiungimento di un cessate il fuoco tra le parti belligeranti intorno al porto-chiave di Hudaydah. Un obiettivo importante perché, ha spiegato il Segretario Generale, “faciliterà l’accesso umanitario e il flusso di merci alla popolazione civile. Migliorerà le condizioni di vita di milioni di yemeniti”. In effetti, secondo il World Food Program, dal porto sul Mar Rosso passano circa il 70% degli aiuti umanitari e il 90% dei prodotti commerciali diretti in Yemen. Per Guterres, quello raggiunto in queste ore costituisce un passo importante nei negoziati di pace, passo che dovrebbe preludere a un nuovo incontro tra le parti fissato nell’anno nuovo.
Nel suo discorso, il Segretario Generale ha peraltro celebrato la generosità che il popolo yemenita ha sempre dimostrato nei confronti dei bisognosi, contemporaneamente “tirando le orecchie” a chi, nel mondo, pur con a disposizione ben più mezzi dello Yemen, continua a non essere all’altezza di quell’esempio. “Come Alto Commissario per i rifugiati, ho lavorato molto con lo Yemen e vi posso testimoniare che la generosità, la solidarietà, l’ospitalità del popolo yemenita è eccezionale”, ha detto. E ha proseguito: “Ho visto yemeniti condividere il poco che avevano con i somali che sbarcavano sulle loro coste, rischiando la propria vita per aiutare coloro che cercavano protezione nel loro Paese. Lo Yemen, che pure aveva molti problemi, anche durante la guerra civile, ha continuato ad aprire le loro porte, i loro cuori e i loro confini ai somali. È una lezione per il mondo in un tempo in cui, sfortunatamente, così tanti confini, così tante porte, così tanti cuori restano chiusi oggi”.
La seconda buona notizia per il martoriato Paese arabo giunge invece proprio dagli Stati Uniti. Perché il Senato americano ha votato per terminare il supporto a stelle e strisce alla colazione guidata dai sauditi in Yemen, oltre che per condannare il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi. Due voti storici, per diversi motivi. Quest’ultimo, sembra contraddire, di fatto, la tollerante risposta politica giunta dalla Casa Bianca di Trump all’uccisione del giornalista turco, linea confermata proprio nelle scorse ore dal Segretario di Stato Pompeo: quella, cioè, di prendere atto (senza scomporsi troppo) delle “eventuali” responsabilità saudite, senza però mettere in discussione la partnership strategica, dal punto di vista economico e geopolitico, con Riad. Nel caso dello Yemen, il Senato ha invocato, per la prima volta, il “War Powers Resolution”, legge federale che funge da controllo del potere presidenziale di impegnare gli Stati Uniti in una guerra senza il consenso del Congresso.
Due voti che, messi insieme, potrebbero preludere a un ripensamento delle relazioni con l’Arabia Saudita, al loro apice sotto la presidenza Trump (anche se il suo predecessore aveva battuto ogni record nella vendita di armi al partner mediorientale). Su queste basi, è possibile che il partito dei critici sui rapporti con Riad deterrà, il prossimo anno, la maggioranza del Congresso, e potrà sfidare le politiche del Commander-in-Chief. Sia da parte repubblicana che democratica, i senatori hanno infatti ventilato la possibilità di promulgare sanzioni contro l’Arabia Saudita per l’assassinio di Khashoggi, ma anche di bloccare la vendita di armi finché i sauditi non avranno lasciato lo Yemen.
Tra i più entusiasti del risultato della votazione, il senatore del Vermont Bernie Sanders, che ha sintetizzato con queste parole il risultato della giornata: “Oggi diciamo al regime dispotico dell’Arabia Saudita che non saremo parte del loro avventurismo militare”. Il voto è avvenuto a poche ore di distanza da quando il Segretario di Stato Mike Pompeo e il Segretario alla Difesa Jim Mattis hanno incontrato i legislatori della Camera a porte chiuse, per aggiornarli proprio sul caso Khashoggi.
Cosa dirà Donald Trump in proposito? Ancora non è dato saperlo. Al momento in cui scriviamo, infatti, il Presidente non ha dedicato nemmeno un tweet alla questione, preferendo cinguettare, tra le altre cose, sull’ipocrisia dei democratici sul muro del Messico, sulla condanna a 3 anni del suo ex avvocato Michael Cohen, e sulla “caccia alle streghe”, come lui chiama l’inchiesta sul Russiagate del procuratore Robert Mueller. Di certo, però, i nuovi sviluppi lanceranno una sfida da non ignorare alla partnership da lui fedelmente perseguita con Riad, nonché alle politiche di contenimento dell’Iran della sua amministrazione. Ad ogni modo, quel che è certo è che, oggi, lo Yemen compie un piccolo ma significativo passo verso la fine dell’incubo.