Non sono trascorse nemmeno 24 ore dalle elezioni di Midterm che dalla Casa Bianca giunge una autentica notizia bomba: Jeff Sessions, Attorney General, cioè ministro della Giustizia, di Donald Trump, si dimette su richiesta del Presidente e viene sostituito da quello che il New York Times definisce un “lealista”: Matthew Whitaker, capo dello staff di Sessions.
La questione è bollente perché si interseca con le indagini che il Procuratore Speciale Robert Mueller sta conducendo sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016, indagini che l’Attorney General ha il potere di supervisionare. Sessions, però, si era ricusato, adducendo come motivazione il ruolo attivo ricoperto durante la campagna di Trump nel 2016. Quindi, se ne stava occupando, al suo posto, il suo vice, Rod J. Rosenstein.
Whitaker, invece, in una column pubblicata dalla CNN lo scorso anno, aveva sostenuto che Mueller si sarebbe spinto troppo oltre se si fosse messo a indagare sulle finanze della famiglia Trump. “Questo potrebbe sollevare seri timori sul fatto che l’investigazione del Procuratore Speciale sia una mera caccia alle streghe”, aveva scritto, non a caso riecheggiando l’espressione frequentemente usata dal Commander-in-Chief per definire le indagini relative al Russiagate.
Circostanze che sembrano spiegare il motivo delle dimissioni di Sessions e del suo rimpiazzo con il suo capo dello staff, che però i consiglieri del Dipartimento di Giustizia potrebbero ancora – suggerisce il New York Times – ritenere “troppo schierato”, proprio per via di quelle dichiarazioni, per supervisionare l’azione di Mueller.
Il Presidente aveva di frequente criticato il Dipartimento di Giustizia e lo stesso Sessions per via delle indagini del Procuratore Speciale, e più di una volta aveva espresso il desiderio di rimpiazzarlo. Mossa rimandata a dopo le Midterm, per evitare ripercussioni negative sul gradimento dei repubblicani.
A questo punto, c’è chi teme che Mueller finirà per essere licenziato. Il Presidente può infatti ordinare la rimozione del Procuratore all’Attorney General oppure, nel caso in cui quest’ultimo si rifiuti di farlo, al suo vice. Rosenstein ha già dichiarato di non vedere giustificazioni per un possibile licenziamento di Mueller. Trump, però, non è nuovo ad azioni di questo tipo: ricordiamo che ha già dato il benservito a James Comey, il direttore dell’FBI che originariamente supervisionava le indagini sul Russiagate. Dal canto suo, Whitaker viene considerato un ufficiale particolarmente leale a Trump, e la sua nomina dimostra quanto il Presidente lo ritenga i suoi occhi e le sue orecchie all’interno del Dipartimento di Giustizia.
La vicenda si presta peraltro a inquietanti parallelismi storici. In quello che è passato alla storia come “il massacro del sabato sera” (“Saturday Night Massacre”), il presidente Richard Nixon, nell’ambito dello scandalo Watergate, ordinò al proprio Ministro della Giustizia Elliot Richardson di licenziare il Procuratore Speciale Archibald Cox. Richardson si rifiutò, e rassegnò le proprie dimissioni ad effetto immediato. A quel punto l’ordine del Presidente ricadde sul vice-Attorney General, William Ruckelshaus, che rifiutò e si licenziò a sua volta. Nixon, allora, si rivolse all’ufficiale terzo in ordine di importanza al Dipartimento di Giustizia, Roberto Bork. Quest’ultimo considerò l’ipotesi di dimettersi seguendo l’esempio degli altri due, ma alla fine fece quello che il Presidente gli aveva chiesto. Undici giorni dopo, fu quindi nominato un nuovo Procuratore Speciale, ma 13 giorni più tardi una corte decise che il licenziamento era stato illegale. Siamo ufficialmente giunti al “massacro” dell’era Trump?