Incontriamo Sonia Alfano alle Nazioni Unite, un pomeriggio di ottobre. È accompagnata dalle sue figlie, ma non si esime dal parlare apertamente, davanti a loro, delle minacce di morte ricevute dalla mafia, che, più di vent’anni fa, ha già ucciso suo padre. Alfano ha dedicato a questa battaglia, ma anche alla difesa dei diritti umani, tutta la sua carriera politica, che l’ha portata alla presidenza della Commissione Antimafia, Anticorruzione e Antiriciclaggio del Parlamento Europeo. Nel 2014, nonostante la promessa del Pd di metterla in lista, non viene più ricandidata: una delusione cocente, che si porta dietro ancora oggi. Con lei, parliamo della situazione politica italiana, del governo del cambiamento, della propaganda anti-migranti di Matteo Salvini, della metamorfosi dei Cinque Stelle rispetto agli inizi (proprio Sonia Alfano fu la prima candidata dei pentastellati alla Regione Sicilia), di una sinistra “smarrita” e priva di forza e identità, ma anche dello stato di salute dell’antimafia e della lotta alla criminalità organizzata. Quindi, la confessione più amara: “L’unica cosa che spero, per i miei figli, se non cambierà la situazione a breve, è di potermene andare”.

Lei ha lavorato al Parlamento Europeo, poi nel 2014 è uscita, ma senza aver perso le elezioni o aver deciso di non correre più. Ci vuole spiegare cosa è successo?
“Già a gennaio diverse partiti avevano cominciato a corteggiarmi e a chiedermi di valutare la possibilità di candidarmi con loro. Io presi in considerazione in maniera più concreta la proposta del Partito Democratico, in quel periodo rappresentato da Matteo Renzi e Lorenzo Guerini. Andai anche a Roma a parlare con Guerini, che mi disse che sarebbe stato un onore per il Pd avere me nelle loro liste, in quanto non ero soltanto la figlia di un giornalista ucciso dalla mafia, ma anche il presidente della Commissione Antimafia, Anticorruzione e Antiriciclaggio del Parlamento Europeo, tra l’altro prima e ultima commissione. Io dissi di sì, a patto di poter conservare la mia autonomia e di poter continuare a fare il lavoro fatto fino ad allora, che non era soltanto vincolato al tema antimafia: io mi sono occupata soprattutto di diritti umani, immigrazione, e tante risoluzioni in questo senso portano la mia firma”.
Forse, con il senno di poi, si può anche capire cosa sia successo…
“Esatto. Mi furono date garanzie, ma soltanto il 9 aprile 2014, quando il Pd presentò le liste, io scoprii di non essere candidata. Da persona educata, ho chiesto in privato spiegazioni che non mi furono date, e ancora oggi non le ho. Tornai a casa con l’amaro in bocca”.
C’è una possibilità di riparare all’errore, magari alle prossime elezioni?
“Io penso che oggi come oggi nel nostro Paese ci sia la necessità di contrastare una fortissima deriva razzista, e, forse volutamente, determinate tematiche vengano relegate nel dimenticatoio. Come se la corruzione, la lotta alla mafia fossero questioni affrontate e risolte. Nulla di più falso, e ce lo dicono i dati, visto che la corruzione in Italia saccheggia circa 60-70 miliardi di euro all’anno: ed è solo quello che sappiamo. Teniamo presente che le mafie italiane sono sempre più forti, soprattutto la ‘ndrangheta, che è la più influente al mondo e che continua ad esserlo: basti pensare che è l’unica realtà criminale che si può permettere di acquistare direttamente dai cartelli del narcotraffico colombiani e messicani, senza dare nulla in cambio. Loro sono esonerati da quell’approccio per la loro affidabilità e perché hanno un grosso potere economico e una grossa liquidità. Eppure la Calabria è una terra poverissima. La mafia, non intesa come molti vorrebbero far credere come “coppola”e “lupara” – quella non esiste più –, oggi gioca in borsa, discute nella City, e manda i suoi figli nelle migliori università al mondo”.
Di recente abbiamo intervistato Roberto Saviano, che ci ha parlato, tra l’altro, della criminalità mafiosa presente a New York. Peraltro, lo scrittore è stato di recente in polemica con Matteo Salvini. Lei dà ragione a Saviano?
“Non si tratta di dare ragione a Saviano. Sono figlia di giornalisti anch’io, e per questo ho sempre avuto la “deriva” di inchiesta. Nel 2007, scoprii che, per esempio, a Reggio Emilia in quel periodo il clan di Cutro si era totalmente trasferito lì, e controllava persino il Consiglio Comunale. Controllava tutto, solo in quella provincia la ‘ndrangheta era capace di spostare 20mila voti. Scoprii addirittura che un appalto che riguardava la ristrutturazione della biblioteca di Casalecchio, in provincia di Bologna, era stata vinto da una ditta a cui era stato ritirato il certificato antimafia. Non se ne era accorto nessuno. Segnalai questa cosa all’onorevole Napoli, che se ne occupò immediatamente con una serie di interpellanze parlamentari. Qualche anno dopo, se non mi sbaglio, nel 2008-9, Roberto Saviano riprese proprio questa inchiesta. Non si tratta di essere dalla sua parte o meno: sono i fatti che lo raccontano. Io oggi non sento dire da nessuno che la lotta alla mafia, intesa come lotta all’economia mafiosa, deve essere portata avanti”.

Quello tra Salvini e Saviano è un duello senza esclusione di colpi. Il giornalista e scrittore ha accusato più volte il ministro dell’Interno di occuparsi tanto di migranti – ora proprio in Calabria con la faccenda di Riace -, e non fare abbastanza su problemi seri come la mafia. Lei si è occupata molto di questi argomenti e in passato ha fatto riaprire indagini su questioni in cui i rapporti tra mafia e Stato erano centrali. Cosa pensa in merito a questa nuova situazione in Italia? Pensa che il governo del cambiamento porti un “cambiamento” anche sulla lotta alla mafia?
“No. Anzi: se la foga e la determinazione messa sul caso Riace fosse stata messa per affrontare problemi che riguardano ad esempio alcuni tribunali in Calabria, probabilmente oggi avremmo qualche risultato concreto su cui discutere. Non c’è alcun cambiamento su questi temi, mi dispiace doverlo dire. Conosco Matteo Salvini benissimo perché siamo stati 5 anni in Parlamento. Sono stata 5 anni in Commissione Immigrazione e lui non era nella mia Commissione, non si è mai occupato di immigrazione. Anch’io sono contro l’immigrazione clandestina, però continuare a fare campagna elettorale con slogan fini a se stessi solo ed esclusivamente puntando alla pancia della gente, questa non è politica. Sto scoprendo che anche in Sicilia, la gran parte del popolo siciliano si sta riscoprendo razzista. Cosa avremmo dovuto fare noi se ai nostri nonni avessero negato l’apertura delle frontiere qui in America o in Australia?”.
E anche quando le hanno aperte, comunque gli immigrati italiani hanno spesso sofferto per i pregiudizi che c’erano nei loro confronti.
“Esatto. Noi non siamo stati capaci di imparare dalle nostre sofferenze e di evitare che quelle cose subite dai nostri connazionali possano continuare ad accadere anche oggi. È quello che succede in Israele, me ne sono a lungo occupata in prima linea. È aberrante pensare che Israele ha vissuto tutto ciò che ha vissuto, ed oggi è dall’altra parte. È proprio vero che i popoli non imparano. Lo stesso gli italiani: da vittime dell’immigrazione stanno diventando carnefici. Questa però è una deriva culturale che rischia di prendere piede nel nostro Paese. Si parla per slogan, ma non si va a controllare se il nostro Paese in Europa ha rifiutato dei fondi per l’assistenza ai migranti. Eppure è successo. L’Italia ha preso e continua a prendere fondi dall’Unione europea, in altri casi li ha dimenticati e non richiesti. Quei famosi fondi non vanno ai migranti, ma a chi gestisce i centri per i migranti, trattandoli da schiavi”.
Quindi è nell’organizzazione dell’accoglienza che lei trova il malaffare.
“Io l’ho denunciato il 3 ottobre 2013, quando ci fu la strage di Lampedusa. In Parlamento europeo denunciai il coinvolgimento di molte associazioni che gestiscono l’accoglienza”.
Salvini e chi lo sostiene pensano che per risolvere il problema si debbano bloccare i porti. Secondo lei?
“Intanto bisogna salvare i migranti in mare. Non mi interessa quello che fa Malta, io ho la mia coscienza. Io sono stata in Libia, nei centri di detenzione, in missione per conto del Parlamento europeo. Gheddafi ci diede il permesso nel 2010, ma avevo fatto richiesta già da tempo. Io poi fui rimpatriata durante quella missione, non ero più ospite gradita. Queste persone venivano prese e rapite durante il loro transito, portate in questi centri, messe in galera senza la formulazione di un capo di imputazione, e venivano utilizzate come merce per poter contrattare con l’Unione Europea. Questa cosa l’ho vissuta in diretta. Avevamo un appuntamento con Gheddafi e con il numero due Moussa Koussa: nessuno dei due si fece trovare. Prima fummo tenuti in albergo controllati; quando poi alzai la voce, ci dissero che ci avrebbero fatti parlare con Moussa Koussa. Non c’era, era in Ciad: fummo quindi ricevuti da un ambasciatore, il quale disse: “Se voi non ci date 5 miliardi di euro, noi vi buttiamo sulle vostre coste talmente tanti morti che voi non potrete nemmeno più camminare sulle vostre spiagge”. Non mi pare che questo sia stato lontano dalla realtà”.
Lei che aveva vissuto tutto questo come reagì quando vide il ministro degli Interni del Pd Minniti stringere quegli stessi accordi che prima di lui furono negoziati dal governo Berlusconi?
“Il contrasto all’immigrazione partì ancora prima di Minniti. Si chiamava il “Patto di amicizia”, e nacque nelle aule del Parlamento europeo nel 2012, e ricalcava pienamente quello italiano”.

Non le è mai venuto il sospetto che fu proprio per le posizioni che aveva su questo tema sull’immigrazione che alla fine il Pd non l’ha candidata?
“Sì, è una domanda che mi sono posta spesso e probabilmente la risposta, scontata, è sì. Non soltanto per l’immigrazione. Io ho portato in Europa il tema delle mafie, ed era considerato solo ed esclusivamente un problema italiano. Io invece, con due anni di lavoro in Europa, feci nascere l’esigenza unanime di avere un unico testo legislativo con il quale affrontare la lotta alle mafie. Quindi, portai in Europa il Testo Unico Antimafia, che fu varato a marzo 2014. La direttiva era in carico al successivo Parlamento. Significa che la nostra Commissione aveva già esitato il testo. Per diventare direttiva, la Commissione europea nei due anni successivi avrebbe dovuto presentare la proposta al Parlamento e al Consiglio. Bene, non l’ha fatto nessuno”.
Il Movimento Cinque Stelle in Sicilia ha fatto cappotto alle elezioni, e proprio dalla Sicilia è partito, anni fa, con Beppe Grillo e i primi attivisti. Ci può dire che opinione aveva allora, e che opinione ha ora dei pentastellati?
“Il Movimento non è più quello del 2008-9, quando io ne feci parte. Nel 2008 io fui il primo candidato alla presidenza della Regione in tutta Italia. Oggi non c’è nulla di quello che c’era allora”.
Lei che ha conosciuto il Movimento dal dentro, che ne pensa? Cos’è successo? Andreotti diceva che il potere logora chi non ce l’ha: in questo caso il potere cambia chi lo conquista?
“Sì. Io ricordo che negli eventi passati Grillo diceva: “Dobbiamo destabilizzare il potere”. Oggi sono loro al potere, e tutto quello che avevano detto e pensato negli anni precedenti non corrisponde più. Un conto è fare l’opposizione, un conto è governare. A quel punto non puoi dire sempre no: ci si rende conto che governare non è così semplice, quindi diventi esattamente tale e quale agli altri, se non hai la forza di restare saldo”.
Il M5S è andato al governo con Salvini: anche sulla base dei contatti che ancora avrà con il Movimento, secondo lei si sono pentiti di questo?
“Assolutamente sì, molte persone si sono pentite di questo, basti guardare i social: una persona molto vicina a Di Maio, una settimana fa, ha esternato su Twitter dei pensieri razzisti e omofobi, io l’ho postato sui miei profili e mi sono arrivati una valanga di commenti di gente che ha ormai i paraocchi, quasi lobotomizzata, ma anche tantissimi altri che hanno detto: “Loro dovevano essere il cambiamento, e sono peggio di prima”. Molti deputati e senatori hanno paura anche di parlare, perché le ritorsioni nei loro confronti sono all’ordine del giorno. Questo è quello che avevo già detto nel 2012, quando Bersani andò al Colle. Io lo avevo contattato perché una ventina di senatori Cinque Stelle mi avevano detto che avrebbero voluto, ad urne segrete, votare la fiducia a Bersani. Io lo contattai e glielo dissi, e furono avviati dei contatti. Fui definita su tutta la stampa come la “pontiera” dei Cinque Stelle, ma ricevetti in cambio, da tanti militanti, minacce persino per i miei figli. Quello che io ho detto non l’ha mai smentito nessuno: anzi, vi fu poi una fuoriuscita da parte di tanti senatori dei Cinque Stelle, che confermarono la mia versione”.
Dopo quello che ci ha raccontato, per una persona come lei, che si è impegnata in politica e lo ha fatto con una storia di militanza antimafia, cosa si dovrebbe fare per fare politica oggi in Italia?
“Dovremmo sperare in una coscienza civile, in una sana rivoluzione civile. Purtroppo però il nostro è un popolo che si è addormentato su tante posizioni. Forse, se dovessero levare agli italiani il campionato di calcio, potremmo sperare in una rivolta: altrimenti no”.
Una rivolta contro chi? Contro il governo del cambiamento, che minaccia rivolta contro gli oppositori?
“Io ricordo che a Saviano fu detto “ti togliamo la scorta”. Io vivo sotto scorta come Saviano”.
L’hanno mai minacciata allo stesso modo?
“Magari lo faranno ora, visto che ho fatto questo tipo di dichiarazioni, ma mi farebbero un piacere: lo farebbero a me perché potrei cominciare a pensare di avere una vita “normale”, visto che sono sempre seguita da 4 uomini armati e due auto blindate, h 24. Lo farebbero anche alle mafie e alle persone che negli anni mi hanno minacciato: Riina &company. Non ho mai ricevuto una testa di capretto, proiettili, lettere anonime: l’ultima volta fui chiamata urgentemente dal Prefetto di Palermo, che mi fece leggere la trascrizione – 7 pagine – di intercettazioni che la Dia aveva fatto a Riina in carcere, mentre parlava con il boss Lo Russo, che lo incitava ad uccidermi. Riina lo rassicurava, dicendo di avere già i “cioccolatini” pronti”.
Con Salvini ministro dell’Interno, lei ha più paura, o si sente comunque sicura perché conserva fiducia nelle istituzioni?
“Io conosco bene le mafie, e so di avere una condanna a morte addosso”.
Lei sta parlando di fronte alle sue figlie (presenti all’intervista – ndr).
“Sì, sanno tutto”.
Sentirla parlare così fa molta impressione, soprattutto a un siciliano come me. Che cosa deve succedere in Italia, domani, affinché persone come lei in prima linea possano vivere una vita più serena?
“Voglio essere realista proprio perché sono davanti alle mie figlie. Il nostro Paese non ha più tante chance. Se stanno scappando tanti ragazzi, e non solo ragazzi, un motivo c’è. O cambia immediatamente la rotta e cominciamo ad affrontare seriamente i problemi senza pensare di fare campagna elettorale su tutto, o io spero di poter andare via presto dal mio Paese. Non voglio più stare in un Paese nel quale mi sento detenuta, con i detenuti in carcere e io in una gabbia: può sembrare dorata, ma io, quando vado in macchina, non vedo nemmeno se c’è il sole perché ho i vetri oscurati. Non posso pensare di uscire alle 10 di sera per accompagnare mia figlia a mangiare un gelato se non c’è più la scorta. Questo non è un Paese civile. L’unica cosa che spero, per i miei figli, se non cambierà la situazione a breve, è di potermene andare”.

Poco fa aveva accennato a Bersani. Vede qualcuno che possa cambiare le cose?
“Bersani, due anni fa, insieme a Speranza avevano fondato Articolo 1 – MDP. È come se questo contenitore, che sembrava essere il lancio di qualcosa di “fisso” per chi proviene dalla sinistra, si sia perso. È come se non ci fosse la forza e la voglia di fare opposizione”.
Anche nel Pd non vede speranza? È pessimista?
“Direi realista. Finché queste persone continueranno a parlare a se stesse e solo del proprio io, la gente continuerà a votare M5S, oppure Lega. Il problema della sinistra non è solo che è implosa su se stessa, ma che nessuno ha mai chiesto scusa e saputo mettersi da parte. In Italia ci sono tante cose da fare: proteggere i più deboli e far capire che siamo tutti uguali: il problema è che nessuno vuole farsi carico di questo realmente, o lo fa solo per potersi assicurare un posto in Parlamento e offrire ai propri amici e parenti un posticino al sole. Questo non è un Paese che fa per me. Io ho già visto mio padre morto a terra, quasi 26 anni fa”.
L’antimafia a che punto è? Lei, da personaggio di spicco, ha qualcosa da rimproverare all’antimafia degli ultimi 25 anni? Che cosa ne penserebbero Falcone e Borsellino?
“Mi viene da risponderle con una immagine cruda e bellissima di Antonio Caponnetto, padre del pool antimafia, quando, uscendo dal tribunale per andare al funerale, disse a un giornalista: “È tutto finito. Non mi faccia dire altro”. Lei prima mi ha chiesto a che punto è la lotta alla mafia. L’abbiamo relegata soltanto ai giudici, ai magistrati e all’autorità investigativa, che però la fanno in un contesto controllato e limitato: se noi andiamo a vedere i fondi stanziati per le forze dell’ordine, di che cosa parliamo? Non esiste la lotta alla mafia, è tutto fermo: io ricordo la lotta alla mafia accompagnata dall’associazionismo, perché dobbiamo fare breccia nella coscienza della società civile, dei ragazzi, nelle scuole. Oggi si fanno tanti progetti nelle scuole, ma poi? Quali esempi diamo in Tv, in politica? Io sono tre anni che non vado più a parlare nelle scuole, mi rifiuto di raccontare favole. La lotta alla mafia, in Italia, è ferma. E io faccio un rimprovero all’antimafia, perché mentre la mafia è unita e compatta di fronte a certi obiettivi, il mondo dell’antimafia si è sempre diviso per egoismi e personalismi”.
Ci ha detto che è pronta ad andare via dall’Italia.
“Non le nascondo che sto cercando la possibilità di trasferirmi negli Stati Uniti”.
A meno che non veda un segnale politico. Sta aspettando un segnale oppure va via?
“Ricordo quando, nel 2014, i sovrani del Belgio mi chiesero di presentare al Parlamento Europeo un film sulla prostituzione minorile in Cambogia. Ne fui onorata, soprattutto perché avevano pensato a me. Mi dissero che avevano seguito la mia attività e le mie battaglie. Io sono stata considerata, cinque anni su cinque, da VoteWatch, il parlamentare europeo più vicino ai cittadini. Quando i reali del Belgio seppero che non ero stata ricandidata dissero che l’Italia e l’Europa tutta avevano perso una grande opportunità. Tra pochi mesi ci saranno nuovamente discussioni per riempire le liste. C’è un partito, il Pd, che nei miei confronti ha sbagliato. Può riparare, e dimostrare a tutti che sono finiti i tempi in cui bisognava sistemare Tizio e Caio, e che il Pd ci tiene a riprendere la lotta alla mafia e a riprendere da dove avevamo lasciato, che ci tiene a mettere persone che si sono impegnate. Dovrebbe dimostrare che lotta alla mafia, immigrazione, sicurezza sono temi che vuole affrontare con persone che hanno già fatto qualcosa”.
Il fatto che nella più alta carica dello Stato in Italia ci sia Sergio Mattarella, siciliano fratello di Piersanti, vittima di mafia, non la rassicura?
“È una garanzia sotto determinati punti di vista, perché il Presidente ad oggi si è comportato in maniera eccellente. Ma la nostra non è una Repubblica presidenziale: il Capo dello Stato è garante della Costituzione, ma questo non basta”.