Qualche giorno fa, si è saputo che uno dei carabinieri accusati, per l’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi, Francesco Tedesco, ha accusato due suoi Colleghi di averlo deliberatamente e ripetutamente colpito: “fu un attacco combinato di calci e pugni”; inoltre, ha affermato di avere falsificato una Nota di servizio, in ragione di “un ordine gerarchico”: al fine, pare, di sviare sospetti e responsabilità. L’indagine, dopo queste dichiarazioni, è stata appena avviata. Sul punto, allora, fermiamoci qui.
Anche perché, c’è altro che può interessare.
Il Ministro Matteo Salvini, ha infatti dichiarato: “Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale. Eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere in discussione la professionalità e l’eroismo quotidiano di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell’ordine”.
E che c’entra? Sono parole di così sciatta ovvietà, che quasi non se ne intenderebbe il senso. Qualcuno ha forse chiesto lo scioglimento dell’Arma? O di dichiarare colpevoli, per queste accuse, già ora, e prima del Processo, non solo i carabinieri indagati, ma tutti gli altri 140.000? E perché invitare la Famiglia Cucchi al Viminale, a ridosso di un’indagine appena avviata?
L’arcano è presto svelato. Il 5 Gennaio del 2016, commentando, sul solito Twitter, un post di Ilaria Cucchi che presentava una foto di un carabiniere (uno degli odierni indagati), Salvini aveva detto: “mi fa schifo”; non il post, ma proprio l’autrice, Ilaria Cucchi.
Quella pubblicazione poteva certo essere criticata: per la suggestione sommaria di una colpa; e, tuttavia, non era una misura cautelare, meno che meno una condanna, né pretendeva di esserlo. Era una comunicazione, magari plastica ed eccessivamente diretta: ma di un’idea, di una direzione verso la quale promuovere una battaglia, una testimonianza volta ad una plausibile verità.

Non andava dimenticato, poi, come la Famiglia Cucchi agisse in salita: era partita dalla “caduta dalle scale”. E che questa sorella, questa madre e questo padre, erano libere ma semplici persone: postesi non contro “Lo Stato” ma, certo, al suo umbratile cospetto: giacchè, “Lo Stato”, quando abdica a sè stesso, sa rendere la sua forza, bruta potenza: smerciando violenza per autorità, ignavia per prudenza, tresche per procedure.
Ma il Ministro Salvini, allora “solo” Segretario Federale della Lega e deputato europeo, non aveva criticato. Aveva detto, di una donna e sorella di un ragazzo morto, perché pestato a sangue “in un contesto istituzionale”, ad Ilaria Cucchi: “fa schifo”.
Così, nelle sue dichiarazioni di venerdì, alla viltà, alla bassa violenza; già negazione incarnata dell’uomo di stato, che invece innerva le Istituzioni di autorevolezza, proprio mentre più le munisce di umanità, di lealtà verso chiunque; ecco, a tutto questo, costui ha aggiunto la fraudolenza del mestatore.
Perché, quell’apparentemente illogico invito al Viminale, non ad “eventuali reati o errori” altrui alludeva; ma ad errori propri: certissimi e già acquisiti. Solo che vi alludeva con l’obliquità del fuggiasco, che si lascia alle spalle fumisterie e confusione, sperando nell’altrui inciampo.
Si spiega, allora, perché la semplice donna Ilaria Cucchi abbia potuto limpidamente opporre: “Il giorno in cui il Ministro dell’Interno chiederà scusa a me, alla mia famiglia e a Stefano allora potrò pensare di andarci, prima di allora non credo proprio”.
E si capisce che la posizione, politicamente ed umanamente miserabile, del Ministro Salvini, vile e menzognera ad un tempo, non muterebbe di una virgola, anche se i Carabinieri venissero giudicati non colpevoli.
Un uomo che incrudelisce verso una donna è già una figura liminare; ma se la donna è in ginocchio, e tiene fra le braccia un corpo esanime, il dileggio, l’insulto, il disprezzo, consegnano l’autore, irrevocabilmente, all’innominabile, al buio informe dell’inesistenza morale.
“Capitano”, di che? “Capitano”, di chi?
Tuttavia, come se lo sconcio tentativo di nascondersi dietro una ridda di parole, inerti e insensate, non fosse già abbastanza, il Nostro, infine, si è pure cinto di un’arroganza, che non si sa bene se ritenere più grottesca, più ridicola, che moralmente indegna.
Costui, tutore del buon nome delle Forze dell’Ordine?
E secondo questo campione del “teppismo legittimo”, l’Arma dei Carabinieri, dei Colonnello Russo, dei Generali Dalla Chiesa e Mori, dei Marescialli Leonardi, dei Capitani Basile e D’Aleo; e la Polizia di Stato, dei Boris Giuliano, dei Beppe Montana, degli Antonino Cassarà, dei Roberto Antiochia, delle Emanuela Loi, dei Nicola Calipari; e le “centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell’ordine”, avrebbero bisogno che del loro Nome si appropri un uomo che insulta una donna in ginocchio?
Chieda scusa. E poi confidi nell’oblio: che, presto o tardi, copre tutto. Anche le miserie.