Se Teddy Roosevelt non avesse guidato la carica dei Rough Riders a Cuba sarebbe diventato Presidente? E se Eisenhower non si fosse distinto come generale durante la WWII? Ora chiedetevi: se Donald Trump non fosse il self-made-man che tutti crediamo, sarebbe riuscito a scalare la vetta del successo politico?
La risposta non è scontata. Se è vero che l’elettore tende a premiare il proprio candidato per la forza del messaggio che riesce a veicolare, è altrettanto vero che il carisma e la storia personale sono fattori determinanti durante le elezioni. Per questo, oltre al punto di vista legale, l’inchiesta di David Barstow, Susanne Craig e Ross Buettner, uscita martedì sul New York Times, sta facendo molto discutere l’opinione pubblica statunitense.
La storia di questa inchiesta al tritolo è avvincente quanto il suo contenuto. Durante la campagna elettorale che portò alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali del 2016, il tycoon si rifiutò di mostrare i suoi “tax records” ai cittadini americani, interrompendo una consuetudine in voga fra candidati e presidenti. Così, sul finire di Settembre 2016, alcuni giornalisti del NYT ricevettero tre pagine di documenti riguardanti le tasse versate da Trump nel 1995. Qualcosa non quadrava e vi era il sospetto che i Trump avessero orchestrato un grande piano di elusione (e spesso evasione) del fisco per decine di anni. Venne scritto un articolo, datato 1 Ottobre 2016, in cui il New York Times presentava questi documenti, mettendo la pulce nell’orecchio a milioni di americani.
Due anni dopo e grazie ad una meticolosa indagine giornalistica, gli stessi autori del 2016, passando in rassegna migliaia di documenti finanziari confidenziali e “tax returns”, hanno pubblicato un’immensa inchiesta che sembra sciogliere molti nodi riguardanti le entrate dei Trump dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. La storia, che potrebbe tranquillamente offrire lo spunto per un film, sembra negare la versione offerta da Donald Trump sulla nascita del suo impero: “It’s not been easy for me. My father gave me a small loan of $1M […] and I had to pay him back with interests”.
Secondo il New York Times, Donald Trump avrebbe ricevuto almeno $413 milioni da suo padre nel corso della sua vita. Oltre a questo elemento, che distrugge l’ideale del self-made-man, partito con poco ed affermatosi in un mare di squali, l’inchiesta rivela lo schema che avrebbe permesso alla famiglia Trump di impossessarsi del patrimonio miliardario di Fred Trump senza pagare la tassa del 55 percento sulle eredità, risparmiando almeno 550 milioni di dollari.
Le accuse sono gravi ma ben provate. Secondo i documenti, all’età di 3 anni Donald Trump guadagnava $200.000 annui, ad 8 era già milionario e a 17 possedeva parte di un blocco di 52 appartamenti a New York. L’unico self-made-man di casa Trump, quindi, sarebbe Fred, il padre dell’attuale Presidente, che già giovanissimo iniziò a vendere proprietà e diventò miliardario dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando iniziò ad assegnare case ai veterani guadagnando dai generosi fondi federali. Donald Trump, durante la sua vita fu aiutato numerose volte da suo padre che, per evitare il fisco, iniziò ad intestare immobili ai propri figli, rendendoli membri delle sue società sin da piccolissimi e pagandoli come dipendenti di lusso.
Donald, infatti, nonostante fosse il figlio prediletto di Fred e poi suo socio vero e proprio, si trovò spesso coperto da ingenti debiti che vennero ripagati grazie al gigantesco patrimonio familiare. Nel 1979, per esempio, Fred Trump dette in prestito a Donald $1,4M a Gennaio, $65m a Febbraio, $2,4M a Luglio e così via, senza applicare interessi e senza chiederli mai indietro. Lo schema dei regali e dei finti prestiti sarebbe durato fino agli anni 90’, quando Donald Trump si trovò ad un passo dalla bancarotta a causa di investimenti sbagliati e del costoso divorzio da Ivana. Ancora un’altra volta, il patrimonio di suo padre lo salvò. A consacrarlo nell’olimpo degli imprenditori di successo, però, ci pensarono la stampa ed il mondo politico. Il 1 Novembre 1976, il NYT scriveva: “He is tall, lean and blond, with dazzling white teeth, and he looks ever so much like Robert Redford.”
Ma oltre ad essere un novello Redford, negli anni 90 Donald Trump cercò di far cambiare il testamento a suo padre, per rendere se stesso beneficiario di gran parte dell’impero familiare e bypassare i fratelli. Dopo aver fallito questo tentativo, qualche anno più tardi, i figli di Fred Trump idearono due schemi per impedire che la morte di loro padre potesse dissipare quasi la metà del sue patrimonio in tasse. Dato che Fred era affetto da demenza, gli eredi decisero di spolparlo creando la All County Building Supply & Maintenance, una società grazie al quale Donald e fratelli si impossessarono dei miliardi del padre facendogli pagare milioni di dollari in elettrodomestici e ristrutturazioni, gonfiando le fatture. Stessa sorte toccò agli immobili, trasferiti prematuramente agli eredi grazie alla GRAT (grantor-retained annuity trust), strumento attraverso il quale gli ultra-ricchi minimizzano le tasse sui grandi regali ai membri familiari. In poche parole, si assicurarono l’eredità del padre svalutando gli immobili ed evitarono le estate taxes.
Il dipinto offerto dall’inchiesta è stato definito dagli avvocati intervistati come “probabilmente criminale” e lo Stato di New York ha deciso di approfondire la questione con un’indagine. Intanto, Donald Trump ha attaccato il New York Times che –secondo lui- avrebbe usato il concetto di “time value of money” per infangare la sua reputazione.
L’inchiesta è l’ennesimo schiaffo ad un Presidente già indebolito dagli scandali dell’ultimo mese e potrebbe avere conseguenze imprevedibili sulle elezioni di medio termine. Se la storia fosse confermata, Donald Trump avrebbe mentito sulla sua carriera da imprenditore, fingendo di essere quell’uomo fattosi da solo tanto caro alla retorica statunitense. E poi, ancora più grave, come capitò anche ad un certo Al Capone, la questione delle tasse potrebbe risultargli fatale…