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Reporters Without Borders: solidarietà a Paolo Borrometi, giornalista nel mirino

La Ong che difende la libertà di stampa interviene sul giornalista ragusano: la Mafia pianificava il suo omicidio per le inchieste pubblicate

Valentina BarresibyValentina Barresi
Reporters Without Borders: solidarietà a Paolo Borrometi, giornalista nel mirino
Time: 4 mins read

Mafia e pomodorini, tra sentieri barocchi che si tuffano nel mare. Della prima, però, qualcuno nega ancora l’esistenza in quella parte di Sicilia orientale dove da qualche anno il lavoro di Paolo Borrometi, giovane e inflessibile giornalista ragusano, intacca gli interessi di chi pretende di comandare. Adesso arriva anche la solidarietà di Reporters Without Borders (o Reporter senza frontiere, RSF) che, se da un lato plaude al lavoro della polizia, riuscita a sventare il piano omicida orchestrato dai mafiosi per “fermare le inchieste” del cronista, dell’altro avverte: l’Italia è uno dei Paesi europei più pericolosi per i media, con dieci giornalisti che in questo momento vivono in un regime di protezione h24”.

Paolo Borrometi è sotto scorta dal 2014, dopo le minacce – e la pesante aggressione – subite a seguito delle sue numerose inchieste condotte sul territorio e non solo. Direttore del quotidiano online La Spia, collaboratore dell’agenzia Agi e presidente di Articolo 21, da tempo è nel mirino della mafia ragusana, siracusana e catanese.

Il giornalista Paolo Borrometi

Le sue inchieste hanno contribuito allo scioglimento del comune di Scicli, la Vigata fittizia de “Il commissario Montalbano”, e hanno riguardato il commissariamento per mafia di Italgas, il mercato ortofrutticolo di Vittoria e i trasporti su gomma gestiti dai casalesi, le vie della droga che dal Porto di Gioia Tauro si snodano fino alla provincia di Ragusa. Aggredito da uomini incappucciati, la porta di casa sua è stata data alle fiamme: episodi che, uniti alle frequenti intimidazioni, continuate anche dopo il suo trasferimento da Ragusa a Roma, hanno portato all’assegnazione della scorta.

Appena qualche settimana fa, il 10 aprile, vengono diffuse le intercettazioni della polizia che rivelano l’inquietante piano dinamitardo dei mafiosi di Pachino, pronti a metterlo fuori gioco. L’Agi le riporta:

“Fallo ammazzare, ma che c…. ci interessa”. A dare l’ordine di uccidere è il boss di Cosa nostra della provincia di Siracusa, Salvatore Giuliano, e l’obiettivo è il direttore del sito d’inchiesta La Spia e collaboratore dell’AGI Paolo Borrometi. L’ordinanza dell’operazione che oggi ha portato all’arresto di quattro persone, riporta l’intercettazione di un inquietante dialogo tra il boss e un altro esponente di spicco, Giuseppe Vizzini, tra i destinatari del provvedimento per una serie di attentati: “Giuseppe Vizzini – si legge nel documento – ingiuriava il giornalista d’inchiesta Borrometi e Giuliano consigliava di farlo ammazzare”: “Su lurdu”, dice Vizzini. E Giuliano: “Lo so, ma questo perché non si ammazza, ma fallo ammazzare”.  

Il proposito espresso dal boss di Pachino Salvatore Giuliano è recente. Quel dialogo captato dalle forze della polizia è dell’8 gennaio scorso. Un mese dopo, il 20 febbraio, Giuseppe Vizzini, nota il magistrato, “alludeva minacciosamente ancora a Borrometi” che “picca n’avi” (“Poco ne ha”) 

[…] E’ Giuseppe Vizzini a parlare: “…se sballa… se sballa che deve succedere, picciotti. Cosa deve succedere! Succedera’ l’inferno. Mattanza per tutti e se ne vanno. Scendono una decina, una cinquina, cinque, sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna, uno qua, uno qua… la sera appena si fanno trovare, escono… dobbiamo colpire a quello. Bum, a terra! Devi colpire a questo, bum, a terra! E qua c’è un iocufocu (fuochi d’artificio, ndr)! Come c’era negli anni ’90, in cui non si poteva camminare neanche a piedi… Ogni tanto un murticeddu vedi che serve, c’è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli, tutti i mafiosi, malati di mafia!…”.

Proprio ieri Paolo Borrometi è stato accolto da Papa Francesco in un’udienza privata di oltre mezz’ora, durante la quale “il Santo Padre ha accarezzato il mio cuore. Nessuna formalità, solo il suo sorriso infinito e la sua disarmante semplicità”, scrive il giornalista in un lungo post su Facebook.

Papa Francesco (Flickr.com)

“Non credevo alle mie orecchie, ma conosceva perfettamente Modica, Vittoria e si era informato su alcune mie inchieste giornalistiche, come quella che denunciava la presenza della società del capomafia di Pachino, Salvatore Giuliano, nel consorzio Igp del famoso e buonissimo pomodorino”. Racconta quindi come il pontefice si sia mostrato duro in un solo passaggio, quando “mi ha detto che i mafiosi che si dicono cristiani, di cristiano non hanno nulla. Poi mi ha chiesto di non sentirmi isolato, di andare avanti nel mio lavoro, dicendomi che lui è con me con la preghiera”.

L’udienza papale avviene nella settimana di mobilitazione (25 aprile – 1 maggio) lanciata dopo l’appello di don Luigi Ciotti e di altri giornalisti minacciati, per sostenere ogni cronista vittima di intimidazione e per rimettere al centro dell’agenda politica e mediatica la lotta alle mafie e alla corruzione.

Un segnale importante, in tal senso, è arrivato oggi da Claudio Fava, del movimento CentoPassi, con l’approvazione – nonostrante il parere contrario del Governo – di un suo emendamento alla legge finanziaria in discussione all’Ars.

Il parlamentare nazionale di Sel, Claudio Fava
Claudio Fava

“Duecento mila euro saranno utilizzati per un fondo ad hoc per i giornalisti vittime di minacce e danneggiamenti da parte della criminalità mafiosa – ha detto Fava – piuttosto che essere sprecati per finanziare un istituto cosiddetto di giornalismo – l’unico in Italia che non forma giornalisti, non permette l’iscrizione all’Albo e non è riconosciuto dall’Ordine – ma credo sia un riconoscimento doveroso ai tanti operatori dell’informazione che giornalmente rischiano per cercare e raccontare la verità con le loro inchieste e il loro lavoro”. Il riferimento è all’Istituto superiore di giornalismo: grazie all’emendamento di Fava, i 200 mila euro destinati al risanamento della scuola sono così stati spostati al fondo per i giornalisti nel mirino delle mafie.

Giornalisti sempre più a rischio, in Italia – che risulta 46esima su 180 Paesi per libertà di stampa secondo il World Freedom Index 2018 – come in Europa, ricorda ancora RSF. “Borrometi ha lasciato la sua terra per ragioni di sicurezza nel 2015, dopo una serie di attacchi e tentativi d’intimidazione. – scrive la Ong – Adesso vive a Roma dove è permanentemente scortato da diversi ufficiali di polizia. Dopo due omicidi di giornalisti europei negli scorsi sei mesi  – Malta e Slovacchia – un terzo è stato dunque salvato quasi per un pelo”.

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Valentina Barresi

Valentina Barresi

Valentina Barresi è corrispondente dall'Italia per La Voce di New York. Giornalista dal 2008, s'interessa d'attualità, cultura, esteri e mafie. Vincitrice della 28esima edizione del premio "Mario Formenton", ha scritto per la Repubblica, America 24, il Giornale, la Sicilia e ha collaborato con gli uffici stampa dell'Ambasciata d'Italia a Washington DC e di Oxfam Italia. Tra le città in cui ha vissuto, ci sono Palermo, New York, Roma, Milano, Lussemburgo. Peregrina per necessità o diletto, non ha ancora trovato il suo "centro di gravità permanente", sebbene la Sicilia rimanga per lei l'ombelico del mondo.

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