È il sogno di ogni buon giornalista. Che le proprie inchieste non restino parole su carta, o soltanto materiale per processi e sentenze. Ma che ottengano un impatto anche sull’opinione pubblica.
E nella migliore delle fantasie, rimangano nella storia, magari contribuendo a cambiarne il corso. Certo, non spetta a noi dirlo, ma la rivoluzione scaturita dal prezioso lavoro del New York Times e del New Yorker sul caso Weinstein è forse destinata a guadagnarsi un accenno nei decenni a venire.
Perché il Pulitzer congiunto che le due testate hanno appena conquistato è il meritato riconoscimento a un meticoloso lavoro di squadra che ha squarciato un velo, tanto sottile da diventare quasi invisibile ai più. Tanto sottile e torbido da rendere opaca la vista di chi quel mondo, quei mondi, li ha sempre vissuti con sguardo assuefatto. Dopo il riconoscimento di Persona dell’anno di Time a #MeToo, arriva il più prestigioso e antico riconoscimento giornalistico Usa a premiare i reporter che quel movimento hanno ispirato.
Jodi Kantor e Megan Twohey, del Times, sono stati premiati insieme a Ronan Farrow, collaboratore del New Yorker, perché – nelle parole della nuova amministratrice del Pulitzer, Dana Harvey, hanno prodotto “un giornalismo d’impatto, esplosivo, che ha esposto i predatori sessuali più ricchi e potenti”.
Oltre cento donne, negli ultimi mesi, hanno rivelato di essere state vittima di molestie e abusi sessuali da parte del mogul. Una rivoluzione che ha preso la forma di un hashtag dalla portata dirompente valicando i confini statunitensi e le pareti dorate del mondo di Hollywood, travolgendo ogni settore, dalla politica alla tecnologia, dallo showbusiness agli stessi media. Un rumoreggiare condiviso, che si è fatto grido e poi onda. Che ha travolto i personaggi più noti e insospettabili e si è imposta nell’agenda del dibattito mondiale.
Fra le prime donne a raccogliere la sfida e a denunciare pubblicamente gli abusi subiti da parte del produttore hollywoodiano c’è anche un’italiana, l’attrice e regista Asia Argento, cui Ronan Farrow, che mesi fa ne raccolse le confessioni sulle colonne del New Yorker, ha oggi dedicato il suo Pulitzer in un tweet: “Questo premio – ha scritto il reporter – è anche tuo, Asia”.
Donne che non restano silenti e giornalismo vigile, più vivo che mai, capaci di sfidare convenzioni e previsioni: un connubio che fin dall’insediamento nello Studio Ovale di Donald Trump ha fatto tremare la Casa Bianca. E che oggi mostra al mondo quale sia la potenza che fa dell’America una nazione che vale ancora la pena definire great country: non quello che mostra i muscoli e sgancia missili, che erige muri e pianta bandiere, ma quell’unione di popoli e grandi ideali, capace di dar voce e corpo alle rivoluzioni del costume, sociali e civili, le stesse in grado di influenzare in meglio il resto del mondo.