Mark Zuckerberg ha parlato. Lo ha fatto tramite un post su Facebook, nel pomeriggio statunitense di mercoledì 21 marzo. Poi in un’intervista alla CNN, concessa alla giornalista Laurie Segall e mandata in onda in prima serata. Poi al New York Times, descrivendo il futuro della sua creatura. Lo ha fatto dopo un silenzio durato una manciata di giorni. Dicendo, se dovessimo riassumerle, grosso modo queste cose: scusate, è stata colpa nostra, mi prendo io le responsabilità, ci stiamo già lavorando, non accadrà più.
Nelle ore del caos Cambridge Analytica, prima che Mark Zuckerberg concedesse la sua prima e unica intervista però, il famoso “popolo del web” si era già riversato nel suo habitat naturale per dire la sua. Dove? Su Facebook naturalmente! Buffo, vero? Centinaia e centinaia di persone hanno discusso di Facebook, su Facebook, mentre il fondatore di Facebook si rinchiudeva in un silenzio strategico per capire come riparare l’incidente e il danno d’immagine del suo social. Riparandolo, per altro, da quelle che sembrano essere le prime reazioni dagli addetti ai lavori, dignitosamente bene. E ricordando un po’ Jeff Bezos nel 2015, quando a seguito di un reportage del New York Times sulle drammatiche condizioni dei lavoratori ad Amazon, dopo qualche ora di silenzio, scrisse in una lettera: “La nostra tolleranza per tale mancanza di empatia deve essere zero”, “non è l’azienda che conosco”, e ancora “a queste condizioni non ci lavorerei nemmeno io”. A riprova del fatto che a volte, il silenzio, possa valere più delle mille parole da pronunciare a tempo debito per uscire strategicamente da una crisis aziendale.

A proposito di parole comunque, decifrare le sensazioni e le vibrazioni del famoso popolo del web è fondamentalmente impossibile. E francamente, sarebbe anche inutile. Sarebbe come capire il senso della vita quotidiana, leggendo l’oroscopo. Ma un dubbio sta tenendo banco ovunque sul web, anche ovviamente su Facebook: Facebook è destinato a chiudere? Inizierà ora il fuggi-fuggi generale dal social network di Zuckerberg? La fiducia tra utenti e social si è spezzata? Ecco, la sensazione, leggendo in giro una manciata di bacheche Facebook, è che di fiducia ce ne fosse già poca prima. Quindi no, non si è spezzato nulla. E difficilmente cambierà nulla, o almeno non dopo questo scandalo. Esisteva una sorta di naturale accettazione del fatto che nel momento in cui ti metti in vetrina su Facebook, sai che stai dando in pasto al pubblico i tuoi dati che hai deciso di inserire nel sistema.
Entrando più nel particolare, però, ecco sei tipologie di utenti che sembrano emergere più di altri, e che ci fanno capire che Facebook sia più vivo che mai.
La polemica sbadata – Il polemico sbadato
“È uno schifo che le grandi compagnie dei social collegate alle lobby diano i nostri dati ai poteri forti!!1!1!!”. La riconoscete? È la frase dei polemici sbadati. Condividono articoli di dubbi portali complottistici, nei quali viene spiegato come e perché i social network non sono altro che uno strumento attraverso il quale i “governi” e i “poteri forti” possono controllarci tutti. In genere, da una parte o da un’altra, finisce per sbucarci fuori pure Soros. Sono però utenti sbadati: perché condividono questi “scempi” proprio usando gli strumenti per i quali gli scempi sarebbero possibili. E non lasceranno Facebook, mai. Perché in fondo “gli vogliono bene a Mark”.
La complottista – Il complottista al contrario
In genere sono l’altra faccia della medaglia dei polemici: “È tutto un complotto dei poteri forti contro Facebook e la libera informazione. Mark dà fastidio ai media mainstream che vogliono controllarci!”. Posto che non c’è nulla di male ad essere complottisti, ovviamente sapendosi controllare e conoscendo i propri limiti, loro in genere vedono ogni attacco a qualsiasi piattaforma online come un attentato alla libertà d’espressione. E magari alla democrazia. Per la quale, per averla, magari qualche scotto si dovrà pur pagare. E nel caso qualche dato sia scappato, insomma, “I don’t care…”.
La sarcastica – Il sarcastico
“Quindi Facebook concedeva indirettamente o direttamente i nostri dati in giro. Prossima grande scoperta: l’acqua che si scalda al sole!”. Le ironiche e gli ironici, sono i migliori. Facebook non lo lasceranno mai, o almeno non a seguito di presunti scandali come Cambridge Analytica. Si pongono anzi su una sorta di traballante piedistallo, dal quale fanno capire che loro già sapevano. Che non c’è nulla che si possa fare. Che era assurdo non accorgersene. E che insomma, per dinci, che male c’è? “Io tanto non ho nulla da nascondere, che mi traccino pure”.
L’esperta/o – addetta/o ai lavori che chiede lo stesso silenzio di Mark
“Vi prego, se non sapete cosa dire sui Big Data, fate come ha fatto Mark: state in silenzio”. Social media manager, Seo specialist, data specialist, informatici, esperti di codici, un po’ nerd e un po’ appassionati. L’identikit di chi scrive questa frase su Facebook è grosso modo questo. In genere sono i più ragionevoli, proprio perché rompono la strategia del silenzio per chiedere agli altri di seguirla. E visto com’è andata a Mark, che grosso modo sembra aver messo una toppa alla crisis della sua azienda, forse hanno ragione. Anche, loro, di certo, Facebook non lo lasceranno a breve termine. E neanche a medio. Anche perché spesso, sul social, ci lavorano.
L’utente diligente
Qui non ci sono quote o virgolettati di sorta. Perché non commentano. Riportano diligentemente quello che leggono dalle testate e quello che i giornali scrivono. Lo fanno con metodo, condividendo il link direttamente dall’articolo. I più preparati dal New York Times e dal The Guardian (fonti primarie), o da Il Post in Italia, seguito per i suoi “riassuntoni”. Nessun commento, se non generici. Mai toni saccenti, se non la consapevolezza interiore di essere tra gli unici a riportare le news come si dovrebbe sempre riportarle: con rispetto di chi le ha già scritte.
La disinteressata – Il disinteressato silenziosa/o
Di fatto, detto alla francese (o come direbbero a Milano), sono quelli che se ne “strasbattono”. Massì, dai, la vita va avanti. Cambridge Analytica ha comprato i dati che “thisisyourdigitallife” ha ottenuto su Facebook nel 2015, e quindi forse ci sono dei legami tra la campagna elettorale di Trump, la Russia e e una società di consulenza un po’ oscura di cui si sa poco? “Ecchissenefrega, tanto io domattina mi devo svegliare lo stesso per andare a lavorare, Facebook o non Facebook, Mark o non Mark”. In genere sono coloro che, mentre il mondo del social parla e condivide del caso Cambridge Analytica di turno, loro continuano a postare foto di paesaggi, aperitivi, sushi, pancakes o spritz.
Ok, se siete arrivati qui, ora starete pensando. “Ma che cosa scrive questo, io conosco qualcuno che se n’è andat…”. Sì sì, avete ragione. È vero. Ci sono anche loro. Persone che dopo aver letto quanto successo nelle ore dello scandalo Cambridge Analytica hanno disattivato o cancellato definitivamente il loro profilo su Facebook. Ma in genere si tratta di persone, queste, già poco convinte sui social o che già usavano quel social con il contagocce. E che alla fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso, hanno detto basta. Ma non sono certo la maggioranza, specie negli Stati Uniti che già usano Facebook più per Messenger che per l’applicazione in sé.

Insomma, ricapitolando, la sensazione è che se un giorno Facebook dovesse iniziare la sua parabola discendente, non accadrà certo per il presunto scandalo Cambridge Analytica. Anzi. E se fossimo Mark Zuckerberg, e lui probabilmente lo sa bene, ci preoccuperemmo di ben altri problemi. Ad esempio: nel caso in cui davvero, come sembra, Facebook dovesse usare il pugno duro con le applicazioni chiedendo agli sviluppatori di abbottonarsi troppo e di attenersi a troppi vincoli, il rischio che saranno loro ad abbandonare Mark è concreto. E se se ne vanno loro, prima degli utenti, la situazione per Facebook potrebbe davvero farsi grigia. Facebook, infatti, è un social media che ha basato una buona parte dei propri investimenti degli ultimi anni sullo sviluppo delle app: Zuckerberg e i suoi hanno invitato i programmatori e sviluppatori a usare il loro social come una sorta di palestra in cambio dei dati degli utenti filtrati dall’anonimato. Se dovessero andare via questi profili, per Facebook potrebbe sorgere un problema. Anche perché quelle app e quegli sviluppatori potrebbero migrare su altre piattaforme. Un esempio? Oltre alla minaccia WeChat, il colosso cinese e asiatico che sta invadendo sempre più il mercato occidentale, penetrando nuove frange d’utenza con una velocità spaventosa, un altro esempio di cui si inizia a parlare è “Kialo.com”. Si tratta di una piattaforma che sembra essere a metà tra Google e Facebook, nata per “facilitare un dibattito costruttivo sulle tematiche più importanti del mondo”, come scrivono quelli di Kialo nel presentarsi. Che precisano: “Aspiriamo a diventare non solo il posto dove puoi argomentare, ma anche il posto dove puoi esplorare le ragioni per cui persone diverse da te sono in disaccordo e la vedono diversamente da te riguardo certe tematiche”. Che il futuro sia qui, insomma? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma intanto le foto dei tramonti e i link dei complotti, continuiamo pure a pubblicarle su Facebook e su Instagram.