
L’effetto Weinstein continua. Si allarga. E sembra inarrestabile. Dopo lo scandalo che ha travolto grandi registi e attori di Hollywood, un vero e proprio vaso di pandora è stato spalancato sul tema, in tutto il mondo. L’ultimo caso, il più recente, coinvolge (e, per ora, travolge) Charlie Rose, il famoso giornalista televisivo americano, accusato da otto dipendenti che avevano lavorato con lui di molestie sessuali, e per questo motivo sospeso momentaneamente dal network CBS.
Il tema è profondo. È delicato. E ha fatto letteralmente scatenare l’opinione pubblica, divisa tra dialogo costruttivo e tifoseria da stadio. Le gravi accuse di molestia e violenza rese pubbliche da alcune donne hanno portato infatti a riflettere sul significato di abuso e molestia, su cosa funzioni oggi in termine di prevenzione e su cosa invece vada migliorato o cambiato all’interno degli ambienti lavorativi. Ma non sono mancate confusione e conclusioni affrettate. Così come non manca una certa subcultura che considera scontati e normali atteggiamenti che in realtà non lo sono o non dovrebbero esserlo.
Di tutto questo abbiamo parlato con un’esperta, Michele Paludi, Professoressa di Psicologia alla Graduate College’s School of Management, con un passato ad Hunter College a New York. Autrice di 56 libri di testo universitari e di oltre 250 articoli accademici sul tema delle violenze sui posti di lavoro, sulle molestie sessuali e sulle ricadute che queste hanno sulla psicologia femminile, è anche autrice del libro “Academic and Workplace Sexual Harassment: A Handbook of Cultural, Social Science, Management, and Legal Perspectives”. Michele Paludi è direttrice del Senior Faculty Program della School of Business and Technology ed è la fondatrice e presidente di Human Resourcers Management Solutions, una società di consulenza nello Stato di New York.
Professoressa Paludi, oggi più che mai sembra si faccia molta confusione sulla differenza tra il concetto di molestia e il concetto di violenza sessuale. Così come spesso è venuta e viene a mancare la linea di demarcazione che differenzia un tentativo di “adulazione” a una “molestia”. Ci spiega queste differenze nella società di oggi?
“È chiaro che comportamenti decorosi e onorevoli siano ancora oggi bene accetti, un complimento in buona fede non è una molestia e un flirt non è un reato, e non si deve far passare il messaggio contrario. Il problema è che molto spesso si finisce per confondere la molestia facendola passare per un tentativo di adulazione. E lo si fa con una leggerezza preoccupante. Studi di psicologi hanno dimostrato le conseguenze devastanti che prendono corpo nella testa di una donna, a seguito di una molestia sul posto di lavoro. Non tutte le vittime sono capaci di dire “basta, non apprezzo quello che mi stai dicendo” e semplicemente interiorizzano l’accaduto, vivendo tutti i condizionamenti del caso, anche fisici: depressione, difficoltà a prendere sonno, problemi di stomaco, impatto sulla carriera. Le stesse conseguenze di abusi e violenze. A volte smettono persino di andarci, al lavoro (o anche a scuola, per le ragazze più giovani). E questo ha delle conseguenze anche sulle relazioni, perché queste donne finiscono per chiudersi e per vedere di cattivo occhio ogni genere di attenzione maschile, anche quelle sane”.
Di recente otto donne hanno accusato Charlie Rose di molestia sessuale. L’opinione pubblica è divisa: c’è chi pensa che finalmente queste donne abbiamo trovato l’opportunità di confessare pubblicamente quanto hanno subito e c’è chi crede, invece, che queste persone (come molte altre) non siano vittime per davvero, perché all’epoca dei fatti avevano accettato il compromesso. Che cosa ne pensa lei?
“È quasi un sollievo, per questa seconda parte dell’opinione pubblica, potersi chiedere: “Perché non ne se ne sono andate? Perché sono state così tranquille fino ad ora?”. La realtà è che nella maggior parte dei casi non sono state per nulla tranquille. Spesso si tratta di profili deboli, sensibili, semplicemente impaurite dal perdere un posto di lavoro che magari in quel momento rappresenta tutto ciò che hanno. Quindi resistono, passano oltre e neanche realizzano bene cosa sia successo. Perché temono che se lo dicessero finirebbero anche per essere incapaci di rifare quello stesso lavoro – che sia attrice, assistente o qualsiasi altra figura professionale – da altre parti. Questo effetto si acuisce in particolar modo negli ambienti lavorativi dove è in atto un certo establishment di potere: penso alla politica, così come appunto penso a Hollywood e ai network televisivi”.

Quindi il bubbone scoppiato di recente è servito?
“Gli ultimi episodi hanno semplicemente permesso a delle donne più timorose di fare quel passo che permettesse loro di superare la domanda interiore: “E se lo dico e non vengo creduta?”. Ora si è più confidenti che quell’accusa venga tenuta in considerazione. Nel caso di Kevin Spacey, ad esempio, tutto è partito dalle scuse pubbliche di chi era presunto molestatore per una presunta molestia, e questo ha portato a una maggiore consapevolezza di chi è stata vittima a parlare di ciò che ha vissuto”.
Secondo lei, questa ondata di accuse è dovuta al fatto che le donne abbiano trovato quindi il coraggio di esporsi o c’è un contesto diverso che ha permesso loro, rispetto al passato, di parlare pubblicamente delle molestie ricevute?
“Oltre al fattore coraggio, credo che i passi in avanti della nostra società rispetto al passato siano enormi. Rispetto a un ventennio fa, ad esempio, le persone sono cambiate, i posti di lavoro sono migliorati. È in atto un percorso che è servito a far capire a uomini e donne che cosa sia una molestia sessuale, che cosa significhi, quale impatto abbia sul posto di lavoro e sulla persona che ne è vittima, che cosa sia giusto fare e come comportarsi quando se ne riceve una. C’è una specie di training in atto perché prevenire ed educare è importante. E oggi chi denuncia sa che sarà più protetto rispetto al passato. E questo anche prima del caso Weinstein”.
Harvey Weinstein, Kevin Spacey, Charlie Rose. Ma anche Roy Moore e Mark Halperin. E di recente, il senatore Democratico Al Franken. Questi uomini hanno ricevuto pesantissime accuse di molestia e la loro carriera ne ha già risentito nonostante non ci siano, oggi, prove altrettanto pesanti a loro carico. Prima del voto del 2016, invece, il candidato poi Presidente Donald Trump era stato colto in viva voce mentre parlava con linguaggio volgare e violento di una donna, e di quanto fatto con lei. Nonostante questo, di conseguenze delle sue azioni, sulla sua campagna, non ce ne sono state ed è diventato Presidente comunque: perché?
“Perché quel video fu considerato da una maggioranza di persone nello stesso modo in cui lui stesso ha spiegato che fossero: chiacchiere da spogliatoio. Molti ritengono ancora oggi commenti del genere dei semplici tentativi di flirt o di adulazione: in tal caso, parole come quelle non saranno mai interpretate come molestie sessuali, ma appunto solo come chiacchiere da bar. Non solo: molti hanno creduto che lui si stesse solo vantando, che alla fine non lo abbia fatto davvero. Di accuse a suo carico ce ne sono state, ma relativamente a quel video non c’è stata la percezione, da parte di molti, che poi quelle cose le avesse compiute. Questa interpretazione ha permesso a molti elettori di mettere da parte quel video e di considerare la sua candidatura come presidente sulla base di altre questioni”.
E non potrebbe essere lo stesso per lo scandalo di Hollywood?
“Non più, perché ci sono state delle accuse pesanti arrivate da più persone verso più profili, tutti all’interno di uno stesso ambiente. Cosa non avvenuta lo scorso anno con il video di Trump. E questo potrebbe rappresentare una svolta oggi: ora che più persone a Hollywood e nella Silicon Valley stanno parlando delle loro esperienze di molestie sessuali e violenze sessuali ricevute, è più probabile che le persone etichettino anche quei commenti del Presidente Trump come molestie sessuali”.