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September 8, 2017
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Terrore e celibato: ecco come il prezzo della sposa favorisce il terrorismo

In un recente studio, Valerie Hudson (Texas A&M) e Hillary Matfess (Yale) esaminano le connessioni tra il fenomeno terroristico e la pratica del "brideprice"

James HansenbyJames Hansen
Terrore e celibato: ecco come il prezzo della sposa favorisce il terrorismo
Time: 3 mins read

La  grande  maggioranza  dei  terroristi – fino  all’80  percento – è  single. Non sorprende. È noto come il matrimonio faccia passare i  “grilli” alla testa dei giovani maschi. Il ruolo di marito, per non parlare di quello di padre, non lascia tanto spazio ad altre attività impegnative. Ora un nuovo studio, apparso su International Security – “In Plain Sight: The Neglected Linkage between Brideprice and Violent Conflict”  di Valerie Hudson (Texas A&M University) e Hilary Matfess (Yale) – esamina la possibilità che una buona parte del fenomeno terroristico possa nascere proprio dalla difficoltà dei giovani in alcuni paesi di trovare una donna.

Si tratta degli abitanti delle (molte) nazioni dove vige l’uso del “prezzo della sposa” – il “brideprice” in inglese, una dote al rovescio pagata dal giovane alla famiglia della donna che vuole impalmare. Poco familiare in Europa, l’usanza di “acquistare” moglie è fortemente presente in Africa, nel Medio Oriente, nell’Asia Centrale e nel Sud-est Asiatico. Il problema è che negli ultimi decenni il costo delle donne è enormemente cresciuto. Il fenomeno è stato identificato come emergenza sociale in almeno tre importanti paesi: l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Nigeria.

Il Governo Saudita, nel tentativo di “calmierare” il prezzo delle spose, ha imposto per legge un tetto di 50mila rial (circa € 11mila) per la donna vergine e di 30mila (poco meno di € 7mila) per quella precedentemente sposata. Nel Sudan del Sud, un paese povero e dove la sposa si paga prevalentemente in vacche, una relazione del 2012 dell’Institute of Security Studies conclude che “con il prezzo attuale di $300 a capo per il bestiame, il costo (di una moglie) va dai $10mila ai $60mila”. Per molti uomini, l’unica speranza di reperire una tale somma è di aderire alle bande armate che devastano il Paese.

In Egitto si calcola che il costo di “ammogliare” un figlio richieda mediamente sette anni di risparmi familiari. Lo Stato tenta di arginare la crescente tendenza dei giovani a preferire donne straniere “più economiche” provenienti da culture islamiche dove il prezzo della sposa è poco usato. Le palestinesi sono particolarmente ricercate. In Nigeria, dove il problema è sentito al punto che è disponibile un software – “Bride Price App” – per stimare l’esborso, il movimento terroristico Boko Haram fa leva sulla possibilità di ottenere una moglie come strategia di reclutamento. Secondo uno studio, nel 2015, l’organizzazione aveva già sequestrato oltre 2mila donne da “regalare” ai suoi aderenti come spose.

Hamas e poi Isis impiegano tecniche simili, seppure un tantino più sofisticate. Il giornalista palestinese Taghreed el-Khodary scrive: “I leader di Hamas fanno i paraninfi, mettono insieme i combattenti con le vedove, forniscono il prezzo della sposa e pagano i festeggiamenti”. Lo Stato Islamico, secondo Ariel Ahram della Virginia Tech University, offre ai foreign fighters di coprire un brideprice di $10mila e, fino a poco fa almeno, una luna di miele gratuita nella ormai ex capitale del Califfato di Raqqa. Il termine brideprice, con il suggerimento che la sposa possa essere un mero oggetto di commercio, è criticato da chi preferisce il neologismo “bridewealth” perché, come ha scritto l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss: “La donna non ha valore, è un valore”. Comunque sia, in troppe parti del mondo quel valore oggi si paga con il sangue.

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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