A Ischia lunedì sera (21 agosto) c’è stato un terremoto. Magnitudo 4. Due morti, decine di feriti, un bimbo di 11 anni, Ciro, che ha salvato i fratellini dalla morte. Una famiglia salvata da Dio. O dai Vigili del Fuoco. Una bimba, Anna, nata pochi minuti dopo la scossa. Case crollate. Forse perché fatte male sull’isola verde, forse perché destinate a cadere. Forse perché qualcuno ha qualche colpa, forse no. Tg nazionali a parlarne una notte intera. Bilancio grave, due vite interrotte ma poteva andar peggio, sebbene la scossa non fosse così forte. I danni ingenti ci sono stati, si prega affinché non ne risenta il turismo dell’isola del Sud, del Golfo di Napoli che di turismo vive. Gli appelli a non esagerare, a non spaventare i turisti, gli allarmi rientrati, i vip a cinguettare che va tutto bene, che tutto è tornato alla normalità, nonostante tutto. Eppure quella notte qualcosa di anormale c’è stato. Non voglio entrare nella cronaca: di quella s’è già scritto, twittato, postato. Non voglio parlare delle polemiche: di quelle se ne occuperà, nel caso chi ne saprà più di me, più di noi, in un’aula di tribunale. E neppure dei politicanti, “sciacalli” mediatici. Non voglio parlare nemmeno dei “salvati”: quelli sono la gioia di un bimbo di 7 mesi, Pasquale, in body bianco e pannolino, letteralmente riportato alla luce di una torcia. Questi sono i miracoli che fanno tirare un sospiro di sollievo, e non hanno bisogno di ulteriori parole.
Io Ischia la conosco. Vivo a Napoli, sono nata a Napoli ma io Ischia la conosco. L’ho vissuta per cinque anni, l’ho amata e la amo, perché l’isola è un mondo a sé. Avete presente com’è? Avete mai vissuto le sue dinamiche? E’ così strano. A Ischia (come immagino accada un po’ ovunque sulle isole) le coordinate spazio-temporali hanno un altro valore: il tempo è dilatato, nessuno va poi così di fretta. Lo spazio pure: Forio d’Ischia-Ischia è lontano! Se abiti a Forio, lavori a Forio. Se abiti a Ischia e il tuo futuro marito ha casa a Forio, senti di diventare meno cittadina. Ischia è 43 km quadrati. In tutto. A Ischia sei sempre straniera, e non perché ti guardino male ma perché si conoscono tutti, o quasi, e sanno che tu non sei dell’isola. A Ischia si è quasi tutti parenti, per una strada o per un’altra. A Ischia molte porte d’ingresso sono ancora di legno, con le chiavi vicino. Appese all’esterno. A Ischia il mercatino settimanale è luogo di incotro collettivo. E di pettegolezzo pure. Perchè si sa, il paese è piccolo, la gente mormora. Assai. Ma ci sta. Ischia si divide in quella per i turisti e quella per gli isolani. Che è un’altra storia proprio, ve lo assicuro. Ischia è il “Volo dell’Angelo” del lunedì in Albis quando tutti sono in piazza a Forio ed i fuochi a mare a Sant’Anna. E’ San Vito, patrono, e la messa cui partecipa un’isola intera. Come ai funerali. E ai matrmoni. È il coniglio, all’ischitana che in cinque anni non ho mai voluto assaggiare per spirito animalista verso i coniglietti. E che qundi non ho mai mangiato. Non che io sappia almeno. E potrei andare avanti per ore a descrivere quest’isola così meravigliosa, a 45 minuti di aliscafo da Napoli.
Ma l’anormale di cui sopra preme per essere raccontato. Da me. Che l’ho visto, coi miei occhi. Increduli, lo ammetto. Facciamo un passo indietro. Uno solo. Di un anno. Il 24 agosto del 2016 alle 3.36 del mattino, un terremoto distrusse Amatrice, cittadina del Centro Italia. Naturalmente Amatrice non fu l’unico paese a pagare il prezzo della natura devastante ma ne è diventata poi il simbolo, per averne pagato quello più alto. Sapete cosa accadde? Che da tutta Italia, dal Sud soprattutto, ci fu una mobilitazione incredibile, una gara di solidarietà: alberghi pronti ad ospitare gli sfollati, volontari di Croce Rossa partiti, raccolte di beni di prima necessità da ogni dove (io stessa vi partecipai) tanto che ad un certo punto chiusero i punti di raccolta di Napoli (e non solo): si stava mandando troppo, non si era più in grado di gestirlo. Ecco, troppo. L’Italia, il Sud concedetemelo, stava facendo troppo. Ma nessun napoletano degno di questo nome avrebbe fatto meno di questo, perché è così: forse perché, come scriveva Matilde Serao, il napoletano è abituato ad aiutarsi ed aiutare gli altri napoletani, visto che il Governo non lo fa, visto, scriveva Matilde, “che i suoi fratelli italiani non lo fanno”. E va bene, va bene. Un napoletano lo sa e va avanti.
Ma l’altra sera, sui social (usati soprattutto per dare notizie, aggiornamenti e numeri utili), l’Italia ha dato il peggio di sé. Una parte, è chiaro. Piccola e insulsa ma c’è stata. Ora, le linee di pensiero sono due: ignorare i beceri che durante un evento del genere con morti e feriti ne approfittano per goderne, oppure dirlo, segnalarli, metterli alla gogna o qualcosa di simile. Io sono per la seconda. Io che quando ho aperto una pagina di Facebook dove erano riportati aggiornamenti sul terremoto, ho dovuto leggere i commenti di chi scriveva “Ischia nella top 5 degli abusi. E’ merito loro. Svegliati Vesuvio”. E inneggiava al Vesuvio, appunto. Era un uomo, Luca. Nella sua foto profilo beve un drink “alla salute”. Chissà di chi. E poi una ragazza, Sara, una modella, bellissima: “Speravamo nel Vesuvio. Ma il terremoto va bene lo stesso”. Bella che balla una schifezza, aggiungerei parafrasando il vecchio proverbio. E un altro, Pasquale, nome “bergamasco” è chiaro: “Il Vesuvio si sta svegliando”. Lui nella foto profilo ha la bandoera tricolore. Vince tutto, va detto. Qualcuno di loro, ricoperto di insulti, ha cancellato l’account. Come Sara. Gli altri non hanno avuto neppure questa decenza. Ora, io lo so che l’Italia non è questa. Voglio sperarlo, davvero. Ma per uno che lo scrive su Facebook, ce ne sono almeno dieci che lo pensano. Gente normale, comune, non estremisti o terroristi. Gente normale. Anzi, no, non lo è: non è normale. Perché normale è l’umana pietà, straordinaria è la compassione dei napoletani, diabolica, invece, è la “gioia” per il dolore, per le morti, per un bimbo di 7 mesi che poteva non farcela. E allora, quando si dirà che Napoli è folklore, che il Sud difende se stesso, che i meridionali sono permalosi… Ricordiamoci di Sara, la modella, di Luca e il suo drink, di Pasquale, il patriottico, e di qualche fake vigliacco su Twitter. Prima di giudicare Napoli e la solidarietà nostrana. Ricordiamocelo.