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Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

I video e le foto esclusive relative agli scontri di Boston di sabato 19 agosto, e il commento da parte di chi li ha vissuti da vicino

Davide MamonebyDavide Mamone
Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

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Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

(Foto VNY / D.M.)

Scontri a Boston, e se Donald Trump avesse avuto (un po’) ragione?

Time: 4 mins read

La vedete questa foto? Fermatevi un attimo sui particolari. I vestiti neri come la pece, le maschere scure per coprire il volto, gli occhi minacciosi che traspaiono, l’assetto quasi da guerra con cui sono posizionati. Se non ci fosse la scritta “Antifascist” chi credereste che fossero? Tutto, ma non persone che stanno difendendo la libertà d’opinione o il concetto di antifascismo.

Sabato 19 agosto, la città di Boston è stata al centro del caos e delle cronache di tutto il mondo. Là dove si sono mossi i primi passi della storia americana, della Costituzione e del Primo Emendamento che difende la libertà d’espressione, proprio il concetto di libertà ha in realtà scricchiolato. Nel silenzio di chi, in mezzo agli scontri che si sono verificati, ha preferito non esserci. Nel silenzio di troppi media che si sono dimenticati di raccontare l’altro volto delle proteste. Perché è vero, tutti hanno riportato la notizia del corteo dei 40mila per le strade di Boston, in risposta all’incontro dei White Supremacist organizzato all’interno di Common Park. Ed è stato giusto così, perché quell’iniziativa così pacifica e così significativa ci ha confermato che gli Stati Uniti hanno gli anticorpi necessari per proteggersi da pericolosi estremismi di destra e che il livello d’attenzione dell’opinione pubblica è alto.

Gli scontri di Boston (Foto VNY / D.M.)

Ma allo stesso tempo, sabato 19 agosto è stata anche la data in cui a Boston l’America si è dimenticata della sua natura, proprio nella città in cui ha mosso i primi passi. E se ne è dimenticata in silenzio, come se non fosse successo nulla. Il corteo dei 40mila è stato solo una delle due facce della medaglia. L’altra, di cui nessuno ha parlato, ha visto come protagonisti proprio quei visi antifascisti coperti da maschere scure e i volti di chi al Common Park di Boston non ha protestato contro il razzismo dei White Supremacist o contro un’idea sbagliata di mondo, ma si è scagliato direttamente contro la persona, prima che contro l’idea.

Guardate questo video. Ci troviamo a Boylston Street, la via adiacente al Common Park dal quale la polizia ha deciso di far uscire la sessantina di manifestanti appartenenti ai White Supremacist, che si erano riuniti in una struttura al suo interno. A scortarli, agenti in assetto antisommossa. Ad attenderli, centinaia e centinaia di “counterprotester”, di contro-manifestanti che si erano dati appuntamento proprio a Common Park fin dal mattino per far sentire la loro voce. Fin qui nulla di male, anzi. Ma la situazione è degenerata ben presto, e dopo due ore di presidio all’interno del parco, la Boylston Street dove tutti si sono dati appuntamento per affrontare gli estremisti di destra si è riscoperta un luogo intriso d’odio. Una via dove molti si sono appellati al Primo Emendamento nei cori, dimenticandosi però del Primo Emendamento stesso negli atteggiamenti.

Arresti a Boston (Foto VNY / D.M.)

Il ragazzino intervistato dalla NBC è una della sessantina di persone che ha partecipato all’incontro dei White Supremacist. Non sembra avere più di vent’anni e indossa una maglia di Donald Trump. Mentre parla alle telecamere, in un primo momento gli arriva un getto d’acqua addosso. In un secondo momento, il getto d’acqua diventa una bottiglia di plastica, lanciatagli in testa da un altro ragazzo dalla folla. La colpa del ragazzino sbarbato con la maglia da supporter e l’atteggiamento non propriamente friendly, è proprio di indossare quella maglietta da supporter. E il giornalista della NBC, dopo il fattaccio della bottiglia, si vede costretto a fermare la seconda parte dell’intervista invitando il ragazzino, che nel frattempo si è visto augurare la morte e ha ricevuto insulti di ogni genere da uomini adulti e vaccinati di più di 40 anni, a nascondersi.

Il fatto non ha avuto risonanza, solo perché ad essere lanciata è stata un’innocua bottiglia di plastica. Senza morto, si sa, in questo mondo non sembra esserci notizia. Ma a preoccupare è quel gesto. A preoccupare è il concetto che anche negli Stati Uniti d’America, terra di libertà, in una manifestazione contro il razzismo e gli estremismi, estremismi al contrario possano essere considerati da qualcuno validi strumenti di espressione. Immaginate se al posto di quella bottiglia di plastica vuota ci fosse stato un sasso. Di cosa staremmo parlando ora?

«Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». La riconoscete? Molti attribuiscono questa frase a Voltaire, anche se in realtà non è stato lui a pronunciarla. Fatto sta che qualcuno nella storia l’ha detta e che quel qualcuno aveva ragione. Gli Stati Uniti hanno sempre fatto valere questo concetto prima di ogni altro, perché la libertà d’espressione è e deve essere un faro per tutti e va protetta. Ma quel faro, sabato 19 agosto, a Boston ha perso un po’ della sua brillantezza. Ed è triste pensare che a far scricchiolare la libertà d’espressione non siano stati solo gli estremisti di destra dalle posizioni impossibili da digerire, ma anche certe frange della fazione opposta. Quelli che per protestare hanno finito per usare gli stessi metodi delle persone oggetto della loro protesta. Il presidente Donald Trump parlerebbe in questo contesto di “both sides”. Anzi, ne ha già parlato, dopo i fatti di Charlottesville, dimenticandosi in quel contesto di rispettare il suo ruolo istituzionale dopo la morte di una ragazza innocente. Lo avesse detto dopo i fatti di Boston, però, in pochi gli avrebbero potuto dare torto.

Polizia in assetto antisommossa (Foto VNY / D.M.)

Perché in quella Boylston Street, ad una manciata di chilometri dove John Adams gettò le basi dell’America assieme ad altri rivoluzionari sognatori, è stata proprio l’America a scricchiolare. E poco importa se rispetto al corteo dei 40mila, quelle decine di persone intrise d’odio e riunite in quella strada fossero una minoranza. Il campanello d’allarme è che oggi quell’odio esista e trovi un canale attraverso cui esprimersi da entrambe le parti. E che un domani, in un’altra Boylston Street d’America, quella bottiglia di plastica possa trasformarsi in un sasso, facendo precipitare una situazione già fragile di suo. E finendo, guarda un po’, proprio per dare ragione al concetto “both sides” di trumpiana memoria.

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Davide Mamone

Davide Mamone

Davide Mamone è un giornalista freelance di base a New York. Cresciuto a Milano, di origini palermitane, collabora con Radio Popolare, ha scritto reportage per testate italiane come L'Espresso, Panorama e InsideOver e per testate americane come Market Watch del gruppo Dow Jones Newswires. Ha coperto le Nazioni Unite per La Voce di New York.

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