Parole sempre più dure tra il presidente degli Usa Donald Trump e la Corea del Nord: “Si vedranno arrivare addosso un fuoco, una furia, e francamente una potenza, a un livello che questo mondo non ha mai visto prima”. Parole che a molti hanno fatto tornare in mente quelle pronunciate da Harry Truman che nel 1945 disse: “Se non accetteranno ora i nostri termini dovranno aspettarsi una tal pioggia di rovine dal cielo a un livello che questo mondo non ha mai visto prima”.
La causa di tanto fervore e violenza secondo i giornali americani sarebbe stato il test di un missile balistico da parte della Corea del Nord che sarebbe in grado raggiungere l’isola di Guam, nell’oceano Pacifico (su territorio degli Stati Uniti). Una situazione tanto “pericolosa” che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato il 5 agosto all’unanimità nuove sanzioni – considerate le più dure mai adottate dall’ONU – nei confronti della Corea del Nord che prevedono, tra le altre cose, la riduzione di un terzo delle esportazioni da parte della Corea del Nord e un divieto alle collaborazioni e agli investimenti stranieri con il regime e le aziende nordcoreani.
Quanto possano essere realmente pericolosi i missili nordcoreani è noto a tutti: anche nelle peggiori condizioni non esisterebbero reali rischi per gli Stati Uniti. E anche il pericolo di un conflitto appare alquanto remoto, vista la vicinanza del paese con la Cina, alla quale certamente non farebbe piacere avere l’esercito americano e i loro alleati a un passo dalle frontiere. Ciò che dovrebbe sorprendere (e di cui invece nessuno parla) è come mai né gli USA né tanto meno le Nazioni Unite abbiano finora adottato le stesse misure nei confronti di altri paesi che negli ultimi mesi hanno effettuato test balistici altrettanto se non più pericolosi di quelli della Corea del Nord (peraltro coronati anche da insuccessi che dimostrerebbero che il paese è ancora lungi dal costituire un pericolo reale).
Paesi come l’India che solo pochi mesi fa ha testato con successo il missile balistico intercontinentale Agni-V, un mostro pesante 50 tonnellate e lungo 17 metri, capace di trasportare testate nucleari di oltre una tonnellata e colpire obiettivi a oltre 2mila500 chilometri di distanza. Il test (peraltro non un caso isolato, ma il quarto di una serie) è stato effettuato da una base mobile Inner Wheeler Island situata al largo delle coste dello Stato di Orissa. Quello eseguito ha inserito a pieno titolo l’India nel ristrettissimo novero dei paesi che dispongono di missili balistici intercontinentali strategici, Icbm (di cui fanno parte Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Israele). Eppure nessuno ha osato pronunciare una parola nei confronti dell’India. Né gli USA né l’ONU. Nonostante i rischi in questo caso sarebbero ben maggiori e non solo per il tipo di missile, ma per il fatto che questo paese è attualmente in guerra con il Pakistan.

E proprio il Pakistan è un altro dei paesi che nei mesi scorsi ha effettuato test balistici ben più pericolosi di quelli della Corea del Nord. Anche questo paese, a gennaio, ha condotto “con successo” test del missile da crociera Babur-3 lanciandolo da un imprecisato punto dell’Oceano Indiano da un sottomarino (Slcm). E anche in questo caso si tratta di missili ben più pericolosi di quelli testati in Nord Corea: la gittata massima sarebbe infatti di 450 chilometri, cosa questa che, unita al fatto che è stato lanciato da un sottomarino, rende questo missile potenzialmente pericoloso per la maggior parte dei paesi del pianeta. Una situazione resa ancora più grave dal fatto che entrambi i paesi, India e Pakistan, non solo sono attualmente in guerra (un conflitto che va avanti da oltre mezzo secolo ma del quale nessuno – incluse le Nazioni Unite – pare volersi interessare), ma entrambi si sono rifiutati di firmare i trattati per la non proliferazione delle armi nucleari (o quelli in lavorazione alle Nazioni Unite per la loro abolizione). Stranamente, né gli Usa né le Nazioni Unite hanno pensato di doversene preoccupare.
Così come nessuno si è preoccupato dei test effettuati dalla Cina. L’ultimo test missilistico nelle acque dell’Oceano risale a sole poche settimane fa: sono stati effettuati diversi lanci sperimentali nel mare di Bohai, nel nord est del paese, all’altezza di Pechino. A diffondere la notizia è stato il ministero della Difesa che ha rilasciato una breve dichiarazione. I test condotti dalla “Rocket Force” dell’Esercito di liberazione del Popolo dovrebbero servire “per aumentare la capacità operativa delle forze armate” in modo da “gestire efficacemente le minacce alla sicurezza nazionale”. Ma non sono stati forniti ulteriori dettagli né a chi si riferisse la “minaccia alla sicurezza nazionale”.
Anche un altro paese attualmente in guerra, nei mesi scorsi, ha testato i propri missili a lunga gittata. Israele ha lanciato un missile nelle acque del Mediterraneo. A dare la notizia è stato il quotidiano Haaretz, ma la notizia è stata confermata dall’aviazione israeliana attraverso le reti sociali, specificando che si è trattato di test per un nuovo sistema di propulsione. Il lancio è partito dalla base di Palmachim, vicino la costa mediterranea. Per Israele si tratta solo l’ultimo di una lunga serie di test missilistici negli ultimi anni: nel 2015 e 2016 erano stati sperimentati i sistemi di difesa avanzati anti-missili Arrow 3 (elaborati insieme agli Usa) che erano stati attivati per intercettare missili Sparrow.
Cina, India, Pakistan, Israele, Iran….e perfino i pacifisti USA: già proprio il paese che si è avallato il diritto di imporre agli altri paesi di non effettuare questi test, non ha mai smesso di perfezionare il proprio potenziale missilistico intercontinentale. Solo pochi giorni fa, l’aeronautica americana ha effettuato il quarto test di questo tipo dall’inizio dell’anno (in totale, da inizio anno, sono stati effettuati quindici test missilistici): dalle coste della California è stato lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman 3 per “controllarne l’efficienza e l’accuratezza”. Obiettivo: una zona del Pacifico non meglio definita. Stranamente però nessuno, né gli altri paesi né tanto meno le Nazioni Unite, hanno osato minacciare sanzioni nei confronti di Cina, India, Pakistan, Israele o USA. Nè le Nazioni Unite hanno proposto sanzioni agli Stati Uniti per aver ammodernato il proprio arsenale nucleare (con i missili B61-12) violando così il trattato di non proliferazione nucleare (che prevede che i paesi non possono sostenere “new military missions or provide for new military capabilities”). Di tutto questo, però, stranamente, nessuno ha parlato. L’attenzione di tutti è stata concentrata su altre “minacce” come la Corea del Nord.
Un nuovo “bacino” nel quale far prosperare quello che ormai è uno dei business più redditizi al mondo: la produzione e la vendita di armi e armamenti. Uno dei pochi dove gli USA dominano ancora largamente: delle prime dieci aziende produttrici in questo settore ben sette sono made in USA e le prime due (Lockheed Martin Corp. e Boeing) garantiscono profitti superiori a tutte le altre otto sommate insieme. Un settore in continua crescita (dell’1,7% nell’ultimo anno) grazie alle missioni di pace e alle missioni per imporre la democrazia in tutto il mondo. Un giro d’affari che per gli USA vale 611 miliardi di dollari (la Cina, secondo paese al mondo, fattura circa un terzo di questa cifra. “Business” ai quali nessun presidente americano, anche quelli più “pacifisti”, ha saputo (o voluto) rinunciare.
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