Dati di una strage. Primo maggio 1947. Undici morti, 27 feriti e una leggenda, Salvatore Giuliano il bandito di Montelepre. Questi i primi dati che da soli già raccontano delle distorsioni a cominciare dal numero dei morti ufficiali. Infatti, a scorrere gli anni e le celebrazioni nemmeno quelli sembrano certi: oscillano spesso fra gli 11 e i 14. Pure la cifra dei feriti sopravvissuti resta incerta: 27 sembra infatti un numero fittizio, se si guarda il bel film di Paolo Benvenuti “Segreti di Stato” (2003) che tante polemiche ha suscitato alla sua uscita. Secondo Benvenuti i feriti sarebbero stati 33, mentre altre fonti storiche si spingono fino a 65. Un film d’inchiesta come se ne vedono pochi in Italia, forse migliore del lavoro di Francesco Rosi che, come ha scritto lo storico Giuseppe Casarrubea (scomparso nel 2015 e il cui archivio sui fatti siciliani del dopoguerra ha ispirato indagini, libri e lo stesso Benvenuti), non ha saputo dove collocarsi fra fiction e realtà. Come se Rosi non si fosse fidato delle sue stesse fonti, tra le quali vi era anche il giornalista Mauro de Mauro il cui corpo scompare nel ’70 e di cui chiederà il supporto investigativo poi anche su Enrico Mattei e i suoi ultimi tre giorni di vita. Infine il terzo dato, quello dell’ “unico” colpevole, Salvatore Giuliano, che con la sua banda viene rinviato a giudizio prima a Palermo e poi definitivamente condannato a Viterbo, dove si riunisce per legittima suspicione la Corte d’Assise. Un giorno di festa e insieme di lotta per celebrare la vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del popolo nelle prime elezioni regionali – e per dire no al latifondismo – finisce dunque in eccidio. I contadini dei paesi vicini si radunavano a Portella della Ginestra per la festa del lavoro già ai tempi dei Fasci siciliani, la tradizione venne interrotta durante il Fascismo e ripresa dopo la caduta della dittatura. Improvvisamente quel giorno, invece, dal monte Pelavet a far naufragare tutto arrivano diverse raffiche di mitra contro la folla.

Il ricorso alla memoria. Il 21 e il 22 aprile scorsi a Palermo, presso palazzo Steri, si è tenuta una due-giorni di studi storici per ricordare l’eccidio alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso. Il convegno ha avuto lo scopo di allargare la ricerca al quadro politico e sociale del tempo e mettere a fuoco le condizioni della Sicilia e le cause dell’esplosione del banditismo alla fine della guerra. Solo qualche sopravvissuto, come Serafino Petta che nei giorni scorsi ha ricordato la sua esperienza, il suo “calpestare i corpi”, è rimasto a conservarne la memoria.

La scia dei segreti. Il percorso dei documenti sotto chiave negli armadi della Repubblica costella la storia della madre delle stragi italiane sin dalla prima commissione antimafia, che nel 1972 decise di apporre il segreto a ben 41 documenti custoditi a Palazzo Giustiniani fino al 2012. Si trattava di quarantuno documenti su Giuliano, il banditismo e Portella e il ruolo di alcuni agenti segreti americani, mentre già nel 2000 la Cia ne rendeva pubblici diversi altri. Sono solo i pezzi più rilevanti di una scia, non gli unici, a segnare gli ostacoli nella ricerca della verità, fino a giungere al 2016 quando scadevano i penultimi atti segreti conservati dai Ministeri dell’Interno e della Difesa. Tutti dovevano essere declassificati, ma soltanto gli Interni hanno aperto gli armadi: la Difesa sembra ancora indugiare. Tutto questo mentre la legge 124/2007 “esclude tassativamente che il segreto di Stato possa riguardare informazioni relative a fatti eversivi dell’ordine costituzionale o concernenti terrorismo, delitti di strage, associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale di tipo politico-mafioso”. Legge in vigore ben prima dunque della ultima direttiva Renzi come abbiamo scritto qui. Aspettiamo anche i documenti dell’Arma dei Carabinieri e dei servizi nostrani che saranno consegnati da Rosy Bindi, presidente dell’attuale Commissione Antimafia. L’ultimo atto di questo percorso ad ostacoli però si avrà solo nel 2042, quando potranno essere anche noti dettagli personali dei coinvolti. Persino il vecchio padrino Bernardo Brusca, morto nel 2000, che non si è mai considerato un boss né ha mai collaborato, nemmeno dopo il pentimento dei suoi tre figli, aveva pensato alla fine di cominciare a rivelare qualcosa. A un pm antimafia aveva fatto arrivare un messaggio, in lui pare avesse fiducia. Aveva fatto sapere che gli avrebbe scritto una lunga lettera e il racconto sarebbe iniziato proprio dai fatti di sangue di Portella della Ginestra. Negli atti processuali, però, questa lettera non è mai stata depositata o forse non è stata mai scritta.

Salvatore Giuliano. Il cuore di quella strage resta la sua leggenda ovvero Giuliano, il cui mito inizia davvero prima di quel giorno: nel settembre del 1943, quando dopo aver ucciso un carabiniere si rifugia tra le montagne di Montelepre. Da quel momento “il Re di Montelepre” si schiera, con il supporto della mafia (o maffia al tempo), a favore del movimento indipendentista siciliano (Mis), formatosi immediatamente dopo lo sbarco degli Alleati e il cui obiettivo era quello di fare della Sicilia, allora, il 49esimo stato americano (gli stati 49esimo e 50esimo vengono annessi nel 1959). Ma il bandito cambia presto bandiera e dal Mis passa direttamente alla lotta anticomunista: lo dichiarerà lui stesso in una lettera spedita al presidente Truman. Quando avviene la strage Salvatore Giuliano è l’uomo giusto per tutti: è lui lo stragista. Invece, documenti diversi hanno dimostrato che il bandito e i suoi picciotti non agirono da soli: Decima Mas e Cosa Nostra il vero commando. Ma Giuliano resta mito comunque fino alla sua morte avvenuta ufficialmente per mano dei Carabinieri nel luglio del 1950, i cui mandanti e le cui dinamiche sono stati spesso oggetto di indagine: l’ultima poi, archiviata, fu aperta nel 2010 quando venne anche riesumato il suo corpo. Una leggenda creata dagli stessi americani quella del Re di Montelepre, per conto di un giornalista-spia Mark Stern che dall’America lo raggiunse, quando latitante, per intervistarlo e consacrarlo novello “Robin Hood” della Sicilia.
Indagine Perpetua. Un libro da poco dato in stampa Il Bandito della Guerra Fredda di Pietro Orsatti (Imprimatur edizioni) ripercorre i buchi della vita e la morte di Giuliano fra inchiesta e riflessione politica che trova input a partire da un tema privato e che lo spinge a consegnare infine ai lettori una verità a più dimensioni: “Giuliano è sia strumento di poteri più o meno occulti che artefice del suo stesso destino.” Scrive ancora Orsatti:” È chiaramente in mano a quel coacervo di interessi che lega i proprietari terrieri, i servizi segreti degli Stati Uniti, i neofascisti ancora a piede libero, i separatisti e i monarchici, l’area politica della Democrazia cristiana, i mafiosi siciliani e perfino il Vaticano, che si era fortemente attivato in Sicilia (e in tutta Italia) in chiave sia antirepubblicana prima del referendum, che ferocemente anticomunista dopo”. E’ un ritratto multiple quello di Orsatti rintracciato attraverso una mole di documenti, tanti troppi – scrive lui stesso – tra i quali l’autore si è dovuto districare visto che alcuni sembrano depistare più che chiarire. Di questa convergenza di entità ne avevano già cominciato a svelare i volti gli storici Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino nel 2009 con il libro Lupara Nera, edito da Bompiani. La ”Rete Invasione e Sabotaggio” – scrivevano gli storici che avevano scandagliato nelle carte statunitensi desecretate nel 2000 – è stata ”segretamente inglobata dall’intelligence americana di James Angleton nel dopoguerra, assieme a migliaia di terroristi nazifascisti a cui verranno risparmiati i processi per gli eccidi commessi nei venti mesi di Salò”. Nell’autunno ’46, spiegano ancora gli storici, il presidente Harry Truman autorizza un colpo di Stato con l’obiettivo strategico di instaurare una ”dittatura militare” affidata all’Arma dei carabinieri, con l’obiettivo di mettere fuori legge il Pci di Togliatti. L’esecuzione del piano golpista è commissionata alle squadre armate neofasciste che in Sicilia, il 1 maggio ’47, mettono in atto la strage di Portella della Ginestra ovvero il punto zero della strategia della tensione. Questo rivelavano i due storici nel 2009, mentre nel 2014 un ex agente CIA, il capostazione Jack Devine lo scrive nero su bianco nel libro Good Hunting: An American Spymaster’s Story, in cui Devine svela il piano di “supporto” all’Italia per neutralizzare la possibile vittoria del Partito Comunista Italiano alle politiche del ’48, sempre più percepita come imminente. Secondo Devine, il presidente Harry Truman incaricò l’Agenzia «di combattere una guerra clandestina contro l’Urss»; e ancora «per contrastare l’influenza del PCI, Truman aveva autorizzato la Cia a rovesciare soldi nelle elezioni, attraverso giornali, periodici, trasmissioni radio, manifesti, volantini e organizzazioni politiche».
Di Salvatore Giuliano, intanto, della morte del bandito strumento di terzi come scrisse il mitico Tommaso Besozzi su L’Europeo, “di sicuro c’è solo che è morto”.