Hanno atteso di tornare in Italia, prima di rendere pubblica, con un comunicato ufficiale sulla loro pagina Facebook, la terribile esperienza che li ha visti protagonisti all’aeroporto di Seattle. Il trio italiano dei Soviet Soviet, era stato, infatti, invitato a partecipare al SXSW Festival e aveva anche in programma una serie di altri concerti, a titolo promozionale, in diverse location degli Stati Uniti.
L’8 marzo, i tre giovani musicisti di Pesaro (Alessandro Costantini alla chitarra, Alessandro Ferri alla batteria ed Andrea Giometti al basso e voce), sono sbarcati a Seattle, dove sono stati sottoposti ai controlli di routine, da parte degli addetti all’immigrazione: un passaggio obbligato che doveva risolversi rapidamente e che, invece, si è trasformato in un incubo. I Soviet Soviet, infatti, muniti di regolare Esta, hanno rivelato, in completa buona fede, agli agenti che li interrogavano, di essere nel paese per un tour promozionale che, dunque, non avrebbe portato nelle loro tasche nemmeno un dollaro. Una condizione fondamentale, secondo quanto gli era stato detto, per poter entrare nel paese senza un visto di lavoro era, appunto, quella di non svolgere nessuna attività a scopo di lucro sul territorio statunitense. I tre, però, con grande sorpresa, sono stati portati in stanze separate e interrogati per oltre 4 ore, prima che il ‘verdetto finale’ giungesse come un macigno: respinti per aver tentato di entrare illegalmente nel paese.
A rendere “inamovibili” gli agenti è stato il fatto che due dei concerti del tour si sarebbero tenuti in location che non avevano l’ingresso gratuito, ma prevedevano l’acquisto di un biglietto. A poco sono serviti i tentativi di far confermare la situazione dal rappresentante americano dell’etichetta discografica dei ragazzi: privati dei loro cellulari e di ogni mezzo di comunicazione e dei loro bagagli, i tre sono stati ammanettati e portati in carcere. Solo il giorno successivo, il 9 marzo, sono stati riaccompagnati all’aeroporto, per poter prendere un aereo di ritorno in Italia e, solo all’ultimo momento, hanno potuto riprendere possesso dei cellulari e degli altri effetti personali. Un’esperienza che, comprensibilmente, i tre definiscono “stressante e umiliante” e che ha trovato eco anche sulla stampa americana che, ormai, quasi non riesce a stare più dietro ad episodi del genere.
A determinare la situazione hanno contribuito sicuramente diversi fattori, non ultimo il “travel ban” firmato solo pochi giorni fa dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La legge, infatti, come spiegano Bryan Taylor Goldstein e Robyn Guillams, due esperti di diritto dell’immigrazione, richiede, a differenza di quanto era stato detto ai tre ragazzi, che, per esibirsi nel paese, anche in concerti non retribuiti, si sia in possesso di un visto P o di un visto O, entrambi specifici per gli artisti o gli atleti. Esibirsi, anche gratuitamente, dunque, non era legale nemmeno prima degli ordini esecutivi (uno e due) firmati da Donald Trump. Ciò che è cambiato oggi e che rischia di far trovare sempre più persone nell’incresciosa situazione che hanno dovuto subire i Soviet Soviet, è che il “travel ban”, fra le altre restrizioni, specifiche per i paesi a maggioranza musulmana, impone un rafforzamento delle procedure di screening, a tutti i livelli, nel processo di ottenimento dei visti, rivolto a immigranti e non-immigranti che “provano ad entrare negli Stati Uniti su basi fraudolente”. Secondo gli avvocati, peraltro, il nuovo regolamento imposto dalla Casa Bianca, è destinato a rendere sicuramente più complicato il processo di ottenimento dei visti a qualsiasi livello e per persone provenienti da qualsiasi paese.