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Barack Obama e le feste per il cagnolino Matteo Renzi

L'Italia di Renzi accolta con tutti gli onori alla Casa Bianca, ma a rimanerci offesa è la democrazia italiana

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
renzi obama

Foto Palazzo Chigi/ T. Barchielli

Time: 6 mins read

Fa un gran piacere osservare come è stato accolto il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi a Washington, per l’ultima visita di Stato organizzata dall’amministrazione Obama, riservata appunto proprio all’Italia. Salve di cannone, bandiere al vento, abbracci, pacche sulle spalle, per poi concludere con una cena di gala con le first lady vestite in lungo e ospiti tanti personaggi che rendono orgogliosi gli italiani nel mondo (anche il grande Roberto Benigni, portato speriamo più per la sua arte e non per certe posizioni sul referendum). Barack e Michelle avevano preparato la migliore cornice possibile per presentare il quadro del rapporto speciale tra la super potenza e quel paese che durante gli anni della Guerra Fredda veniva chiamato “la portaerei” al centro del Mediterraneo.

Da italiani in America, con diritto di voto in entrambi i paesi, siamo felici di veder confermati i solidi rapporti che non si dovrebbero fondare solo sugli interessi economico-strategici ma anche su valori comuni e, crediamo, soprattutto sui quasi venti milioni di cittadini americani che si nutrono di radici ideali e culturali italiane.

Esprimere questo sincero patriottismo italo-americano non ci rende immuni però dal restare sbalorditi per certe dichiarazioni che il presidente Barack Obama ha fatto durante la visita del premier Renzi. Dichiarazioni riguardo al voto sul Referendum costituzionale e soprattutto  alla eventuale permanenza a capo del Governo del “giovane e bello” Matteo anche se dovesse avvenire una secca sconfitta dal referendum da lui voluto e ottenuto.

Ecco le parole del presidente Barack Obama: “Gli Stati Uniti sostengono con forza le riforme di Matteo Renzi e sperano che questo processo non si interrompa con il referendum sulla Costituzione… Tifo per Matteo, e dovrebbe restare in politica, anche se vince il ‘no'”.

first ladyDunque, anche alla Casa Bianca avrebbero capito che il “no” del popolo italiano al Referendum sulle riforme costituzionali ha buone, forse anche più possibilità di vittoria. E Barack, pur continuando ad aver la speranza che vinca il “sì”, tiene a metter in chiaro che per la sua amministrazione e quella che verrà dopo — di Hillary ovviamente perché a Washington Donald Trump viene contemplato come un incubo che si spera sparisca la mattina del 9 novembre — è fondamentale che per i rapporti speciali con gli USA, ci sia in Italia continuità di governo.  Renzi non deve lasciare, intima Obama. E qui, oltre ad un fedele alleato in Europa, la Casa Bianca pensa soprattuto alle aeree di crisi internazionali dove con l’Italia gli americani stanno coordinando modi e tempi di intervento, in Libia soprattutto, ma anche Iraq (dove soldati italiani per esempio stanno proteggendo la diga di Mosul), incluso il coordinamento per attenuare quella crisi dei migranti che sta destabilizzando politicamente  l’intero continente europeo.

Se abbiamo ascoltato bene, Obama dice che Renzi non deve lasciare “la politica”, non si spinge quindi a dire che debba restare a Palazzo Chigi. Ma per chi scrive queste righe la sostanza del suo messaggio appare chiaro: italiani, trovate il modo che un vostro eventuale no al referendum non vi metta e ci metta ulteriormente nei guai, magari fate bene quei passaggi che conoscete a memoria: dimissioni, rimpasto, reincarico e dateci un  Renzi-2 che a Washington ci soddisfa tanto….

Quando in Gran Bretagna il referendum sul Brexit vinse a sorpresa, anche dopo il “troppo sfacciato” appoggio di Obama alla posizione contro la decisione di un’uscita dall’UE, il premier Cameron si dimise. Anche in quei giorni ci furono accese polemiche per quel plateale schierarsi della Casa Bianca al momento del voto in un paese alleato. A noi ci parve quasi normale e soprattutto scontato: per gli USA avere la GB dentro la UE era nei sui interessi, Londra “cavallo di Troia” pronta ad agire in funzione degli interessi americani anche se questi andavano contro quelli dell’Europa unita. Però lì Obama si fermò. Ve lo immaginate invece se prima o anche dopo quel voto, la Casa Bianca avesse pure pubblicamente intimato a Cameron di non dimettersi? Sarebbe stato un affronto alla democrazia britannica che probabilmente avrebbe danneggiato i rapporti tra i due paesi.

Ecco perché, guardando certe dichiarazioni dal nostro punto di osservazione a New York, non siamo poi così scandalizzati dal fatto che l’amministrazione Obama abbia espresso la sua preferenza affinché delle riforme istituzionali italiane siano approvate. Non crediamo che Obama impazzisca molto per quelle “riforme” volute dal governo Renzi che dovrebbero anche scuotere l’economia italiana e rilanciarla (noi ancora non abbiamo capito bene come, ma stiamo ancora studiando e speriamo di farvi sapere cosa e se abbiamo capito); eppure sappiamo come per Obama (e Clinton) sia importantissimo soprattutto avere continuità di governo in Italia, ecco quindi l’appoggio al referendum di Renzi. Per le varie crisi prima citate, ma anche perché il giovane primo ministro, nella sua diatriba con gli altri pesi massimi d’Europa, ha mostrato di avere posizioni più in linea con quello che vuole in questo momento l’America. Uno su tutte? Andare avanti con il trattato di libero commercio, il criticatissimo TTIP…

A questo punto, forse è ragionevole pensare che con la GB  fuori dall’UE,  Washington abbia individuato proprio in Roma la “riserva” per difendere gli interessi americani in Europa. E Renzi sembra contento di promettere garanzie su questo ruolo.

Bene, evviva la trasparenza. Ma quando perdendo ogni forma di etichetta diplomatica, Obama suggerisce che Renzi debba restare a Palazzo Chigi anche in caso di sconfitta, ecco che qui manca di rispetto sopratutto agli italiani e alla loro democrazia. Come sa bene la Casa Bianca, l’attuale presidente del Consiglio è l’ultimo di una lunga serie di capi di Governo italiani che si sono insediati al potere più per manovre di Palazzo che per aver vinto le elezioni nazionali. Vero, la costituzione italiana lo consente, ma la sostanza politica e democratica pretende anche la verifica delle urne. E’ ovvio pure per Renzi che questo referendum, da lui così voluto in questi termini tanto che lo aveva spinto a dichiarare che avrebbe abbandonato l’incarico di Governo e la politica se lo avesse perso, non sarà più soltanto sulle riforme ma proprio un voto di fiducia del popolo italiano sulle sue capacità di essere il leader del momento per guidare l’Italia. Se ne è pentito dopo aver guardato gli ultimi sondaggi sul referendum? Il tempo è scaduto per certi ripensamenti.

Obama, durante l’incontro con Renzi, ha sciorinato in italiano un famoso detto: “Patti chiari amicizia lunga”. Molto bene presidente. Però ci sembra che quello che ha suggerito, che pur perdendo il referendum, non cambi nulla per Renzi, sia il pretendere per l’Italia “la botte piena e la moglie ubriaca”. Conosce questo detto presidente?

Pensateci: se a dicembre vincesse il “sì”, Renzi diventerebbe praticamente il leader più forte in Europa, carico di una “vittoria” che rivendicherebbe anche come un attestato di fiducia al suo governo e soprattuto alla sua leadership. Tanto di cappello, e prepariamoci ad un ventennio di Renzismo. Ma se vincesse il “no”, ecco che Renzi non dovrebbe rischiare nulla, secondo Obama? E’ questa la sostanza della democrazia italiana vista da Washington? Se in Gran Bretagna le grandi sconfitte politiche hanno le giuste conseguenze, in Italia tutto deve rimanere com’è e solo le vittorie contano?

Su questo punto lo spettacolo che la Casa Bianca ha dato ieri non ci è piaciuto, abbiamo sentito una mancanza di rispetto nei confronti della democrazia e del popolo italiano. Avremmo voluto che Renzi, per dimostrare il coraggio della leadership che dice nei discorsi di possedere, avesse risposto ad un troppo generoso Obama con una frase del genere: caro Presidente, la ringrazio per la sua fiducia, ma se la maggioranza degli italiani decidesse di farmi perdere quello che considero la prima e vera prova elettorale nazionale sulla mia leadership, allora mi dimetterò dal Governo per rispetto della democrazia italiana e per non rientraci senza aver vinto le elezioni…

Un sogno in una notte di mezzo ottobre alla Casa Bianca? Già, solo un sogno, ma anche un’ occasione persa per il giovane Matteo Renzi, di poter apparire come un vero leader e non come il “lap dog” (dobbiamo tradurre?) degli americani.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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