La mia famiglia ha avuto una grande fortuna o un grande miracolo, forse potremmo proprio chiamarlo così: abbiamo goduto dell’amicizia di una santa. Si, proprio così, Madre Teresa di Calcutta, appena santificata a San Pietro da Papa Francesco, è stata nostra amica e noi tutti, compreso mio padre che oggi si trova nell’aldilà, ringraziamo Dio per questo magnifico dono.
Proprio lui, papà Renato, l’aveva conosciuta per primo. Religioso com’era si era subito interessato per far aver alle suore della congregazione una sede adeguata, mettendo in campo tutte le sue amicizie romane e anche un bel po’ di soldi, visto che, oltre che un vero credente, è sempre stato anche un gran benefattore. Io invece l’ho conosciuta a metà degli anni settanta. All’epoca avevo i capelli lunghi fino alle spalle, frequentavo il corso di Psicologia all’Università, suonavo la chitarra, ero moderatamente ateo e possedevo un pulmino Volkswagen usato, con nove posti a sedere. Mio padre mi incontrò per caso sulla porta di casa, mentre stavo uscendo per andare a giocare a pallone oppure per incontrare la mia fidanzatina dell’epoca, chissà.
«Domani mattina dobbiamo andare con il tuo pulmino all’aeroporto a prendere le suorine».
«Ma quali suorine?», ribattei io perplesso, senza ottenere però alcuna risposta.

Così il giorno seguente venni svegliato prestissimo, più o meno intorno alle undici e mezzo di mattina, praticamente l’alba per un ventenne, ingurgitai in piedi il mio caffè ed eccomi subito diretto all’aeroporto. Le suorine erano già tutte fuori dalla porta dell’aeroporto ad aspettare. Arrivavano dall’India ed erano molto stanche e anche molto scure. Anzi tutte scure, tranne una, la più anziana. Si chiamava Teresa, aveva la carnagione bianca, era molto piccola, aveva molte rughe intorno agli occhi e l’espressione seria. Mi stropicciai gli occhi per guardarla meglio. Mi sembrava di averla già vista da qualche parte, forse su qualche giornale, ma non ne ero troppo sicuro. La fecero sedere davanti, vicino a me, mentre mio padre e le altre sette suore presero posto sui sedili posteriori. Ad un certo punto, mentre guidavo sulla Roma-Fiumicino, la suora anziana mi domandò: «Sei il figlio del mio amico Renato?»
«Si.», risposi io.
«Sono contenta di conoscerti. Però adesso accelera, perché abbiamo fretta».
Parlava uno strambo dialetto, miscuglio di italiano e inglese, ma sono convinto che dentro ci ficcava pure qualche parola di albanese o forse di indiano. Però io la capivo benissimo.
I miracoli stavano iniziando.
Le accompagnai vicino alla chiesa di San Gregorio al Celio, dove la congregazione da lei fondata aveva trovato la sua prima casa romana. Quel giorno lei aveva un appuntamento molto importante con qualche politico importante che voleva chiudere i locali destinati alle suore.
Era molto arrabbiata, quasi furiosa, e si vedeva dal suo sguardo. Papà scese insieme a lei e, mentre mi salutava, mi disse: «E’ piccola ma è tosta. A lei non la fregano».
Papà aveva ragione. I politici non la fregarono. Anzi. Non solo riuscì a non far chiudere quella casa della congregazione ma, negli anni successivi, aiutata sempre da papà e da tanti altri brave persone come lui, non tutti necessariamente credenti e praticanti, aprì altri due centri, uno a Primavalle e uno, addirittura a San Pietro, attaccato al Vaticano, la mensa di Santa Marta. Ricordo comunisti, atei convinti, ex bestemmiatori intransigenti, che si erano perdutamente innamorati di quella piccola figura e che l’avrebbero aiutata a fare qualunque cosa.

Teresa era una grande amica di mio padre, questo l’ho già detto, ma, col trascorrere del tempo divenne una vera amica di tutta la nostra famiglia. Chiedeva sempre dei mie studi, dei miei progetti. Andavo spesso a prenderla quando arrivava e lei aveva con me un rapporto speciale, come quello di una buona zia che sta aspettando, senza chiedere. Che cosa aspettava? Be’, innanzitutto che anche io crescessi un po’, che diventassi un po’ più saggio e che in fondo trovassi una strada verso la conoscenza di Dio. La festeggiammo tutti insieme quando nel ’79 ricevette il premio Nobel per la pace e dopo che aveva deciso di destinare i sei mila dollari del premio ai poveri di Calcutta.
«Le ricompense terrene sono importanti solo se utilizzate per aiutare i bisognosi», disse in quell’occasione. Come poterle dare torto?
Qualche anno più tardi, volle che io mi sedessi al suo fianco quando nel refettorio di San Gregorio proiettarono quel documentario sulla sua vita “Mother Teresa” diretto da Ann e Janette Petrie, con la voce narrante di sir Richard Attemborough, il quale quel giorno era anche lui lì, seduto proprio alle nostre spalle. Magari il grande e famoso regista, destinato a diventare celebre anche per il suo ruolo in Jurassic Park, si chiedeva chi fosse quello sconosciuto giovanotto seduto vicino alla suora più famosa del mondo.
L’anno seguente nacque il mio primo figlio e lei volle venire a conoscerlo di persona.
«I nipoti del mio amico Renato, sono nipoti anche miei.», disse, con un gran sorriso.
Papà l’accompagnava dappertutto e più volte fu ricevuto insieme a lei da Papa Giovanni Paolo II, anche lui diventato amico molto stretto di Teresa e che, a sua volta, ricambiò le sue visite con un viaggio a Calcutta. Nell’89 venne a pranzo a casa nostra e poi, insieme a papà, la scortammo alla clinica Salvator Mundi dove le venne applicato un pacemaker, dopo il brutto infarto che l’aveva colta qualche tempo prima. Nel ’91 nacque il mio secondo figlio che ebbe purtroppo alla nascita dei grandi problemi cardiaci. Fu operato subito al Bambin Gesù dal chirurgo Marcelletti, intervento complicatissimo che lo costrinse poi a più di un mese di drammatica terapia intensiva.
Lei volle venire a sorpresa a fargli visita. Così in una normalissima mattina d’aprile arrivò con mio padre in macchina in ospedale. Ma fece appena in tempo a salutare il piccolo nel suo lettino di degenza e a dire una preghiera per lui, prima che la gente la riconoscesse. In pochi minuti si bloccò completamente tutto l’ospedale. Arrivarono medici, infermieri, bambini, provenienti da tutti i reparti. Lei si ficcava le mani in tasca e tirava fuori una delle sue famose medagliette della Madonna. Quante ne aveva? Un numero infinito. Sembrava la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
La sua visita fece bene. E come sarebbe potuto essere altrimenti? Oggi mio figlio sta benissimo, è un affascinante venticinquenne pieno di vita e di voglia di fare. Purtroppo invece la Madre si beccò la polmonite proprio quell’anno e poi, nell’anno successivo, il ’92, ebbe nuovi problemi al cuore. Tornò a farsi curare in Italia e noi la accompagnammo nuovamente ad effettuare le sue visite, i suoi controlli. Tornò di nuovo in India e si prese la malaria. Furono anni bui per lei. Stava sempre più male e decise di lasciare la guida delle sue missionarie della carità. Il suo posto fu preso dalla bravissima suor Nirmala Joshi. Teresa fece in tempo a tornare un’ultima volta a Roma, nel mese di marzo del ’97. Vide il Papa, naturalmente, e anche tutti noi della famiglia. Nei suoi occhi non c’era tristezza, niente affatto. Anzi, giuro di aver visto un bagliore di luce. Sapeva che di lì a poco sarebbe tornata alla casa del padre e questo la riempiva di gioia. Morì il 5 settembre del ’97 e più o meno nello stesso periodo era arrivata anche la mia fede.
Com’è successo? Com’è stato possibile che un ateo convinto cambiasse rotta? Non lo so davvero. Probabilmente un altro di quegli strambi miracoli che solo le sante sanno fare oggigiorno. Quattro anni fa se n’è andato anche il suo grande amico Renato, mio padre. In quel periodo le sue finanze non brillavano e aveva grandi problemi economici. Eppure l’ultimo assegno di cui trovammo traccia, firmato il giorno prima della morte, era proprio a favore della congregazione delle suorine.
“Le ricompense terrene sono importanti solo se utilizzate per aiutare i bisognosi», avrebbe detto Teresa e lui tutto questo l’aveva capito alla perfezione.
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