La dott.ssa Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, com’è noto, è stata prosciolta dal GUP di Verona all’esito di un’indagine che, per lei e per altri, è cominciata in Italia nel 2006: con il procedimento n° 24117/2006 del Registro Generale Notizie di Reato della Procura di Roma. E’ noto pure che la vicenda aveva avuto un corposo antefatto negli Stati Uniti.
Nell’Aprile del 1999, si era scoperto un invio all’estero non autorizzato di alcuni ceppi di “aviaria”: destinatario, un manager italiano di un’azienda farmaceutica statunitense, Paolo Candoli. Candoli patteggia e dichiara. Dalle sue dichiarazioni, circa sei anni dopo, nel Marzo 2005, nascerà un rapporto per i Nas italiani. Le investigazioni susseguenti al rapporto americano si animano di alcune intercettazioni, in forza delle quali si decide di aprire l’indagine preliminare indicata sopra.
L’ipotesi di accusa più rilevante è quella di concorso in epidemia, punibile con l’ergastolo. Ilaria Capua e gli altri sospettati, compreso il marito, avrebbero trescato con ceppi virali, per lucrare sulla vendita dei vaccini. E’ un’ipotesi, però; perchè durante le indagini non si formulano imputazioni. Solo ipotesi. Il 2 luglio 2007, la studiosa indagata si presenta spontaneamente alla Procura di Roma. Rende dichiarazioni, con l’assistenza del suo avvocato.
Da quel momento non ha saputo più niente.
Le richieste di rinvio a giudizio, per Capua e gli altri, saranno formulate nel giugno 2014. Il proscioglimento è di pochi giorni fa: pronunciato a Verona perchè, nel frattempo, l’indagine preliminare avviata a Roma era stata suddivisa (“separazione del procedimento”, reca il codice) in tre sottoprocedimenti: finiti, uno a Pavia, un altro a Padova, ed un terzo, appunto, a Verona. A parte i proscioglimenti di Verona, dodici persone in tutto, numerosi sono stati i provvedimenti di archiviazione per prescrizione, emessi tra Padova e Pavia; ed altre analoghe richieste sono state avanzate. Questo, in estrema sintesi, il punto.
Poche osservazioni.
La vicenda giudiziaria dell’On. Capua, nel Febbraio 2013 eletta anche deputata nelle liste di Scelta Civica facenti capo al Prof. Mario Monti, ha suscitato larghe reazioni di stupore, sgomento, indignazione. E figuriamoci se qui non siamo d’accordo. Però, isolare l’effetto, distogliendosi dalla causa; presentare ogni singolo caso di anomalia giudiziaria come provenisse dal cielo, e non da uomini e donne, riuniti in un’organizzazione, anzi in un’associazione, per essere più precisi, l’ANM; trarre conseguenze, sulla studiosa che ripara in Florida, sull’Italia che perseguita l’ingegno, addirittura “un Paese che detesta la scienza”, come scriveva Paolo Mieli sul Corriere della Sera un mese prima del proscioglimento; rilevare, ancora sul Corriere, come fa Gian Antonio Stella, che Ilaria Capua non è stata mai interrogata, a significare lo stato di abbandono in cui istituzionalmente versava l’indagata scrivere tutto questo, senza nemmeno supporre che tanto sia potuto accadere perchè l’Ordine Giudiziario italiano –cioè le persone, prima ancora che il processo penale italiano -cioè le regole, non solo consentono una sostanziale irresponsabilità dei singoli magistrati; ma anzi, la postulano e la sostengono; ecco, fare il pesce in barile, vale solo a confondere, a distrarre, ad insabbiare.
Mieli oggi scrive di augurarsi che il dott. Davigo “…abbia modo di spiegare, se crede, come è possibile che questo sia accaduto”, riferendosi espressamente alla mancanza di interrogatorio. Per essere precisi, come si notava, nel luglio 2007 Ilaria Capua si è presentata spontaneamente in Procura; e, nella consapevole pendenza di un’indagine, questo atto, presente il difensore, è equiparato ad un interrogatorio. Tuttavia, la dott.ssa Capua ha sostenuto di esservisi recata “per un’altra faccenda”, sebbene senza precisare quale. Rimane innegabile che gli investigatori non hanno mai ritenuto di convocare loro Ilaria Capua, pressati, diciamo, da un’autonoma esigenza conoscitiva. Bene. Solo che quando Mieli richiama ad un qualche intervento il dott. Davigo, per quanto accade oggi, senza richiamare se stesso ad un qualche ripensamento, per quanto accaduto ieri, rischia di esporsi, per così dire, al rischio-Lampedusa: a spinte trasformistiche della più bella pasta.
Sappiamo: esiste la “giurisdizione domestica” della magistratura, le sanzioni disciplinari e, anche nel caso di questa storia, forse se ne chiederà qualcuna. Il solito nulla verboso, che, in termini formali, risulta non meno sterile che protervo.
Prosciolta: “Ma ora mi sento sfregiata”, dice Ilaria Capua. Esatto.
E se ne accorgono solo ora, Stella e Mieli, che, in Italia, un procedimento penale può sfregiare una vita, e poi, tutto come prima e avanti il prossimo?
Quello stesso Mieli che, a partire dal famigerato avviso di garanzia “napoletano” a mezzo Corriere (della Sera), nel Novembre 1994, concorse ad istituire il nuovo corso barbarico della lapidazione, della gogna: munendo un’altra indagine, condotta, eh sì, anche dall’attuale Presidente dell’ANM, dott. Pier Camillo Davigo, di un effetto amplificato, precipitoso, distorto, e poi conclusa con l’assoluzione? Come quella di Ilaria Capua?
Se ne accorge solo ora, Stella, che i magistrati possono sfregiare una persona, quando già nel Luglio 1993, Gabriele Cagliari, aveva certificato, suggellando questa verità con il gesto di Catone che, per chi indaga, gli indagati “sono come cani in un canile”? Che, nonchè sfregiarla, la vita di una persona, in Italia, con queste regole di privilegio feudale, con questo Ordine Giudiziario, può legittimamente essere “mortificata”? Si è chiesto, Stella, a proposito di abbandono giudiziario di un indagato, come si è svolta la carriera di quei magistrati che, secondo l’allora Guardasigilli Conso, Cagliari l’avevano “dimenticato in cella”?
Si sono chiesti, Mieli e Stella, secondo quale ordinaria meccanica istituzionale il CSM approva e promuove, assegna incarichi, compie valutazioni di professionalità? A quale criterio politico, culturale, morale, risponde un’Istituzione della Repubblica che può impiegare gli anni di una persona come fossero minuti? Le persone, come meri fascicoli? Le loro speranze, come fastidiosa polvere che si accumula?
L’Espresso, per la penna del giornalista Lirio Abbate, nell’Aprile 2014, pubblicò una lapidatoria copertina su “Trafficanti di virus”; ancora Mieli, pensosamente, si chiede se la testata del Gruppo De Benedetti chiederà scusa a Ilaria Capua. E’ improbabile. Anche perchè, considerata la provenienza, al Gruppo Espresso-Repubblica-La Stampa non avrebbero, onestamente, alcuna buona ragione per farlo.
L’appiattimento sulla gogna, sul sistema “avviso napoletano”, inoltre, determina un ulteriore, tipico, effetto di distorsione che, se possibile, aggiunge guasto a guasto. E lo determina ormai “fisiologicamente”, proprio perchè, in questi venti e più anni, si è scelto, a cominciare da quanti oggi fingono di dolersene, di ignorare la causa di simili abomini; o, al più, come già rilevato, di isolare questo o quell’effetto, questo o quel caso.
Anche nella vicenda di Ilaria Capua, infatti, sembrano trasparire una certa acribìa negoziale, una certa sapida continuità, per così dire, fra scienza e sperimentazione, peraltro non sempre remote dalle responsabilità accademiche in genere. Che, se non dispiacciono in termini assoluti, tuttavia interrogano. Però, finchè il contraltare all’anomalo, all’inopportuno, persino all’opaco, sarà costituto dalla furia liquidatoria: di una reputazione, di una vita di lavoro e dei suoi risultati, della vita stessa, sarà sempre più difficile modulare le reazioni a difesa, e svolgere analisi pacate e precise sui molteplici aspetti di ogni fatto.
Messa alle strette, quotidianamente, violentemente, fra applaudire un boia e diventare di bocca buona, la coscienza civile viene compromessa. Ferita quest’ultima, in una democrazia, non meno profonda della tortura giudiziaria: e a questa complementare.
Ma questo minuetto fra pigri e benpensanti in cui, a turno, uno sceglie di indignarsi sull’effetto immediato provocato dall’altro, e tutti insieme, però, ben attenti a coprire la causa prima, si può inscenare perchè ciò che conta è preservare la capacità distruttiva dell’Ordine Giudiziario. Il quale, proprio a partire da anni che si vogliono tenere lontani, rimossi dalla memoria collettiva per quello che realmente furono, ha occupato, con queste qualità, il centro della vita italiana. E potendo cominciare con l’occupare, impunemente, continuamente, la vita di ciascuno di noi.
Perchè, si sa, gli italiani è bene tenerli sempre sotto controllo: sono “un popolo di camerieri e di zingari”, diceva Goebbles.