La globalizzazione ha fallito. Avrebbe dovuto assicurare al mondo la pace perpetua, resa indispensabile dall’infatuazione umana per le tecnologie, armi nucleari incluse. Invece ha riattivato conflitti religiosi e culturali che sembravano superati, ha fatto della guerra una condizione permanente giustificata (come sempre le guerre) dalla necessità di prevenire la violenza, ha militarizzato la repressione contro le classi sociali più deboli per trasformare i cittadini in migranti, precari, schiavi dei consumi. Avrebbe dovuto creare solidarietà fra i popoli nel rispetto delle loro diversità e attraverso lo scambio delle più valide esperienze e competenze allo scopo di assicurare la sopravvivenza di questo nostro piccolo pianeta e di migliorare la qualità della vita, non solo umana. Invece è diventata uno strumento per l’osceno arricchimento di una minuscola plutocrazia di narcisisti avidi e arroganti, capaci di arricchirsi solo dissipando intensivamente risorse naturali accumulate in milioni di anni e un patrimonio sociale faticosamente costruito in millenni di civiltà.
Non bisogna abbandonare il vecchio sogno umanistico della concordia universale o quello socialista dell’internazionalismo e neppure gli ideali europeisti; ma per realizzarli, o anche semplicemente per poter continuare a sognarli, occorre prima azzerare l’attuale situazione di insostenibile omogeneizzazione e di dominio delle multinazionali; occorre deglobalizzare e riregolamentare il mondo, ripartire dalle comunità e dalle autonomie, proteggere gli interessi dei popoli e non quelli delle corporation, aiutare i deboli e non i vincenti.
In questo senso Brexit è stato un evento estremamente importante: nel breve termine potrà avere conseguenze negative, in gran parte provocate artificiosamente dai poteri forti della finanza per spaventare la gente e impedirle di accorgersi che l’eguaglianza e l’emancipazione sono possibili. Significativo che i giornali al diretto servizio del peggior neocapitalismo, dal Wall Street Journal al Sole 24 Ore, abbiano immediatamente e scompostamente annunciato l’apocalisse. Invece io credo che nel medio e lungo termine il voto degli inglesi potrebbe salvare l’Europa e il mondo. Perché il suo messaggio è chiaro: a tirare troppo la corda, si spezza. E non importa che una corda spezzata possa essere peggiore di una corda troppo tesa: il punto è riportare sotto controllo le multinazionali, togliere loro l’impunità e l’irresponsabilità che hanno ottenuto potendosi al di là delle leggi, degli Stati, della democrazia, costringendo i ricchi a rendersi conto che se non moderano la loro ingordigia rischiano la catastrofe, ma non solo quella degli altri, anche la loro.
Rottamate la storia e la morale dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i liberisti si sono convinti di potersi permettere qualsiasi abuso e idiozia: tanto a rincoglionire la gente e farle chinare la testa ci pensavano i media, la pubblicità, il consumismo. Pensate alla crisi economica del 2008: banche e speculatori non hanno imparato nulla dalla grande paura: salvati dai soldi pubblici, hanno ripreso a fare esattamente quello che facevano prima. Se in Gran Bretagna avessero vinto i “remain” la deregulation e la privatizzazione dell’Europa sarebbe continuata, del tutto indifferente alle sofferenze di una classe media impoverita e privata di speranze per il futuro e alla crescita del suo risentimento.
È che a comandarci è la più inetta e ignorante classe dirigente mai esistita: altrimenti altroché se sarebbe stato possibile tenere il Regno Unito nell’Unione; e sarebbe anche stato possibile far sì che tutti gli europei si innamorassero dell’Europa. Invece hanno distrutto un grande ideale per incrementare i profitti delle corporation e di faccendieri senza qualità; né avrebbero mai smesso, privi come sono di scrupoli e di intelligenza. Per fortuna gli elettori inglesi gli hanno fatto capire, e ci hanno fatto capire, che non si tratta di un destino manifesto ma di una scelta. Sta a noi scegliere.