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June 7, 2016
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Il boss di mafia malato e il bravo medico “suicidato”

La latitanza di Bernardo Provenzano, i servizi segreti e la morte di Attilio Manca: un enigma tutto da sciogliere

Simona ZecchibySimona Zecchi
Attilio Manca
Time: 11 mins read

E’ il 12 febbraio 2004. C’è un corpo riverso, sdraiato a pancia in giù su un letto, coperto solo da una maglietta bianca macchiata di sangue. E’ il corpo di un giovane medico di trentacinque anni originario di Barcellona Pozzo di Gotto, piccolo comune messinese da sempre al centro di grandi giochi al cui tavolo siedono diversi comprimari: mafia, massoneria, criminalità e funzionari di questo Stato. Un centro nevralgico la cui propaggine ha origine almeno negli anni ’70 con un personaggio, Rosario Pio Cattafi, legato all’estremismo di destra, a Cosa Nostra, alla ‘Ndrangheta e alla massoneria (secondo le carte processuali che sin dal 1971 lo riguardano fra sequestri e legami con i servizi segreti di cui lo stesso Cattafi ha riferito nel 2012).

attilio mancaMa torniamo al corpo, restiamo ancorati ai fatti. A terra, in corrispondenza del volto si è formata un’abbondante chiazza rossa, il volto tumefatto e  il naso appaiono deformati e qui ve ne mostriamo le evidenze, seppur crude, certi che i nostri lettori comprenderanno questa scelta: l’intento qui è, sempre, far capire che non esistono testardi complottismi ma continue domande e ostinata ricerca sulle cose che non tornano.  E’ il corpo di Attilio Manca giovane e affermato urologo allora operativo a Viterbo, una cittadina a metà fra il Lazio e l’Umbria, famosa per i suoi uliveti e il suo vino prima che la vicenda del medico siciliano si imponesse per 12 lunghi anni all’attenzione dei media e della giustizia.

attilio manca facciaMi sono occupata di questa vicenda una sola volta, nel 2013, quando in concomitanza con l’ennesima archiviazione raccolsi prima che sparissero dalle pagine volatili dei social network, e in esclusiva, i dettagli di una testimonianza particolare, che poi rimbalzeranno sui siti on line delle testate. La testimonianza era quella di un infermiere di Castelvetrano, sempre in Sicilia, che aveva  riferito, a commento su un post del profilo della madre di Attilio, Angela, ciò che aveva visto il giorno 5 maggio del 2003 nel reparto di Chirurgia dell’ospedale della cittadina del trapanese. Più tardi tornerò su quelle parole, precise, su quella data anch’essa precisa le quali tutte meritano un approfondimento investigativo che sino a ora non c’è stato. Intanto di certo, dopo ben 12 anni,  resistono solo alcuni elementi fissi: a causare la morte del giovane urologo fu l’effetto combinato di tre sostanze, presenti nel sangue e nelle urine di Attilio. Alcolici, eroina e Diazepam (il principio attivo contenuto nel sedativo Tranquirit). Sul suo braccio sinistro i segni di due iniezioni: solo che il dottor Manca era mancino e nessuno tra colleghi amici e familiari aveva mai percepito o saputo della sua volontà di farla finita. Di più, a confermare che facesse uso di sostanze stupefacenti sono soltanto coloro i quali sono stati indagati per questa morte, tra cui un cugino diretto del medico, Ugo Manca, e le cui posizioni tutte poi sono state definitivamente archiviate. Secondo l’ex procuratore Renzo Petroselli è da considerarsi invece importante in questo senso una dichiarazione di un amico di Attilio che aveva riferito del consumo di mariuana in gioventù.

locandinaprimapresentazione_baldo-2Lorenzo Baldo, vicedirettore del sito Antimafia2000 che da 16 anni ormai insegue una quotidiana informazione sulle attività delle criminalità organizzate,  ha percorso questo lungo viaggio a ritroso  restituiendoci, insieme a una dettagliata e aggiornata ricostruzione dei fatti, l’intera figura di quel medico chirurgo specializzato, morto troppo giovane perché probabilmente entrato  in un ingranaggio e un gioco più grandi di lui. Ci sono Attilio e la sua curiosità  per la vita, la sete di conoscenza, una profonda cultura,  l’amore per i genitori e c’è la sua famiglia che non si arrende a costo di qualsiasi verità. Va avanti aggrappandosi all’ultima possibilità, quella che la procura di Roma potrebbe fornire: Giuseppe Pignatone (oggi procuratore a Roma) aveva avuto un colloquio nell’aprile del 2015 con l’ex pm, ora avvocato, Antonio Ingroia che all’Ansa aveva dichiarato al riguardo “si è impegnato con la madre di Attilio Manca affinché vengano fatte indagini serie”.   I familiari di Attilio non  cercano di santificare il proprio congiunto, non danno tutto per scontato, anzi si fanno anche delle domande, ora latenti, sul perché Attilio avesse continuato a frequentare certi personaggi, un pensiero che leggendo il libro di Lorenzo Baldo, La mafia ordina: suicidate Attilio Manca (Imprimatur Editore), sembra non abbandonarli; perché e quali erano, se ci sono state, le costrizioni a cui il giovane medico sarebbe stato sottoposto? Dalle possibili verità però è certamente escluso il suicidio e l’unica perizia esistente – contestata anche di recente in Commissione Antimafia – se confrontata con le foto del corpo presenta tutte le contraddizioni di una storia sbagliata. Intanto, contraddittoriamente anche a quanto rilevato dalla polizia scientifica nell’immediatezza del rinvenimento del corpo,  il medico legale che ha redatto la perizia parla di una “piccola pozza” formatasi ai piedi del letto, quando la rilevazione della scientifica –  ma basta osservare le foto a occhio nudo –  riferisce invece di una “vasta chiazza”; e poi l’incredbile affermazione che il corpo di Attilio Manca fosse privo di “segni di lesioni traumatiche di alcuna natura” e le ipostasi (macchie che si formano dal sangue coagulato nel corpo dopo la morte nda) confermerebbeo un rigidità “risolta” del corpo. Dettagli importanti questi per definire se il corpo potesse essere stato spostato dalla posizione originaria o meno. Una rigidità risolta è sinonimo di non spostamento del cadavere: alle foto scattate a pochi minuti dal ritrovamento però quelle macchie sembrano dichiarare  altro.  

Al contempo i segni di agopuntura riportati vengono definiti “recenti”: se il giovane medico era considerato un tossicodipendente dedito a iniettarsi eroina come mai non si ravvedono altri segni di agopuntura più antichi? Inoltre, in quanto all’ “assenza” di altre lesioni, invitiamo i lettori a visionare le foto che Servizio Pubblico ha trasmesso nel 2014 in cui vengono mostrati almeno  due punti di lesioni “altre”: lo scroto  incredibilmente gonfio, come se fosse stato fortemente leso, e una lesione sul polso che nulla ha a che fare, sembrerebbe, con segni di agopuntura. Insomma a meno che Attilio Manca per suicidarsi dopo essersi con grande difficoltà ma estrema precisione iniettato l’overdose con la mano destra,  non si sia preso prima ancora a calci nei testicoli in modo violento e sbattutosi qualche forte colpo contundente sul volto, parlare di suicidio rasenta quasi il ridicolo.

Il libro di Lorenzo Baldo è denso anche di tante testimonianze utili a chi volesse approfondire il caso, perché tutte ognuna a modo suo offrono spunti investigativi molto importanti: l’unica accusata coinvolta una tossicodipendente romana, Monica Mileti, che avrebbe fornito ad Attilio la droga ma che molto più probabilmente ha svolto il ruolo di gancio fra due mondi come sembra aver anche testimoniato allo stesso autore sebbene in moto reticente; le voci della famiglia avvolta in un dolore ancora intenso ma dalle cui parole si possono comprendere alcuni aspetti  fondamentali su quel giorno di morte e i mesi che lo hanno preceduto e sui quali si può approfondire; gli avvocati Fabio Repici e Antonio Ingroia, l’ex pm della Trattativa Stato-mafia, che insieme sostengono la famiglia e confutano punto per punto tutte le parole sino a qui pronunciate dai due magistrati di Viterbo, Petroselli e Pazienti, la cui logica argomentativa riferita in Commissione Antimafia sembra  infrangersi di fronte a tante piccole verità che emergono a cominciare proprio dalle foto.

Lorenzo Baldo ci guida attraverso questa storia spezzata, più volte  ripresa malamente dalla magistratura, e ci consegna un quadro inquietante.

Il nodo sul quale magistratura e familiari, nonché giornalisti (a parte Servizio Pubblico se ne è occupato anche Chi l’ha visto in maniera davvero approfondita) più si dividono è appunto il contesto mafioso massonico, quello poco fa menzionato, che vede il piccolo comune messinese come l’asse di collegamento fra la lunga latitanza di Bernardo Provenzano (l’ex boss di Cosa Nostra arrestato nell’aprile del 2006 e che qualche anno fa sembrava aver dato un debole ma significativo cenno a collaborare poi spentosi), l’uccisione del giornalista Beppe Alfano, sul quale sembrano ruotare in parte gli stessi personaggi  ruotanti intorno ad Attilio, le due inchieste della mafia barcellonese Gotha3 e Mare Nostrum e, in parte, anche l’inchiesta Grande mandamento, i  personaggi vicini a Cattafi e coinvolti nella strage di Capaci del maggio 1992 (in particolare l’artificiere Pietro Rampulla, aderente al tempo della loro conoscenza all’organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo) e i viaggi di Attilio Manca in Francia per un segretissimo intervento chirurgico che questi avrebbe effettuato proprio all’ex Binnu ‘u tratturi, come prima di diventare boss Provenzano veniva chiamato, malato di prostata e più volte in cura per questo.

In mezzo tante monche indagini sulle telefonate di Attilio e i tabulati spariti, un suo viaggio in Francia nell’ottobre del 2003, l’incomprensibile impossibilità nel rilevare impronte su siringhe, tappi salva ago e altri oggetti presenti nell’appartamento viterbese di Attilio Manca. E ancora: come è possibile, volendo anche prendere in considerazione che il dottor Manca fosse stato un assuntore di eroina, che gli strumenti fossero stati così ben ripuliti e fatti sparire  se ci fosse stata l’intenzione di suicidarsi? E’ proprio su quei viaggi  che la mia attenzione si fissa, e su quel possibile intervento, che potrebbe non essere stata la sola unica condanna a morte di Attilio ma solo una delle tappe che ve l’hanno condotto. Riporto dunque le parole dell’infermiere di Castelvetrano precise,  nonostante i lampi distorti di italiano che lo costellano, così come le riportai nel 2013, e dopo le quali cercai subito di contattarlo ottenendo un netto rifiuto  a dire di più:

bernardo provenzano
11 aprile 2006: Bernardo Provenzano, il giorno della sua cattura (Ph. da youtube)

“Gentile Signora (riferito alla madre dell’urologo Angela Manca nda) suo figlio era in Castelvetrano il 5 maggio 2003 ricoverato in ortopedia appoggiato in chirurgia generale perché troppo piena…io stesso ho preparato la stanza undici per un vecchio che dovevo assistere…ma che forse era già ricoverato nell’altro reparto … sapevo che era per prostata ma non capivo di prima mattina x (perché nda) in ortopedia…intuivo che c’era qualcosa che non andava.. dopo un po’ fatto il letto, si presentava alle ore 7,45, un vecchio di statura piccola tanto da essere portato in braccio da un uomo coi capelli bianchi, alto e robusto e gentile con cui ho parlato e non aveva alcun tipo di accento …..il vecchio dopo l’arresto l’ho riconosciuto come Bernardo Provenzano, dato che si era presentato come Gaspare Troia (circostanza vera questa del nome di un panettiere adottato da Provenzano al tempo per il ricovero, nda) …il nome io non l’ho scritto nella cartella termometrica perché dicevano che era in chirurgia…l’uomo coi capelli bianchi l’ho riconosciuto come Salvatore lo Piccolo e il figlio Sandro…(padre e figlio furono arrestati durante un blitz nel 2006 nda) erano 15 persone, troppe per un vecchio in una stanza sola. Sentivo dire che c’era un medico famoso di Roma, proprio così, mai Viterbo, che era esperto in tumori di prostata, che sapeva solo lui fare tale intervento. Ma che ci veniva a fare a cv, (Castelvetrano, nda) se c’erano altri ospedali.. boh.. era vestito coi pantaloni e dolcevita mattone (colore ndr) che ha in foto, ma capelli che coprivano le orecchie….un dolcevita a maggio…strano….sembrava buttato dal letto.. io sono stato vicino a lui ed era circondato come se era un coniglio in mezzo ai serpenti.. che comportamento…aspettavano le lastre fatte in ch. (presumibilmente reparto Chirurgia, nda) e mentre veniva preso a braccio da due esseri, tra cui il figlio Sandro (figlio di Lo Piccolo già citato prima nda) e un figlio di un tale che si è impiccato, era circondato peggio di uno che volesse scappare, sono andati dal primario e si sono chiusi.. io turbato.. e poi ancora di più… ero solo per molte ore con Provenzano e Lo Piccolo padre, parlavo con loro, e il vecchio, che avevo scambiato per un preside in pensione e glielo detto, mi ha risposto con un sorriso a un milione di denti…scriveva su un quaderno a righi nero e bordi rossi, che io usai solo a tempo del terremoto del 68, per questo mi incuriosì tanto x (perché nda) da tanto non vedevo una cosa simile…gli ho servito il tè e le fette biscottate…poi suo figlio (Attilio nda) gli ha detto la diagnosi, visto che ero a pochi centimetri, con voce tutto che limpida e accento strambo, quasi di paura….ma che razza di dottore è.. me lo sono chiesto x tanto tempo….poi ho capito…..c’erano, poi li ho visti su il mensile se ho provato panico, tutti boss, tra cui l’impiccato e uno brutto, grosso, coi occhi celesti, mafioso di Carini, il figlio Angelo Provenzano che firmava fogli e uno brutto che poi solo di recente ho riconosciuto come Messina Gerlando di ag (Agrigento; Messina fu arrestato nel 2010 nda)….insomma un summit…ora basta…ecco la verità su suo figlio e mi dimentichi.. sono (loro nda) in galera e si consoli…non cerchi di mettersi in contatto .. ho paura e panico…..”

Secondo quanto accertato da Chi l’ha visto, ricostruisce Baldo in “La mafia ordina: suicidate Attilio Manca”, “Provenzano giunse in Francia il primo ottobre 2003 (di fatto la prima trasferta in Francia del capo di Cosa nostra era stata fatta a luglio di quello stesso anno, nda). Dopo aver trascorso una ventina di giorni in un appartamento di Marsiglia, il 24 ottobre venne ricoverato nella clinica Casamance di Aubagne, sotto il nome di Gaspare Troia. Provenzano subì una delicata operazione alla prostata e la degenza si protrasse sino al 31 ottobre. Poi rientrò a Marsiglia e il successivo 4 novembre era già in Sicilia”. L’infermiere invece riferisce di una data e un luogo precisi,   il 5 maggio 2003 a Castelvetrano. E’ dunque possibile che il  viaggio compiuto da Attilio nell’autunno del 2003 non  sia stato l’unico. Non sembra difficile questa ricerca: contattare l’infermiere, interrogare gli archivi dell’ospedale di Castelvetrano, sentire il primario di allora e perché  quell’intervento fu eseguito in ortopedia visto che era un’operazione di chirurgia. Forse perché le procedure di registrazione sono o erano diverse e certe presenze non dovevano essere riferite? Interrogare i Lo Piccolo in carcere e il figlio di Provenzano, Angelo. Verificare veramente se anche a maggio del 2003 il dottor Manca era presente o meno presso la struttura di Belcolle a Viterbo: chissà che non risulti un’altra contraddizione come quella emersa per la sua presenza ad ottobre, nei giorni in cui avrebbe subito un altro intervento Provenzano a Marsiglia, fra le parole della procura e ciò che invece  l’indagine di Chi l’ha visto ha fatto emergere  controllando il registro delle presenze del nosocomio in quei giorni e  riscontrando, al contrario, l’assenza del giovane urologo dal luogo di lavoro. Maggio, Luglio e Ottobre 2003 le tappe che hanno potuto condurlo  alla morte? Questi accertamenti, richiesti dall’avvocato Repici, restano tuttora senza una risposta. Per questo ho pensato che  questa testimonianza dovesse essere riletta e fatta di nuovo rimbalzare a distanza di tre anni, per fissarla bene in mente insieme alle deposizioni di alcuni collaboratori di giustizia, alcune delle quali in parte ritrattate (perché?) che ovviamente devono essere verificate prima di qualsiasi palma di credibilità da affibbiare.

Provare a capire e, come scrive Lorenzo Baldo quasi alla fine del suo viaggio, a riordinare i pezzi di “un puzzle scomposto dove si può arrivare alla verità solo con i calli della logica, del buon senso e della determinazione alle mani” resta l’unica cosa da fare.

Nota: il corpo di Attilio Manca nelle foto scattate dalla Polizia scientifica di Viterbo (agli atti della Procura di Viterbo) alcuni minuti dopo la scoperta del cadavere del giovane urologo. Per gentile concessione della famiglia Manca.

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Simona Zecchi

Simona Zecchi

Simona Zecchi giornalista d'inchiesta e autrice per Ponte alle Grazie e La nave di Teseo. Scrive su Il Fatto Quotidiano e ha collaborato con la emittente televisiva europea Euronews. Ha pubblicato i libri inchiesta Pasolini, Massacro di un poeta (2015-2018) e la Criminalità servente nel Caso Moro (2018). Recente il suo saggio uscito per Marsilio sul Pasolini giornalista (2020). E' in uscita il suo terzo libro per Ponte alle Grazie.

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