Chi scrive ha ben donde di esprimere la propria opinione sui collaboratori di giustizia; i cosiddetti pentiti di mafia. Nel corso della pregressa attività investigativa, ho conosciuto ben nove pentiti di Cosa nostra, tanto per citare il più noto, Tommaso Buscetta. Ebbene, posso affermare senza timore d’esser smentito, che il loro supporto alle indagini, in generale, è stato determinante e talvolta esaustivo per la conoscenza di decine e decine di delitti, che erano rimasti insoluti. Oltre, a farci conoscere i vari collusi operanti all’interno della Pubblica Amministrazione: in soldoni, i traditori della Costituzione italiana. All’uopo, non è mio intento opinare sulla bontà premiale della legge, che disciplina, appunto la materia dei pentiti di mafia. Tuttavia, ho sempre mostrato scetticismo su un aspetto fondamentale, ovvero che la legge avrebbe dovuto, in primis, tener conto del reale pentitismo dell’uomo d’onore. In buona sostanza, a mio parere, occorreva che, per ottenere i benefici premiali, quali permessi o addirittura la libertà, il novello pentito dovesse consegnarsi spontaneamente alle forze dell’ordine e non già essere catturato da esse.
Ma vengo al vero motivo di questo assunto che ho scritto pensando ad un uomo: un tale chiamato dai suoi stessi accoliti U verro ( il maiale). Al secolo Giovanni Brusca, uomo d’onore di Cosa nostra, che pigiò il telecomando nella strage di Capaci poi divenuto pentito per mater artium necessitas; escludo anche, che egli sia emulo di San Paolo sulla via di Damasco.
In questi giorni sui media è apparsa la notizia secondo cui Brusca sarebbe un uomo libero o che, comunque, allo stesso sarebbero stati concessi permessi premi per le feste di Natale. Non ho certezze su queste ipotesi. La questione, secondo la mia modesta opinione, non è seria ma serissima e non perché egli fu uno dei principali autori della strage di Capaci, ma perché si è macchiato di un orrendo delitto che solo una mente malata come la sua poteva partorire. Sto parlando del sequestro e uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Proprio oggi ricorre il ventennale della sua morte. Il bimbo fu sequestrato e tenuto rinchiuso in una botola per quasi ottocento giorni. Fu tenuto segregato con una catena al collo e quando, lo stesso Brusca decise la morte di Giuseppe, avrebbe detto ai carcerieri ammazzati u canuzzu ( uccidete il cagnolino). Il piccolo Giuseppe fu ucciso e sciolto nell’acido.
Ed ora noi dovremmo premiare il becero assassino di un bambino? No! Se io fossi stato messo in condizione di decidere se annettere il Brusca tra le file dei pentiti, avrei detto subito di no: così ho fatto per un altro mafioso per il quale espressi il mio parere contrario alla DIA, che fu tenuto in debito conto, tant’è che il soggetto da me ben conosciuto, è ancora in carcere.